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Attualità

Responsabilità dei revisori: la prescrizione dopo la Corte Costituzionale

26 Luglio 2024

Rocco Santarelli, Partner, Carbonetti e Associati

Michele Mura, Senior Associate, Carbonetti e Associati

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo affronta il tema della responsabilità dei revisori dei conti e delle connesse azioni risarcitorie alla luce della recente sentenza della Corte Costituzionale del 1 luglio 2024 che si è espressa sulla legittimità costituzionale dello specifico regime di prescrizione.


Il presente contributo ha ad oggetto il commento alla sentenza della Corte Costituzionale n. 115 del 1° luglio 2024, in tema di legittimità costituzionale del regime prescrizionale previsto per le azioni risarcitorie rivolte nei confronti del revisore legale dei conti. In particolare, la norma sottoposta allo scrutinio della Corte Costituzionale è l’art. 15, comma 3, del D.lgs. n. 39 del 2020, secondo cui: “L’azione di risarcimento nei confronti dei responsabili ai sensi del presente articolo si prescrive nel termine di cinque anni dalla data della relazione di revisione sul bilancio d’esercizio o consolidato emessa al termine dell’attività di revisione cui si riferisce l’azione di risarcimento.”.

L’esame della sentenza in commento deve muovere da un breve excursus sul trattamento normativo della prescrizione delle azioni di responsabilità contro amministratori, sindaci e revisori nonché sulle controversie che si sono sviluppate sul punto nel diritto vivente, dal momento che il dibattito scientifico e giurisprudenziale sul tema riecheggia nell’iter argomentativo seguito della Corte Costituzionale nella sentenza.

1. Il regime di prescrizione dell’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori, sindaci e revisore

Con particolare riguardo all’azione sociale di responsabilità, con la riforma del diritto societario l’art. 2393 c.c. è stato emendato con l’attuale comma 4, in base al quale: “L’azione può essere esercitata entro cinque anni dalla cessazione dell’amministratore dalla carica”.

Si è a lungo dibattuto sulla natura del termine di cui all’art. 2393, comma 4, c.c.

Alcuni tra i primi commentatori della novella, facendo propria un’interpretazione più letterale, hanno sostenuto trattarsi di un termine di decadenza[1], il che implicherebbe che trascorsi cinque anni dalla cessazione della carica vi sarebbe una preclusione assoluta all’esercizio dell’azione sociale di responsabilità, indipendentemente dal momento di verificazione dell’evento dannoso e senza possibilità di ricorrere agli atti interruttivi della prescrizione.

Senonché, la tesi attualmente prevalente in dottrina[2] e pressocché unanime in giurisprudenza[3] attribuisce invece al termine in questione natura prescrizionale.

D’altra parte, tra coloro che sostengono la natura prescrizionale del termine ex art. 2393, comma 4, c.c., è rinvenibile una diversità di posizioni circa l’individuazione del dies a quo di decorrenza. Secondo alcuni, infatti, l’art. 2393, comma 4, c.c. introdurrebbe una regola speciale di individuazione del dies a quo della prescrizione del diritto risarcitorio ex art. 2393 c.c., prevedendo la decorrenza del termine dalla cessazione dell’incarico di amministratore, in deroga alla regola generale di cui all’art. 2935 c.c.[4], secondo cui la prescrizione decorre da quando il diritto può essere fatto valere e, dunque, in caso di diritti risarcitori, dalla manifestazione del danno. In altri termini, l’art. 2393, comma 4, c.c. stabilirebbe un termine prescrizionale rigido la cui decorrenza prescinderebbe dalla manifestazione del danno[5]. In base a un secondo orientamento, invece, la previsione di cui all’art. 2393, comma 4, c.c. non costituirebbe una deroga al regime generale di prescrizione: la norma non avrebbe contenuto innovativo ma dovrebbe interpretarsi in ossequio alla regola generale di decorrenza di cui all’art. 2935 c.c., pertanto il termine di prescrizione inizierebbe a decorrere dal momento di manifestazione esteriore del danno[6].

Anche l’azione di responsabilità spettante ai creditori sociali (art. 2394 c.c.[7]) si prescrive nel termine di cinque anni, in ragione del richiamo operato dall’art. 2949, comma 2, c.c.[8]. Quanto al momento di decorrenza della prescrizione, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza il dies a quo coincide con il momento in cui l’insufficienza del patrimoniale impeditiva al soddisfacimento dei creditori si manifesta oggettivamente all’esterno.

