1. La decisione
Proponendo azione di responsabilità ai sensi dell’art. 2393-bis cod. civ., il socio di maggioranza di una società per azioni chiedeva la condanna del Presidente del consiglio di amministrazione e del direttore generale al risarcimento dei danni cagionati alla società (rispettivamente, amministrata e diretta), per essersi questi resi colpevoli di condotte distrattive quali l’“utilizzo delle carte di credito aziendali per spese personali” nonché l’effettuazione di“prelievi di denaro contante in assenza di giustificazioni”.
Quale ulteriore profilo di responsabilità (rispetto a quello di carattere commissivo sopra detto) l’attrice deduceva, a carico di entrambi i convenuti, l’ “omessa vigilanza [dell’uno] sull’operato dell’altro”: vale a dire, la responsabilità del direttore generale per omessa vigilanza sull’operato distrattivo posto in essere dal Presidente del consiglio di amministrazione e, viceversa, la responsabilità di quest’ultimo per omessa vigilanza sull’operato del direttore generale (autore di una condotta non solo egualmente distrattiva, ma perfettamente sovrapponibile a quella posta in essere dal Presidente).
Il Tribunale di Roma ‒sul presupposto che la funzione di amministratore e quella di direttore generale devono considerarsi “concettualmente e praticamente diverse, l’una consistendo nella gestione, l’altra nell’esecuzione, sia pure a livello elevato, delle disposizioni generali impartite dall’amministratore”, e pertanto, che esse “danno luogo a diverse e distinguibili responsabilità”[1]‒ ha:
(i) riconosciuto la responsabilità solidale del Presidente del consiglio di amministrazione rispetto alle condotte distrattive poste in essere dal direttore generale, affermando la sussistenza in capo al primo dell’obbligo di vigilare sull’attività posta in essere dal secondo; obbligo, quest’ultimo, che, secondo il Tribunale, costituisce esplicazione del più generale dovere di “diligenza richiesta dalla natura dell’incarico” imposto all’amministratore dal primo comma dell’art. 2392 cod. civ.;
(ii) negato la responsabilità solidale del direttore generale rispetto alle condotte distrattive realizzate dal Presidente del consiglio di amministrazione, “non potendosi ritenere che il direttore generale di una società di capitali abbia, tra i propri compiti, quello di vigilare sull’operato del Presidente del consiglio di amministrazione”.
Orbene, mentre la statuizione di cui al precedente punto (i) appare non solo condivisibile ma in linea con l’orientamento giurisprudenziale e dottrinale prevalente, secondo cui “normalmente” gli amministratori rispondono dell’operato illecito realizzato dal direttore generale, solidalmente con quest’ultimo, salvo che gli amministratori non siano in grado di fornire la “non semplice prova di aver predisposto un idoneo assetto organizzativo”[2], l’esclusione della sussistenza, in capo al direttore generale, di un obbligo di vigilanza anche sull’operato degli amministratori desta qualche perplessità, per le ragioni di cui si darà atto (brevemente) nel prosieguo.
2. La funzione di direttore generale, gli obblighi su di esso gravanti e le perplessità destate dalla pronuncia di specie
Sebbene il codice civile non offra una definizione di direttore generale[3] né provveda ad individuarne i relativi compiti, tale figura, come è stato autorevolmente osservato, risulta “sufficientemente delineata da una consolidata tipicità sociale”[4].
È pertanto possibile affermare che il direttore generale è quel funzionario di alto livello, in posizione preminente rispetto a tutti gli altri prestatori di lavoro, al quale spetta una funzione direttiva generale su tutti gli uffici[5].
Pur godendo di un ampio potere discrezionale nella scelta delle modalità operative, l’attività del direttore generale è essenzialmente rivolta alla esecuzione delle delibere dell’organo amministrativo, alla cui formazione, però, non concorre[6].
A parere di chi scrive l’esclusione della sussistenza in capo al direttore generale di un obbligo di vigilanza sull’operato dell’amministratore non è da condividersi, poiché contraria al dettato dell’art. 2396 cod. civ..
Secondo tale disposizione, trovano applicazione anche nei confronti del direttore generale “le disposizioni che regolano la responsabilità degli amministratori”[7].
In proposito, si osserva che la giurisprudenza di legittimità non ha mancato di rilevare come l’equiparazione realizzata dalla richiamata previsione sia fondata sulla “concreta considerazione della vicinanza di tale figura [i.e. del direttore generale]a quella degli amministratori, ai quali innegabilmente il direttore resta soggetto, ma con cui nondimeno strettamente collabora nell’organizzazione dell’impresa”: proprio tale vicinanza, prosegue la Corte, “spiega l’accostamento della sua alla loro responsabilità, non foss’altro che per la frequenza con cui l’una si intreccia all’altra”; circostanza, questa, che, secondo la Suprema Corte, “rende [addirittura] pienamente condivisibile (…) che anche eventuali disposizioni di legge speciale che concorrono a regolare la responsabilità degli amministratori delle società operanti in un determinato settore siano da ritenere applicabili (ove dalla stessa legge non si desuma chiaramente il contrario) alla responsabilità dei direttori generali di quelle medesime società”[8].
