Nel ricorso cui è seguita la sentenza n. 34476 del 22 settembre scorso, le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione sono state investite della seguente questione di diritto: “se permanga la responsabilità da reato dell’ente in riferimento ai fatti criminosi di falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni delle società dopo la formale abrogazione dell’art. 2624, comma secondo, cod. civ., il cui contenuto di incriminazione è stato descritto da altra disposizione del decreto relativo di abrogazione”.
Nel caso di specie, veniva contestata la violazione dell’art. 174-bis del T.U.F., stante la peculiare natura di società quotata della società la cui comunicazione era oggetto di revisione, in quanto tale soggetta alla disciplina del T.U.F..
Tale norma, evidenziano le Sezioni Unite, non fa parte del codice civile, così come previsto dall’art. 25-ter, comma1, d.lgs. n. 231 del 2001, il quale, ai fini della responsabilità da reato dell’ente, espressamente fa riferimento ai “reati in materia societaria previsti dal codice civile”.
In tal senso, utilizzando le parole della Corte, si può parlare di un “indubbio alleggerimento della tutela para-penale nell’ambito della revisione contabile”.
In ragione di tali considerazioni, le Sezioni Unite hanno quindi enunciato il seguente principio di diritto: “il d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 39, nell’abrogare e riformulare il contenuto precettivo dell’art. 174-bis T.U.F. (Falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni delle società), non ha influenzato in alcun modo la disciplina propria della responsabilità amministrativa da reato dettata dall’art. 25-ter d.lgs. n. 231 del 2001, poiché le relative fattispecie non sono richiamate da questo testo normativo e non possono conseguentemente costituire fondamento di siffatta responsabilità”.