Con riferimento invece all’azione individuale del socio per danno diretto, l’art. 2395, comma 2, c.c.[9] precisa che l’azione debba essere esercitata entro cinque anni dal compimento dell’atto che ha pregiudicato il socio o il terzo. Anche in questo caso, si ritiene generalmente che il termine ex art. 2395, comma 2, c.c. abbia natura prescrizionale e il relativo dies a quo decorra dal momento del compimento dell’atto illecito, nel caso in cui il relativo danno sia immediatamente manifesto, o dal momento della conoscibilità del pregiudizio nell’ipotesi di danni lungolatenti[10].

Anche i sindaci soggiacciono alla prescrizione quinquennale e agli stessi, secondo l’orientamento prevalente, è applicabile l’art. 2393, comma 4, c.c., in virtù del richiamo operato dall’art. 2407 c.c. [11]. In ogni caso, come per gli amministratori, anche per i sindaci si afferma in giurisprudenza che la prescrizione inizi a decorrere dal manifestarsi del danno[12].

La prescrizione del diritto risarcitorio vantato nei confronti del revisore legale è regolata invece dall’art. 15, comma 3, D.lgs. n. 39/2010: “L’azione di risarcimento nei confronti dei responsabili ai sensi del presente articolo si prescrive nel termine di cinque anni dalla data della relazione di revisione sul bilancio d’esercizio o consolidato emessa al termine dell’attività di revisione cui si riferisce l’azione di risarcimento.”. In sintesi, rispetto al regime di responsabilità degli amministratori e dei sindaci, il Legislatore ha concesso al revisore una disposizione di favore, stabilendo che la prescrizione inizi a decorrere dal deposito della relazione di revisione, a prescindere, dunque – stante il tenore letterale della norma – dalla manifestazione esteriore del danno.

2. L’ordinanza di rimessione del Giudice a quo e alcuni precedenti in cui il tema era stato affrontato

Tale sperequazione tra il trattamento riservato al revisore legale rispetto a quanto previsto per amministratori e sindaci è questione controversa.

Non sono mancati infatti casi in cui la Giurisprudenza ha ritenuto di sollevare dubbi sulla legittimità costituzionale di un simile regime differenziato e, pertanto, ha sostenuto che la decorrenza del termine di prescrizione dal deposito della relazione di revisione presupporrebbe comunque che il danno si sia verificato antecedentemente o contestualmente a detto deposito; diversamente, per i danni maturati e comunque percepibili solo successivamente al deposito, il termine di prescrizione non potrebbe che decorrere da tale momento di percezione, in forza della regola generale posta dall’art. 2395 c.c. (Tribunale Palermo, Sez. spec. in materia di imprese, Sent., 08/01/2021, n. 46). In sostanza, all’esplicito fine di rendere il comma 3 dell’art. 15 compatibile con la Costituzione, in taluni casi la Giurisprudenza ha caldeggiato un’interpretazione costituzionalmente orientata del precetto normativo in questione, che tuttavia sconta un’evidente forzatura del chiaro tenore letterale della norma.

In altri casi, invece, il Giudice ha dato atto che il regime differenziato riconosciuto dall’art. 15, comma 3, del D.lgs. n. 39/2010 non è superabile per via interpretativa – a meno di porsi in aperta violazione con il disposto della norma – e ciononostante ha concluso che tale differente trattamento sarebbe costituzionalmente legittimo, in virtù della posizione diversificata dei revisori rispetto ad amministratori e sindaci (Tribunale Milano, Sez. spec. in materia di imprese, Sent., 20/02/2023, n. 1290).

Ora, anche nel giudizio a quo da cui trae origine la sentenza qui commentata, il Giudice ha premesso che il trattamento differenziato previsto ad hoc per il revisore sia inequivocabilmente stabilito dalla norma e, per tale ragione, non sia superabile per via interpretativa; tuttavia, in questo caso, ha concluso sollevando dubbi sulla legittimità costituzionale del precetto, rimettendo pertanto la questione alla Corte Costituzionale.

In particolare, nel contesto di un giudizio avente ad oggetto l’azione di responsabilità promossa nei confronti anche del revisore di una società dichiarata fallita, il revisore convenuto ha eccepito la prescrizione del credito risarcitorio dedotto dal Fallimento nei suoi confronti, sostenendo che l’ultima relazione di revisione depositata, relativa al bilancio 2012, fosse datata 14 giugno 2013, mentre l’atto di citazione era stato notificato il 17 ottobre 2018, quando doveva ritenersi spirato il termine quinquennale di prescrizione previsto dall’art. 15, comma 3, del D.lgs. n. 39 del 2010, decorrente dalla data di deposito della relazione.

