La responsabilità contrattuale dell’amministratore nei confronti della società che gli ha attribuito il mandato gestorio presuppone oltre alla deduzione di comportamenti tenuti dall’amministratore in violazione di specifici obblighi derivanti dalla legge e dallo statuto anche la dimostrazione che ne sia derivato un pregiudizio nella sfera giuridica della società, causalmente e logicamente connesso all’illecito prospettato, da rimediare attraverso il risarcimento per equivalente pecuniario.
Si tratta, infatti, di responsabilità civile che non è configurabile in termini semplicemente sanzionatori della condotta illecita prospettata attraverso la concezione di una sorta di danno “punitivo”, sganciato nella sua determinazione dalla effettiva dimostrazione della natura e consistenza del pregiudizio che dall’illecito sarebbe derivato alla società.
Ne consegue che la semplice violazione da parte dell’amministratore dell’obbligo di regolare tenuta delle scritture contabili, condotta di per sé inidonea a determinare un materiale pregiudizio nella sfera patrimoniale della società, non giustifica l’imputazione all’amministratore inadempiente della responsabilità per il dissesto e non è, quindi, sufficiente a fondare la pretesa del fallimento di pagamento della somma corrispondente alla differenza tra l’attivo ed il passivo fallimentare, come si trattasse di una misura sanzionatoria della violazione.
Né in mancanza di prova dell’imputabilità causale all’amministratore del dissesto o del suo aggravamento può essere invocata l’applicazione della presunzione che opera solo nel successivo momento della determinazione dell’entità del danno.
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