Il presente contributo analizza il pacchetto di misure sugli investimenti al dettaglio proposto dalla Commissione europea (Retail Investment Strategy) con particolare riguardo alle novità che interessano il regime degli inducement e del value for money.
1. Cenni sulla Retail Investment Strategy
Nel 2015 la Commissione europea ha adottato l’action plan denominato Capital Markets Union (CMU) volto a creare un unico mercato dei capitali all’interno dell’Unione europea i cui scopi principali erano quelli di ampliare le fonti di finanziamento per le imprese, di determinare un miglior funzionamento dei mercati e di offrire agli investitori maggiori opportunità di investire il loro denaro per promuovere la crescita e creare posti di lavoro [1].
Successivamente, nel 2020, la Commissione europea, tenuto conto del mutato contesto determinato dalla pandemia, dalla digitalizzazione e dal Green Deal europeo, ha adottato un nuovo e più ambizioso piano d’azione relativo alla CMU attraverso il quale la stessa mira a realizzare 16 azioni per conseguire tre obiettivi principali, ovvero: i) sostenere una ripresa economica verde, digitale, inclusiva e resiliente, rendendo i finanziamenti maggiormente accessibili per le imprese europee; ii) rendere l’Unione europea un luogo ancora più sicuro nel quale le persone possano risparmiare e investire nel lungo termine; iii) fare convergere i mercati nazionali dei capitali in un vero mercato unico [2].
Nell’ambito della ormai nota Retail Investment Strategy il 24 maggio 2023 la Commissione europea, ricevute le pertinenti valutazioni richieste a ESMA e a EIOPA [3], ha emanato il Retail Investment Package [4], ossia una proposta legislativa volta a ad accrescere la tutela riservata alla clientela al dettaglio da inquadrarsi nell’ambito dell’azione n. 8 dell’action plan relativo alla CMU [5]. La dichiarata finalità delle misure proposte è quella di costituire un framework normativo che consenta alla clientela retail di beneficiare appieno delle opportunità di investimento disponibili, creando così le condizioni necessarie per aumentare la partecipazione dei clienti al dettaglio ai mercati dei capitali [6].
Il Retail Investment Package è composto da due atti normativi di primo livello: i) una proposta di direttiva, detta in gergo Omnibus in ragione della sua trasversalità, volta a modificare contemporaneamente la direttiva sui mercati degli strumenti finanziari (MiFID 2), la direttiva sulla distribuzione assicurativa (IDD), la direttiva sugli organismi di investimento collettivo in valori mobiliari (UCITS), la direttiva sui gestori di fondi di investimento alternativi (AIFMD) e la direttiva sull’accesso e l’esercizio dell’attività di assicurazione e riassicurazione (Solvency II); e ii) un regolamento che modifica il regolamento sui prodotti d’investimento al dettaglio e assicurativi preassemblati (il Regolamento PRIIP).
Dalla struttura del pacchetto normativo è chiaro che l’intervento proposto dalla Commissione è caratterizzato da un approccio modificativo e intersettoriale in quanto volto all’emendare anziché sostituire la normativa attualmente vigente in molteplici ambiti. Questa modalità di intervento rispecchia la volontà del legislatore comunitario di garantire il medesimo livello di protezione degli investitori al dettaglio in tutta l’Unione, indipendentemente dal prodotto di investimento scelto e dal canale distributivo utilizzato [7].
Si deve poi considerare che la proposta della Commissione europea è soltanto la prima versione della Retail Investment Strategy in quanto per l’adozione del provvedimento definitivo si dovrà esaurire la procedura legislativa ordinaria dell’Unione. È dunque chiaro che la proposta così come formulata potrebbe subire importanti modifiche nel corso dell’iter legislativo comunitario che, come noto, prevede la possibilità per il Parlamento e il Consiglio europeo di proporre emendamenti. Tuttavia il testo della proposta attuale è molto significativo e merita attenzione in quanto fornisce una chiara indicazione della direzione in cui le istituzioni europee si stanno muovendo.
In ultimo, ai fini della piena entrata in vigore della Retail Investment Strategy sarà necessaria, successivamente all’emanazione del testo definitivo della disciplina primaria, anche l’adozione degli atti delegati e delle norme tecniche di regolamentazione necessari a completare la nuova disciplina: senza tali provvedimenti le modifiche di primo livello rimarrebbero per buona parte inattuabili in concreto.
2. Le criticità collegate alle revenue dei produttori e distributori
L’intervento normativo proposto con la Retail Investment Strategy è innanzitutto teso a risolvere le criticità concretamente riscontrate dalla Commissione europea nell’attuale quadro normativo, tra le quali due sono strettamente legate alle revenue percepite dai produttori e dai distributori.