Il Giudice a quo, dunque – avendo rilevato la decisività dell’intervenuto decorso della prescrizione nella fattispecie – ha rimesso gli atti alla Corte Costituzionale, affinché accertasse la conformità agli artt. 3 e 24 Cost. dell’art. 15, comma 3, del D.Lgs. n. 39/2010.

Innanzitutto, nella prospettiva del Giudice a quo, l’art. 15, comma 3, del D.lgs. n. 39/2010 presenterebbe un profilo di irragionevole discriminazione, tenuto conto che l’art. 15, comma 3, del D.lgs. n. 39/2010 differenzierebbe irragionevolmente la disciplina di decorrenza del termine di prescrizione delle azioni risarcitorie proponibili nei confronti dei revisori rispetto a quella prevista per amministratori e sindaci, con conseguente violazione dell’art. 3 della Costituzione e determinando altresì con ciò un ostacolo all’esercizio dei diritti risarcitori della società, dei soci e dei terzi, così violando anche l’art. 24 della Costituzione.

In aggiunta, l’art. 15, comma 3, del D.lgs. n. 39/2010 sarebbe anche affetto da un’irragionevolezza intrinseca, in quanto sussisterebbe un’insuperabile contraddittorietà nel fatto che il termine prescrizionale dovrebbe decorrere anche quando il danneggiato non è ancora titolare del diritto risarcitorio o, comunque, quando non è in condizione di esercitarlo, perché non a conoscenza del danno che ha subito.

In definitiva, secondo il Giudice rimettente, i danni provocati dal revisore alla società, ai soci o ai terzi non sono affatto danni discendenti immediatamente dal deposito della relazione di revisione, bensì “danni/conseguenza” rispetto ai quali è naturale che sussista uno iato temporale che li separi dal fatto generatore, ossia il deposito della relazione di revisione (frutto di attività di revisione negligente). Per tale ragione, anche per il revisore, dovrebbero valere i principi affermati in tema di responsabilità risarcitoria, secondo cui la fattispecie di responsabilità civile include nesso causale e danno e, pertanto, non può darsi prescrizione senza che il danno sia conoscibile al danneggiato.

3. La decisione della Corte Costituzionale

Investita della decisione, la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale posta.

Secondo la Corte, quanto all’asserita contrarietà alla Costituzione sotto il profilo dell’irragionevole disparità di trattamento (violazione dell’art. 3 Cost.), l’eterogeneità della disciplina sulla prescrizione prevista per le varie azioni di responsabilità disciplinate dall’ordinamento precluderebbe l’individuazione di un preciso termine di paragone, ai fini di un possibile giudizio di disparità di trattamento, rispetto al regime prescrizionale previsto per le azioni risarcitorie nei confronti dei revisori. Le regole sulla prescrizione previste per le azioni di responsabilità verso amministratori e sindaci, dunque, non possono costituire un adeguato termine di comparazione per esprimere un giudizio di irragionevole disparità di trattamento.

La Corte, inoltre, ha ritenuto non fondata anche la censura di irragionevolezza intrinseca (violazione degli artt. 3 e 24 della Cost.), tenuto conto a) del tipo di responsabilità che grava sul revisore e b) delle esigenze di tutela del danneggiato.

Sotto il primo profilo (il tipo di responsabilità del revisore), la Corte ricorda che il revisore è esposto a una responsabilità solidale con gli amministratori per i danni da questi cagionati, anche laddove sia stato minimo il suo contributo effettivo alla produzione del danno. Un simile assetto rende meritevole di protezione l’interesse del revisore a non vedersi ascritta una simile responsabilità trascorsi diversi anni dall’esecuzione della prestazione.

Con riguardo invece al secondo profilo (le esigenze di tutela del danneggiato), nella prospettiva della Corte, in linea generale il Legislatore potrebbe accordare al danneggiato un livello maggiore o minore di tutela. Il “livello maggiore” si realizzerebbe legando il decorso della prescrizione alla possibilità “di fatto” per il danneggiato di far valere la pretesa creditoria, correlata alla conoscibilità di tutti i danni risarcibili e della loro derivazione causale dall’illecito. La “tutela minima” consisterebbe invece nel decorso della prescrizione al verificarsi di una condotta lesiva già produttiva di danni e, dunque, idonea a far sorgere in qualche misura un credito risarcitorio.