In forza del rimando operato dal richiamato articolo, appartiene al novero delle disposizioni pacificamente applicabili alla figura del direttore generale anche l’art. 2392 cod. civ.[9].
Tale disposizione, seppur modificata a mezzo della riforma del 2003, a detta della dottrina e della giurisprudenza prevalenti, non ha certo abolito, ma piuttosto ribadito (seppur nei più ristretti confini che emergono dal combinato disposto con il riformato art. 2381 c.c.) il principio della responsabilità solidale per omessa vigilanza[10].
In altri termini, “per effetto della disposizione di cui all’art. 2932, comma 2, cod. civ., nella formulazione attuale, (…) la posizione di garanzia e l’obbligo di intervento (…) postulano la conoscibilità dell’evento nella sua portata pregiudizievole per la società”; conoscibilità che, a seguito della novella, non può più presumersi, ma deve “emergere, al di là ed anche in contrasto con le informazioni date dall’amministratore operante, da segnali perspicui, peculiari nonché anomali”[11].
In ragione di tutto quanto illustrato, pare di potersi concludere che la ricorrenza della responsabilità solidale per omessa vigilanza sancita dall’art. 2392 cod. civ. ‒ applicabile al direttore generale ai sensi del rimando contenuto nell’articolo 2396 cod. civ. ‒ avrebbe potuto essere esclusa dal Tribunale solo all’esito del concreto accertamento della insussistenza (o incolpevole impercepibilità) dei “segnali” sopra descritti.[12]
Il Tribunale, tuttavia, ha ritenuto di non dover operare concretamente tale indagine, escludendo che l’obbligo di vigilanza del direttore generale debba esplicarsi anche nei confronti dei componenti dell’organo amministrativo; organo, questo, cui il direttore generale è “subordinato”.[13]
In presenza di un dettato normativo chiaro, quale quello di cui all’art. 2396 cod. civ., si ritiene che il Tribunale avrebbe dovuto, quantomeno, argomentare diversamente, nei termini ad esempio espressi da autorevole dottrina, secondo cui, a seguito della riforma, la responsabilità del direttore generale per l’operato dell’organo amministrativo non sarebbe più configurabile poiché l’obbligo di vigilanza oggi vigente “presuppone il particolare flusso informativo di cui all’art. 2381 cod. civ.”, flusso, quest’ultimo, “di cui sono destinatari gli amministratori, e non il direttore generale”[14].
Ad ogni modo, anche tale argomentazione non appare dirimente nel caso deciso dalla pronuncia in commento.
Come riferito dalla pronunzia medesima, infatti, lo Statuto sociale prevedeva che il direttore generale“partecipa[sse] alle riunioni del consiglio con diritto di intervento”: circostanza, questa, che, a maggior ragione, avrebbe dovuto comportare l’accertamento in concreto della insussistenza (o incolpevole impercepibilità) dei “segnali di allarme” di cui si è detto.
[1] Formula, quella riportata (ed utilizzata dal Tribunale capitolino), frequentemente utilizzata nella giurisprudenza di legittimità più risalente (Cass. 10/11/1987 n. 8279; Cass. 16/6/1979 n. 3400) e che, come sottolineato da Cass. 5/12/2008 n. 28819, “offre un parametro di riferimento che, pur chiaro sul piano teorico, si rivela in realtà ben difficile da applicare in concreto”.
[2] Così M. Franzoni, Sub art. 2396 cod. civ., Dell’amministrazione e del controllo, in Commentario del codice civile Scialoja – Branca, III, 1, Bologna-Roma, 2008, p. 610.
[3]Al riguardo, si osserva che “si deve prendere atto che il legislatore non ha ritenuto di cogliere l’occasione della novella per definire la fattispecie dei direttori generali sicché essa resta da ricostruire in via induttiva attraverso le compulsazioni delle norme penali che assumono tali soggetti attivi” (Antonetto, Sub art. 2396 – Direttori generali, in Il nuovo diritto societario. Commentario diretto da Cottino-Bonfante-Cagnasso-Montalenti, Bologna, 2004, p 837).
[4] Abbadessa, Il direttore generale, in Trattato delle società per azioni diretto da Colombo Portale, IV, Torino, 1991, p. 461 e nt. 1.
[5] Frè, Società per azioni, in Commentario al codice civile, a cura di Scialoja-Branca, Bologna, 1972, p. 510.
