Della riforma della legge fallimentare attuata dal nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza e degli effetti per banche e imprese parleremo nel Convegno del 13 e 14 febbraio. Per maggiori informazioni vedasi la pagina dell’evento indicata tra i contenuti correlati. |
Nella sentenza in epigrafe la Corte di Cassazione Penale tratta dell’imputazione di fatti di bancarotta fraudolenta agli organi sociali di diritto e di fatto, ai sensi dell’art. 223, secondo comma, n. 2) l. fall., a seguito di operazioni dolose volte all’apparente ricapitalizzazione della Società, poi fallita. Alla base del proprio ragionamento, la Corte ritiene di dover ricordare che “la fattispecie di fallimento determinato da operazioni dolose si distingue dalle ipotesi generali di bancarotta fraudolenta patrimoniale, di cui al combinato disposto degli artt. 223, comma primo, e 216, comma primo, n. 1), I. fall., in quanto la nozione di “operazione” postula una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente non già direttamente dall’azione dannosa del soggetto attivo (distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione), bensì da un fatto di maggiore complessità strutturale riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all’esito divisato”.
Venendo agli aspetti di maggior rilievo delle singole imputazioni, la Suprema Corte ha confermato il giudizio di responsabilità a titolo di concorso quale extraneus nei fatti di bancarotta documentale, nei confronti di un soggetto che nel primo grado di merito era stato ritenuto amministratore di fatto. A riguardo, la Corte ha ribadito il consolidato principio di diritto, ritenendolo senz’altro riferibile anche alla bancarotta fraudolenta documentale, secondo cui: “non integra la violazione del principio di correlazione tra reato contestato e reato ritenuto in sentenza la decisione con la quale sia condannato un soggetto quale concorrente esterno in un reato di bancarotta fraudolenta, anziché quale amministratore di fatto, qualora rimanga immutata l’azione distrattiva ascritta”.
La Corte di Cassazione ha inoltre ribadito il principio in forza del quale, in tema di reati fallimentari, la circostanza aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità di cui all’art. 219, comma primo, I. fall. è applicabile all’ipotesi di bancarotta impropria. Difatti: “considerato che l’art. 223, comma primo, I. fall., – prevedendo che agli amministratori di società dichiarate fallite, i quali abbiano commesso alcuno dei fatti previsti dall’art. 216 I. fall., si applicano le pene ivi stabilite – rinvia in ordine alla determinazione della pena per i reati commessi ai sensi dell’art. 223, comma primo, I. fall. alle pene previste dall’art. 216 I. fall. per la bancarotta propria, pene che si determinano tenendo conto non solo dei minimi e dei massimi edittali contemplati dall’art. 216 I. fall., ma anche delle attenuanti e aggravanti speciali previste per tali reati, con la conseguenza che il rinvio in ordine alla determinazione della pena deve ritenersi integrale e basato sul presupposto della identità oggettiva delle condotte”.
Degna di nota è, infine, la posizione della Cassazione Penale in relazione alla responsabilità concorsuale dei membri del collegio sindacale nei fatti di bancarotta. Ai fini dell’affermazione della responsabilità penale dei sindaci (e degli amministratori senza delega) la Corte ha affermato che sia necessaria la prova che gli stessi siano stati debitamente informati oppure che vi sia stata la presenza di segnali peculiari in relazione all’evento illecito, nonché l’accertamento del grado di anormalità di questi sintomi, giacché solo la prova della conoscenza del fatto illecito o della concreta conoscibilità dello stesso mediante l’attivazione del potere informativo in presenza di segnali inequivocabili comporta l’obbligo giuridico di intervenire, obbligo che non è limitato al mero controllo contabile ma deve anche estendersi al contenuto della gestione.
“La responsabilità per fatti di bancarotta del sindaco in concorso con l’amministratore presuppone, dunque, la sussistenza di puntuali elementi sintomatici, dotati del necessario spessore indiziario, in forza dei quali l’omissione del potere di controllo – e, pertanto l’inadempimento dei poteri doveri di vigilanza il cui esercizio sarebbe valso ad impedire le condotte distrattive degli amministratori – esorbiti dalla dimensione meramente colposa per assurgere al rango di elemento dimostrativo di dolosa partecipazione, sia pure nella forma del dolo eventuale, laddove risulta configurabile la sola fattispecie di bancarotta semplice ex art. 224, primo comma, n. 2, I. fall. qualora sia stato accertato solo «un atteggiamento di negligente adesione ad una conduzione dell’amministrazione della quale i sindaci si limitavano ad esaminare solo aspetti formali”.
In questa prospettiva, con riguardo alla affine tematica della responsabilità dell’amministratore privo di delega, la Corte ha chiarito come non sia sufficiente la presenza di segnali d’allarme da cui desumere un evento pregiudizievole per la società o almeno il rischio della verifica di detto evento, ma è necessario che egli ne sia concretamente venuto a conoscenza ed abbia volontariamente omesso di attivarsi per scongiurarlo.