Fatta tale premessa, la Corte centra l’analisi sulla prescrizione dell’azione di responsabilità esercitabile nei confronti del revisore dalla società che ha conferito l’incarico.

Secondo la Corte, far decorrere la prescrizione dal deposito della relazione di revisione realizza una tutela del danneggiato minima ma, nondimeno, accettabile. Nella responsabilità contrattuale – qual è appunto quella del revisore nei confronti della società che ha conferito l’incarico – l’inadempimento genera immediatamente un danno costituito dalla perdita economica derivante dal minor valore della prestazione eseguita in maniera inesatta. Per il revisore l’esecuzione della prestazione inesatta si perfeziona con il deposito della relazione di revisione; già a partire da tale momento, dunque, la società creditrice vanta un interesse attuale a far valere una pretesa risarcitoria. Di conseguenza, benché la posizione del danneggiato risulti certamente meno protetta di quanto lo sarebbe se la prescrizione decorresse dalla oggettiva conoscibilità di tutti i danni cagionati, non è manifestamente irragionevole che il legislatore abbia adottato un termine che si colloca a un livello di tutela minima del danneggiato, essendo quest’ultimo favorito dal carattere solidale della responsabilità del revisore.

Ebbene, dopo aver riconosciuto la legittimità della decorrenza della prescrizione dal deposito della relazione di revisione nell’ipotesi della responsabilità (contrattuale) dei revisori nei confronti della Società che ha conferito l’incarico, la Corte sente di dover precisare che alla medesima conclusione non è possibile giungere con riferimento all’azione risarcitoria di natura extracontrattuale che possono esperire i soci e i terzi.

Secondo la Corte, infatti, in tal caso il deposito della relazione da parte del revisore costituisce una condotta che non è ancora di per sé produttiva di danni immediati, proprio in ragione dell’assenza di un rapporto contrattuale nel quale si innesta l’illecito. In particolare, i soci e i terzi che intendono agire nei confronti del condebitore in solido devono dimostrare che sia stata effettuata una revisione erronea e incompleta, che la revisione abbia ingenerato un affidamento sulla attendibilità di quanto da essa erroneamente attestato, dando un contributo causale al compimento da parte di soci e di terzi di scelte per loro stessi pregiudizievoli e che da ciò derivino i danni di cui gli stessi domandano il ristoro. A fronte di tale fatto illecito, il dies a quo della prescrizione dell’azione risarcitoriaesperibile dai soci o dai terzi non può essere quello del deposito della relazione, che è antecedente al momento in cui si vengono a produrre i danni patiti.

In definitiva, secondo la Corte Costituzionale, per ricondurre l’art. 15, comma 3, del d.lgs. n. 39 del 2010 a una portata precettiva non contrastante con il principio di ragionevolezza e con la tutela minima da riconoscere al danneggiato, è sufficiente limitare il raggio applicativo della disposizione alle sole azioni con cui la società, che ha conferito l’incarico di revisione, fa valere il danno conseguente all’erronea o inesatta revisione.

4. La portata (semi)innovativa della decisione della Corte Costituzionale e i possibili riflessi sulla futura produzione giurisprudenziale societaria

La Corte Costituzionale, dunque, riconosce la validità costituzionale del trattamento di “favore” accordato al revisore legale, in punto di decorrenza del termine di prescrizione dell’azione (sociale) di responsabilità.

Tuttavia, nel fare ciò, la Corte esprime un principio innovativo: se è costituzionalmente accettabile che il dies a quo della prescrizione dell’azione di responsabilità contrattuale (per l’archetipo si vedano gli artt. 2393 e 2393 bis Cod. Civ.) inizi a decorrere dalla consumazione dell’illecito; diversamente, il dies a quo delle azioni di responsabilità extracontrattuale (i.e. gli artt. 2394 e 2395 Cod. Civ.) va individuato nel momento di effettiva percepibilità del danno.