[6] Cfr. Cass. 5/12/2008 n. 28819. Nello medesimo senso, si vedano anche: Cass. 13 novembre 1999, n. 12603, in Riv. it. dir. lav. 2000, II, p. 521; Cass. 20/11/1990, n. 11208, in Le Società, 1991, p. 473, ove si afferma che il direttore generale, pur potendo partecipare alle riunioni del consiglio di amministrazione, può esprimere però solo un voto consultivo, senza contribuire alla formazione della volontà dell’organo amministrativo; quanto alla giurisprudenza di merito: Trib. Torino 9 aprile 1997, in Giur. it. 1998, I, 2, p. 1691. In dottrina: Abbadessa, op. cit., p. 462; Borgioli, I direttori generali di società per azioni, Milano, 1975, p. 28; Campobasso, Diritto commerciale. Diritto delle società, II, 2012, p. 402-403.
[7] Secondo un orientamento, prevalente in giurisprudenza, la disciplina prevista per la responsabilità degli amministratori si applicherebbe al direttore generale esclusivamente nel caso in cui la posizione apicale di tale soggetto, all’interno della società (sia questo o meno un lavoratore dipendente), sia desumibile da una nomina formale da parte dell’assemblea o prevista da una specifica previsione statutaria: la nomina effettuata con modalità diverse rispetto a quelle di cui allo schema tipizzato dal legislatore comporterebbe la sola responsabilità degli amministratori deleganti che li abbiano nominati (cfr. Cass. 18/11/2015 n. 23630; Cass. 5/12/2008 n. 28819; Cass. 12/12/2003 n. 18995; Cass. 14/12/1970 n. 2667; Cass. 5/7/1968 n. 2284); altro orientamento (rinvenibile, in particolare, nella giurisprudenza di merito) ha svalutato l’elemento formale della nomina, sottolineando l’irragionevolezza della previsione di un diverso regime di responsabilità a parità di funzioni: del resto, il riconoscimento della responsabilità in capo al cd. amministratore di fatto, vale a dire, a chi rivesta tale carica seppur in assenza di un’investitura formale (Cass. 12.3.2008, n. 6719; Cass. 23.4.2003, n. 6478; Cass. 14.9.1999, n. 9795; Cass. 6.3.1999, n. 1925), porterebbe a concludere che non possa applicarsi un diverso regime anche nel caso in cui l’assenza del dato formale della nomina riguardi chi abbia svolto in concreto le funzioni di direttore generale (in merito alla non necessarietà di una nomina formale si è espressa anche la recente Trib. Bologna 3/11/2014, in dejure.giuffrè.it).
[8] Così Cass. civ., sez. I, 12/6/2007 n. 13765.
[9] Quanto alla configurabilità anche in capo al direttore generale di tutte le fattispecie di responsabilità previste dall’art. 2392 cod. civ., si vedano, su tutti: pre-riforma Abbadessa, op. cit., p. 476; post-riforma m. franzoni, op. cit., p. 610-611.
[10] S. Cameli, Alcuni aspetti processuali dell’azione sociale di responsabilità contro gli amministratori, in Giust. civ. 2004, 2345 ss..
[11] Così, efficacemente, Trib. Milano 3 marzo 2015 n. 2826, in www.giurisprudenzadelleimprese.it (sottolineature aggiunte).
[12] Circostanze, quelle indicate, che esentano da responsabilità i componenti non esecutivi dell’organo di amministrazione.
[13] Quanto alla subordinazione del direttore generale rispetto alle decisioni dell’organo amministrativo, sia dato rilevare che, come riconosciuto sia in dottrina che in giurisprudenza, il vincolo di obbedienza alle decisioni degli amministratori incontra almeno ben due limiti: ed infatti, “egli può (e deve) innanzi tutto discostarsi dalle istruzioni ricevute qualora circostanze ignote agli amministratori e tali da non poter essere comunicate loro in tempo facciano ragionevolmente ritenere che essi avrebbero approvato la deviazioni”; inoltre, “può (e deve) rifiutarsi di prestare ossequio ai deliberati superiori se dalla loro esecuzione può sortire una responsabilità a suo carico” (così e. giorgiantonio, Transazione con amministratori e sindaci e responsabilità del direttore generale di fatto di una banca, in Banca borsa tit. cred. 2011, 3, II, 333 ed ivi i richiami dottrinali a nt. 25). In giurisprudenza si veda, tra le ultimissime, Cass. 18/11/2015 n. 23630, la quale ha avallato la decisione con cui la Corte di merito aveva ritenuto provata la responsabilità del direttore generale, ai sensi dell’art. 2392, comma II, cod. civ., in ragione del fatto chesu costui gravava il “potere-dovere di valutare la legittimità delle decisioni degli amministratori prima di darvi esecuzione e dunque di rifiutarsi di eseguire le decisioni degli amministratori in ipotesi illegittime“.
[14] M. Spiotta, Direttori generali, in g. cavalli (a cura di), Assemblea e amministratori, in Nuova giurisprudenza di diritto civile e commerciale, 2013, 759 ss.).