La prima di queste riguarda la materia degli incentivi come elemento foriero di possibili gravi conflitti di interesse. Con il termine incentivi si intende l’insieme dei compensi, delle commissioni e dei benefici non monetari che l’intermediario riceve da terzi o paga a terzi in relazione ai servizi prestati in favore della propria clientela. La Commissione ha ritenuto gli incentivi estremamente pericolosi, tanto che a livello comunitario ne era stato ipotizzato il divieto assoluto in ragione della loro idoneità a condizionare il comportamento degli intermediari nei confronti della clientela. Gli incentivi, infatti, possono determinare conflitti di interesse e influenzare la consulenza resa dai distributori che, proprio in ragione degli incentivi ricevuti, potrebbero essere indotti a raccomandare prodotti più costosi e meno performanti, questo più nel proprio interesse che in quello del cliente finale [8].
La seconda criticità attiene il così dettò “value for money”, ossia il rapporto qualità prezzo dei prodotti offerti alla clientela al dettaglio. Sulla base delle indagini effettuate la Commissione afferma, infatti, che sul mercato sono presenti prodotti i cui costi superano di gran lunga i benefici che offrono ai loro sottoscrittori [9]. Da qui la necessita di introdurre meccanismi più efficaci volti a fare in modo che alle commissioni pagate dai clienti corrisponda necessariamente del valore nel prodotto o nel servizio erogato loro.
In estrema sintesi la Commissione ha chiaramente ritenuto che la disciplina attuale degli incentivi e una non sufficiente attenzione al value for money sono circostanze idonee ad andare a detrimento del rendimento netto dei prodotti destinati ai clienti al dettaglio e, di conseguenza, anche della fiducia nei mercati riposta da questi ultimi.
Al riguardo la Commissione europea, anche al fine di illustrare le ragioni sottese al suo significativo intervento, ha stigmatizzato che il 45% dei consumatori non è sicuro che la consulenza che riceve dagli intermediari finanziari sia effettivamente svolta tenendo in principale considerazione il loro interesse [10] nonché il fatto che ai clienti al dettaglio nel 2021 è stato addebitato a titolo di costi e oneri mediamente circa il 40% in più rispetto agli investitori istituzionali [11]. Queste circostanze sono ritenute idonee a creare la disaffezione dei clienti al dettaglio verso i mercati, il che può trovare una conferma empirica nel fatto che in Europa la partecipazione dei clienti retail ai mercati è di gran lunga inferiore rispetto a quella registrata in altre economie avanzate. Sul punto la Commissione ha, infatti, rilevato che nel 2021 in Europa solo il 17% del patrimonio delle famiglie è investito in strumenti finanziari mentre, ad esempio, negli Stati Uniti questa percentuale è del 43% [12].
Il Retail Investment Package si propone, dunque, di intervenire nel contesto normativo attuale al fine di introdurre correttivi per eliminare le criticità riscontrate in materia di remunerazione e costi mediante, da un lato, una riforma della materia degli incentivi e, dall’altro, un rafforzamento della product governance con l’introduzione di un apposito processo di determinazione del prezzo: questo vorrebbe attenuare i conflitti di interesse e granatiere il value for money dei prodotti destinati alla clientela retail [13].
3. La proposta di riforma della disciplina degli incentivi in ambito MiFID 2 e IDD nella Retail Investment Strategy
3.1. L’indirizzo adottato dalla Commissione europea
La proposta della Commissione mira a modificare in maniera significativa le disciplina degli inducement senza tuttavia vietarli completamente. È stata infatti momentaneamente accantonata dalla Commissione l’idea di un divieto totale degli incentivi, tematica che è stata oggetto un acceso dibattito sia in sede comunitaria che nei singoli Stati membri.
Nell’ambito dell’Explanatory Memorandum la Commissione, infatti, pur dando atto che dalla valutazione d’impatto è emerso che il totale divieto degli incentivi sarebbe il metodo migliore per eliminare o quantomeno ridurre sensibilmente i conflitti di interesse e, dunque, il pregiudizio per gli investitori, ha ritenuto che l’introduzione di un tale divieto comporterebbe mutamenti sostanziali e improvvisi sui sistemi di distribuzione esistenti, ciò con conseguenze difficilmente prevedibili ex ante che potrebbero, dunque, anche andare a detrimento degli investitori che la misura mira a tutelare [14]. Da qui la decisione di rivedere, estendendoli, i divieti esistenti in materia di incentivi, soluzione che, oltre ad aver un minor impatto sui sistemi distributivi in essere, è stata comunque ritenuta in grado di apportare concreti vantaggi per gli investitori al dettaglio.
Tuttavia sul punto è importante ricordare che la Commissione europea, decorsi tre anni dell’entrata in vigore del Retail Investment Package, valuterà gli effetti concreti determinati dal nuovo framework normativo. In tale occasione, laddove si ritenesse che, nonostante le salvaguardie aggiuntive apprestate, gli incentivi continuino a nuocere alla clientela retail, la Commissione valuterà di proporre misure volte a estendere ulteriormente i divieti in materia [15].