In sostanza, stando al ragionamento della Corte, la compatibilità costituzionale della regola contenuta nell’art. 15, comma 3, D.lgs. n. 39 del 2010 non è piena ma è limitata alla prescrizione del diritto risarcitorio di cui è titolare la società, da far valere attraverso l’azione sociale di responsabilità. E ciò sembra costituire un revirement rispetto agli approdi cui è giunta la giurisprudenza societaria, secondo cui la previsione contenuta nell’art. 15, comma 3, D.lgs. n. 39/2010 si applica a tutte le azioni risarcitorie, di qualunque natura, esperibili ai sensi del medesimo art. 15 del D.lgs. n. 39 del 2010 contro il revisore e, dunque, anche da parte dei soci e dei terzi (Tribunale Milano, Sez. spec. in materia di imprese, Sent., 09/03/2020, n. 2068).

L’intervento della Corte Costituzionale potrà dunque avere un’eco nella pratica laddove l’iter argomentativo seguito dovesse essere recepito nella produzione giurisprudenziale successiva. In tale ipotesi, infatti, si verrebbe a realizzare un doppio binario applicativo, in virtù del quale ai terzi – e non è chiaro se tra questi vi rientrino anche i creditori sociali – e ai soci danneggiati dalla condotta tenuta dal revisore legale verrebbe riconosciuta una maggiore tutela, potendo beneficiare di un termine di prescrizione quinquennale soggetto ad un dies a quo mobile, legato all’effettiva percepibilità delle singole voci di danno e, dunque, alla maturazione del diritto risarcitorio relativo. Diversamente, al diritto risarcitorio della società verrebbe accordata una tutela attenuata – “minima”, ricorrendo al lessico della Corte – con un termine quinquennale di prescrizione avente un dies a quo rigido, coincidente con il deposito della relazione di revisione, che – si rileva per inciso – ha le sembianze di un termine decadenziale piuttosto che di un termine prescrizionale.

In aggiunta, in caso di pedissequo recepimento della distinzione tra azioni contrattuali e azioni aquiliane operata dalla Corte Costituzionale, rischierebbe di divenire piuttosto inestricabile il regime della prescrizione dell’azione esercitata dal curatore in caso di liquidazione giudiziale ex art. 255 del Codice della Crisi di Impresa, in cui – com’è noto – confluisce sia l’azione sociale di responsabilità (contrattuale) sia l’azione di responsabilità dei creditori (extracontrattuale).

Insomma, la Corte Costituzionale si è trovata a occuparsi di un tema in cui convivono equilibri delicati e che vede contrapposti, da una parte, l’interesse del danneggiato all’esercizio integrale del proprio diritto risarcitorio e, dall’altra, l’interesse del revisore a non convivere a tempo indeterminato con la Spada di Damocle di una possibile pretesa risarcitoria nei propri confronti. In questo contesto, se da un lato – almeno con riguardo alle azioni di responsabilità contrattuali – la Corte Costituzionale ha messo un punto fermo sulla tenuta costituzionale del precetto posto dal comma 3 dell’art. 15, dall’altro lato, ha aperto nuovi interrogativi applicativi.

 

[1] Panzani, L’azione di responsabilità ed il coinvolgimento del gruppo di imprese dopo la riforma, in Soc., 2002, 1483; Di Amato, Le azioni di responsabilità nella nuova disciplina della società a responsabilità limitata, in G. comm. 2003, 305; Rossi An., Art. 2393, in Il nuovo diritto delle società, Commentario sistematico al d.lg. 17 gennaio 2003, n.6, aggiornato al d.lg. 28 dicembre 2004, n. 310, a cura di Maffei Alberti, I Cedam 2005, 790.

[2] Galgano, Il nuovo diritto societario, in Tratt. Dir. Civ. e Dir. Pubbl. econom., diretto da Galgano, Cedam, 2003, 478; Bonelli, Gli amministratori di s.p.a. dopo la riforma delle società, Giuffrè, 2004, 215; Ambrosini, Il termine per l’esercizio delle azioni di responsabilità: prescrizione o decadenza?, in Soc., 2004, 1480 e ss.; Picciau, Artt. 2393, 2393 bis, 2394 bis, in Commentario alla riforma delle società, diretto da Marchetti-Bianchi-Ghezzi-Notari, Amministratori, a cura di Ghezzi, Egea-Giuffrè, 2005, 571; Nazzicone (-Providenti), Amministrazione e controlli nella società per azioni, Giuffrè, 2010; Sanfilippo, Gli amministratori, in Av. Vv., Diritto Commerciale, a cura di M. Cian, II, Giappichelli 2013, 423; G. F. Campobasso, Diritto commerciale. 2 Diritto delle società, M. Campobasso, Utet, 2015; Sambucci, Art. 2393, in Commentario del Codice Civile, diretto da E. Gabrielli, Delle società – Dell’azienda – Della concorrenza, a cura di Santosuosso, II, Artt. 2379 – 2451, Utet, 2015, 384.

