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Giurisprudenza

Responsabilità penale dell’amministratore di società per il reato di dichiarazione fraudolenta

20 Dicembre 2016

Francesco Palladino, Cultore della materia in Diritto Tributario presso il dipartimento giuridico dell’Università del Molise

Cassazione Penale, Sez. III, 30 marzo 2016 (deposito 19 settembre 2016), n. 38717

Ai fini della responsabilità penale per il reato di dichiarazione fraudolenta, occorre dimostrare la consapevolezza dell’imputato riguardo la fittizietà delle fatture utilizzate allo scopo della presentazione della dichiarazione dei redditi.

Così concludono i giudici della terza sezione penale della Corte di cassazione, i quali, con la sentenza indicata in epigrafe, cassano con rinvio la sentenza emessa dalla Corte d’appello di Ancona in data 5 dicembre 2013 con la quale veniva condannato l’amministratore di una società di rilevanti dimensioni (per di più firmatario della dichiarazione dei redditi) alla pena di anni 1 mesi 8 di reclusione per il reato di dichiarazione fraudolenta.

La norma oggetto di controversia è l’art. 2, del D.Lgs. n. 74/2000, secondo cui “è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi passivi fittizi”.

Sul punto, i giudici Supremi chiariscono che, nel caso di specie, la circostanza della rappresentanza legale della società non può ritenersi sufficiente per integrare il presupposto del delitto di cui all’art. 2 del D.Lgs. n. 74/2000 nei confronti dell’amministratore, poiché, considerate le dimensioni non certamente minimali della società contribuente, “è invece necessario l’accertamento in concreto della sua consapevolezza della fittizietà delle fatture utilizzate ai fini della presentazione di una dichiarazione fiscale fraudolentemente falsa e correlativamente appunto verificare mediante l’assunzione di testi se di contro sia veritiera la tesi difensiva che tale consapevolezza non sussisteva, per detta ragione”.

Da ciò ne consegue che la pubblica accusa dovrebbe dimostrare che l’amministratore firmatario della dichiarazione fraudolenta fosse pienamente consapevole della frode in essere attraverso l’assunzione di testi – non essendo onere dell’imputato fornire tale prova, bensì dell’accusa offrire la prova positiva della esistenza di detta consapevolezza.

Su queste basi non si potrebbe pertanto attribuire la responsabilità dell’illecito al firmatario della dichiarazione per il solo fatto che questo fosse il rappresentate della società, ma occorrerebbero ulteriori prove che dimostrino la consapevolezza di quest’ultimo sulla mendacità delle fatture relative a costi fittizi esposti in dichiarazione “al solo fine di evadere le imposte” ai sensi e per gli effetti dell’art. 2 del D.lgs. n. 74/2000.

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