L’attività di direzione e coordinamento può essere astrattamente esercitata anche dalle società di gestione del risparmio, in forza di partecipazioni societarie di cui è titolare un fondo di investimento, gestito dalla SGR stessa. Di conseguenza, al gestore può essere imputata la responsabilità per scorretto esercizio dell’attività di direzione e coordinamento, ai sensi dell’art. 2497 c.c.
E’ quanto afferma il Tribunale di Milano – sezione specializzata in materia di impresa B, nella sentenza n. 90/2018.
In particolare, la pronuncia del giudice milanese si fonda sul disposto dell’art. 36, co. 1, TUF, che attribuisce alla SGR il potere di gestione del fondo comune di investimento da essa istituito. Ai fini dell’imputazione dell’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento risulta dunque irrilevante che la titolarità formale delle partecipazioni sia in capo ai fondi di investimento, anche perché nel nostro ordinamento – a differenza di numerosi ordinamenti stranieri – i fondi non sono soggetti di diritto autonomi e distinti dal gestore. Pertanto, l’esercizio del potere gestorio è in concreto imputabile alla SGR ed è proprio attraverso tale potere che si può manifestare l’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento. A tal proposito, inoltre, il Tribunale milanese precisa come tale attività possa essere esercitata dalla SGR anche tramite più fondi da essa gestiti, che detengono partecipazioni nella medesima società, dal momento che l’ordinamento attribuisce la responsabilità ex art. 2497 c.c. al soggetto che esercita in modo effettivo e concreto l’attività in questione. Accanto all’esercizio concreto dell’attività di direzione e coordinamento, per l’attribuzione della responsabilità ex art. 2497 c.c. è necessario siano provati anche gli ulteriori elementi costitutivi della fattispecie: (i) la condotta, ossia l’esercizio scorretto di tale attività, in violazione del principio di corretta gestione dell’impresa; (ii) il danno, individuato nel pregiudizio al valore o alla redditività della partecipazione sociale; (iii) il nesso di causalità tra la condotta e il danno. Nel caso specifico, il Tribunale ha rigettato la domanda di condanna al risarcimento dei danni avanzata dalla società controllata, sulla base di un aumento di capitale finalizzato all’ingresso di un nuovo socio posta in essere, secondo quanto allegato da parte attorea, in favore della controllante e non della controllata stessa, per difetto di prova della condotta illecita.