La Suprema Corte, nella sentenza in commento, si è pronunciata in tema di responsabilità del consigliere di amministrazione nella bancarotta fraudolenta impropria, cagionata, quindi, da soggetti diversi dal fallito che abbiano rappresentato una consistenza patrimoniale inesistente e falsificato i bilanci della società, fattispecie previste dall’art. 223 c.2 n.1 L.F. in relazione all’art. 2621 c.c.
La Corte pone alla base del suo ragionamento due premesse: tale reato è (i) proprio, nel senso che può essere commesso solo da chi riveste una determinata qualità o qualifica, e (ii) plurioffensivo, in quanto gli interessi tutelati riguardano sia quelli di natura economica latu sensu intesi, sia quelli relativi alla capacità del cittadino di determinarsi in ordine ai propri affari.
Confermando un suo precedente orientamento, la Corte ribadisce che il potere/dovere di agire informati (anche dei consiglieri non esecutivi) ex art. 2381 c.c. e la posizione di garanzia che rivestono i membri dell’organo amministrativo, determinano la responsabilità del consigliere che non si sia attivato per impedire l’evento pregiudizievole. Precisa, inoltre, che la rappresentazione dello stesso (quantomeno a livello eventuale) e la conseguente accettazione del rischio deve comunque derivare dai cd. “segnali d’allarme” dai quali sia possibile desumere un’anomalia rispetto al regolare svolgimento dell’attività sociale.
E’, dunque, responsabile quel consigliere che approva «incondizionatamente» il bilancio, anche quando le operazioni contabili fittizie siano state effettuate anteriormente alla sua nomina. A tal proposito, le segnalazioni di anomalie effettuate dal Collegio Sindacale non possono “sfuggire” al membro dell’organo amministrativo sulla base delle sue competenze tecniche e professionali e per la posizione che riveste all’interno della società. La Suprema Corte, sul tema del potere/dovere di informazione, distingue la condotta penalmente irrilevante del consigliere che per legittimo affidamento si avvale delle informazioni ricevute, da quella penalmente rilevante del consigliere che, consapevole del deficit informativo, non si adoperi per ottenere informazioni necessarie per configurare l’evento dannoso. In questa seconda tipologia di condotta rientra anche il caso in cui il consigliere una volta formulata – invano – la richiesta di informazioni reagisca dimettendosi e non adoperando una condotta alternativa alle dimissioni come, ad esempio, la non approvazione del bilancio. La sentenza in commento conclude, quindi, stabilendo la responsabilità del consigliere che, approvando il bilancio, concorre al mantenimento di artifici contabili, anche se compiuti in epoca anteriore alla sua nomina, in quanto gli effetti di tale contabilizzazione sono stati mantenuti nei bilanci successivi, causando il dissesto e il fallimento della società.