[3]  Ex multis Cass. Civ. sez. I, 4 dicembre 2015, n. 24715; Cass. Civ. sez. I, 3 marzo 2021, n. 5795; Cass. Civ. sez. I, 9 maggio 2022, n. 14592; Trib. Trieste 14 novembre 2022, n. 559; Trib. Milano sez. spec. Impresa, 15 settembre 6915; Trib. Milano sez. spec. Impresa, 21 maggio 2020.

[4]  Art. 2035 c.c.: “La prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”.

[5]  Calvosa, La prescrizione dell’azione sociale di responsabilità nei confronti di amministratori e sindaci di società per azioni, in Società, banche e crisi d’impresa. Liber Amicorum Pietro Abbadessa, 2, Utet, 2014, 954; Vassalli, Art. 2393, Società di capitali. Commentario, a cura di Niccolini-Stagno D’Alcontres, II, Jovene, 2004, 683; Nazzicone (-Providenti), Amministrazione e controlli nella società per azioni, Giuffrè, 2010, 289 e ss.

[6]  In dottrina: Ambrosini, La responsabilità degli amministratori, in Abriani-Ambrosini-Cagnasso-Montalenti, Le società per azioni, Trattato di diritto commerciale, diretto da Cottino, IV, t.1, Cedam 2010, 658; Picciau, Artt. 2393, 2393 bis, 2394 bis, in Commentario alla riforma delle società, diretto da Marchetti-Bianchi-Ghezzi-Notari, Amministratori, a cura di Ghezzi, Egea-Giuffrè, 2005, 571. In giurisprudenza: ex multis, Cass., 4 dicembre 2015, n. 24715 in Giur. it., 2016, con nota di Rivaro, Prescrizione delle azioni di responsabilità e (in)certezza del diritto; Cass., 5 aprile 2012, n. 5504.

[7]  Art. 2394 c.c.: “Gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale. L’azione può essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti. La rinunzia all’azione da parte della società non impedisce l’esercizio dell’azione da parte dei creditori sociali. La transazione può essere impugnata dai creditori sociali soltanto con l’azione revocatoria quando ne ricorrono gli estremi”.

[8]  Art. 2949, comma 2, c.c.: “Nello stesso termine [cinque anni] si prescrive l’azione di responsabilità che spetta ai creditori sociali verso gli amministratori nei casi stabiliti dalla legge”.

[9]  Art. 2395, comma 2, c.c.: “L’azione può essere esercitata entro cinque anni dal compimento dell’atto che ha pregiudicato il socio o il terzo”.

[10] Sul punto Zamperetti, Art. 2395 c.c., in Il nuovo diritto societario. Commentario, diretto da Cottino-Bonfante-Cagnasso-Montalenti, I, Zanichelli, 2004, 828; Silvestrini, Art. 2395 c.c., in La riforma della società. Commentario, a cura di Sandulli-Santoro, II, t.1, Giappichelli, 2003, 510; Ambrosini, La responsabilità degli amministratori, in Abriani-Ambrosini-Cagnasso-Montalenti, Le società per azioni, Trattato di diritto commerciale, diretto da Cottino, IV, t.1, Cedam 2010, 658; Sambucci, Art. 2395 c.c., in Società di capitali. Commentario, a cura di Niccolini-Stagno D’Alcontres, II, Jovene, 2004, 705; Audino, Art. 2395 c.c., in Commentario Il nuovo diritto delle società, a cura di Maffei Alberti, Cedam, 2005, 848; Pinto, La tutela risarcitoria dell’azionista tra “danno diretto” e “danno riflesso”, Pisa University Press, 2012, 136; Zamperetti, Art. 2395 c.c., in Il nuovo diritto societario. Commentario, diretto da Cottino-Bonfante-Cagnasso-Montalenti, I, Zanichelli, 2004, 828.

[11]  Non mancano infatti precedenti anche recenti in cui i giudici di merito si sono espressi per la non applicabilità dell’art. 2393, comma 4, c.c. ai sindaci (cfr. Tribunale di Venezia, 28 febbraio 2024). Per l’applicabilità, invece, si veda, ex multis, Tribunale di Milano, 14 giugno 2021.

[12]  Cassazione civile sez. I – 28/07/2023, n. 23052.

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