La Corte di Cassazione con sentenza n. 1153 di data 11 gennaio 2024 (pres. Manna, rel. Amato) si è pronunciata in materia di responsabilità dei membri del Consiglio di Amministrazione (CdA) di una Società di Gestione del Risparmio per illeciti amministrativi, in applicazione dell’art 190bis t.u.f., ritenendo responsabili gli esponenti aziendali per le inosservanze derivanti da violazioni di doveri propri o del proprio organo, al ricorrere di alcune condizioni.
In tale sede stabilisce che per l’integrazione delle fattispecie contestate è sufficiente l’inosservanza della condotta doverosa, mentre non rileva il pregiudizio effettivo degli investitori; inoltre, al soggetto sanzionato spetta la prova di aver tenuto il comportamento dovuto e comunque dell’assenza di colpevolezza.
Nel caso di specie la Consob contestava al membro espressione di minoranza nel CdA la violazione di doveri, ascritti all’organo dalla normativa primaria e secondaria, di diligenza, trasparenza e correttezza a tutela dell’interesse dei fondi, degli investitori e dell’integrità del mercato, concretizzatasi nell’omissione di scelte strategiche, decisorie e organizzative, e di identificazione e gestione dei conflitti di interessi, anche nella trasmissione di ordini finanziari.
La Cassazione inquadra gli illeciti contestati nelle fattispecie di pericolo astratto, in quanto «di mera trasgressione»: questi sono soddisfatti dall’inosservanza di un comportamento dovuto finalizzato alla salvaguardia di procedure e funzioni, indipendentemente dal pregiudizio che possa derivarne.
In tale prospettiva, l’art 190bis deve essere letto nel senso che è sufficiente, per ritenere responsabili gli amministratori, una valutazione delle «ricadute delle condotte contestate», che accerti che l’inosservanza abbia inciso in modo rilevante sulla complessiva organizzazione o sui profili di rischio aziendale, mentre il requisito del grave pregiudizio per la tutela degli investitori, o per l’integrità e il corretto funzionamento del mercato, inteso come danno effettivo, rileva in via potenziale e alternativa: «non [è] necessari[o] per l’integrazione dell’illecito».
Nel caso di specie, la natura omissiva dell’inosservanza ha ricadute in termini di onere della prova.
Infatti, dall’applicazione dell’art 2697 c.c., per cui l’attore è tenuto alla prova dei fatti che egli pone a fondamento della sua pretesa, mentre il convenuto è tenuto alla prova dei fatti modificativi o estintivi, deriva che alla Consob spetta la dimostrazione dell’omissione, mentre al soggetto sanzionato spetta la prova di aver tenuto una condotta attiva doverosa o la sua inesigibilità.
In questa prospettiva la presunzione di colpevolezza viene interpretata come un onere della prova spettante in capo al sanzionato, di aver agito senza colpevolezza.
Ne consegue che nella difficoltà, propria degli illeciti di mera trasgressione, di individuare un comportamento riferibile al singolo soggetto tenuto alla condotta, il giudice può valutarlo sulla base di un «giudizio (…) “normativo”» come consapevolezza e volontà (cioè, «suità») dell’inosservanza.
Conferma quindi la conformità della sentenza impugnata a tali principi di diritto.