Nel caso in esame, la Corte è chiamata a deliberare in merito all’applicazione della sanzione disciplinare prevista dalla legge notarile a carico del notaio il quale rogiti un atto in carenza del requisito di terzietà dello stesso rispetto agli interessi delle parti. Ai sensi dell’art. 28, n. 3, della legge 16 febbraio 1913, n. 89 (c.d. Legge Notarile), al notaio è fatto divieto di ricevere o autenticare atti che contengano disposizioni che interessino lui stesso, la moglie o alcuno dei suoi parenti o affini suoi parenti o affini in linea retta, in qualunque grado, ed in linea collaterale fino al terzo grado, o persone delle quali egli sia procuratore. Secondo l’interpretazione della Corte, tale disposizione – posta appunto a presidio della terzietà e imparzialità del notaio – richiederebbe l’effettuazione di una valutazione ex ante in merito all’esistenza di un interesse personale del rogante, o degli altri soggetti che sono indicati nella noma, senza che rilevi in alcun modo se le parti abbiano o meno ricevuto un danno in concreto dall’atto rogato. La Corte aggiunge come l’interesse debba in primo luogo sussistere al momento dell’atto, traducendosi in motivo di irricevibilità dello stesso, in secondo luogo, emergere specificamente dall’atto in questione. Tali requisiti sarebbero da ritenersi integrati in particolare nel caso in cui il notaio, dopo aver rilasciato una fideiussione a favore di società, abbia rogato atti di compravendita, mutuo e apertura di credito in cui fosse parte la società da lui garantita.
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