La nuova disciplina in materia di incentivi della Retail Investment Strategy mira a innovare sensibilmente quella attualmente vigente sia in ambito MiFID 2 che IDD.
Ad oggi sussiste già un divieto per le imprese di investimento di pagare e percepire incentivi. Il divieto di incassare inducement è insuperabile con riferimento ai servizi di gestione di portafogli e di consulenza su base indipendente. Al di fuori di questi casi, invece, le imprese di investimento possono legittimamente corrispondere ovvero ricevere e trattenere incentivi a condizione che questi, oltre a non pregiudicare l’adempimento dell’obbligo di agire in modo onesto, equo e professionale nel migliore interesse del cliente, superino il quality enhancement test. In estrema sintesi i compensi, le commissioni o i benefici non monetari, per poter essere valutati legittimi, devono essere ritenuti dall’intermediario come concepiti per migliorare la qualità del servizio reso al cliente [16].
In ambito IDD, invece, la normativa comunitaria, anziché lo svolgimento del quality enhancement test, prevede l’effettuazione di una valutazione meno severa in relazione alla distribuzione di IBIP, richiedendo di valutare se l’inducement, oltre a non pregiudicare il rispetto dell’obbligo di agire in modo onesto, equo e professionale nel migliore interesse del cliente, non determini alcuna ripercussione negativa sulla qualità del relativo servizio prestato al cliente [17].
La nuova disciplina degli incentivi proposta dalla Commissione europea mira a sostituire pressoché integramente quella attualmente vigente sia in ambito MiFID 2 che IDD, dettando delle regole che, pur tenendo conto dei diversi ambiti applicativi, nei risultati sono comuni sia alla prestazione dei servizi di investimento che alla distribuzione di prodotti di investimento assicurativi.
3.2. Le modifiche della disciplina degli incentivi proposte dalla Retail Investment Strategy in ambito MiFID 2
Con specifico riferimento alle modifiche proposte dalla Retail Investment Strategy per la Direttiva MiFID 2 la Commissione, oltre a confermare il divieto di incassare incentivi nell’ambito della prestazione dei servizi di gestione di portafogli e di consulenza in materia di investimenti su base indipendente, introduce il divieto di pagare e ricevere inducement anche per i servizi di ricezione e trasmissione di ordini e di esecuzione di ordini per conto dei clienti svolti in favore della clientela retail, salvo che tali servizi vengano prestati in abbinamento alla consulenza in materia di investimenti su base non indipendente [18]. Laddove tali servizi siano prestati in abbinamento al servizio di consulenza su base non indipendente l’intermediario potrà, infatti, legittimamente percepire e pagare inducement che sarebbero, infatti, giustificati dal più elevato livello di servizio che la consulenza garantisce [19].
Un’altra esenzione al divieto di pagare e percepire incentivi nell’ambito dei servizi esecutivi è prevista in relazione al servizio di sottoscrizione e collocamento in entrambe le sue varianti [20]. La proposta, infatti, precisa che è legittimo per gli intermediari percepire o pagare incentivi nell’ambito dei rapporti con gli emittenti con cui gli stessi hanno concluso un accordo di collocamento, eccezion fatta laddove lo strumento finanziario oggetto del servizio esecutivo sia un PRIP. In quest’ultimo caso, infatti, la proposta della Commissione è di mantenere fermo il divieto agli inducement introdotto con riferimento ai servizi esecutivi [21]. La ratio di questa diversa disciplina, che fa dello strumento finanziario oggetto del collocamento il discrimen per la legittimità o meno degli incentivi, risiede nell’esigenza di non ostacolare la necessità degli emittenti di titoli azionari e obbligazionari di accedere al mercato dei capitali e di ottenere i necessari fondi per lo svolgimento della loro attività, esigenza che non sussiste in maniera così consistente per i PRIP che sono per la maggior parte prodotti creati ad hoc da soggetti istituzionali per soddisfare la domanda della clientela retail [22]. Anche con riferimento al collocamento di PRIP, dunque, al pari di quanto ipotizzato per i servizi di esecuzione e di ricezione e trasmissione di ordini, è necessario che venga prestata consulenza al cliente finale al fine di legittimare gli incentivi.
La proposta della Commissione, poi, afferma l’ammissibilità di benefici non monetari minori di valore complessivo inferiore agli Euro 100,00 annui o di entità e natura tali da non poter indurre l’intermediario di agire in contrasto con l’interesse del cliente, ciò a condizione che gli stessi siano stati chiaramente comunicati a quest’ultimo [23].
In ogni caso, laddove l’intermediario possa legittimamente pagare o percepire inducement, resta fermo quale norma di chiusura che gli incentivi non devono mai pregiudicare il rispetto del dovere dell’intermediario di agire in modo onesto, equo e professionale nei confronti della clientela che, inoltre, deve essere sempre informata della natura e dell’importo dell’incentivo pagato o percepito dall’intermediario [24].
3.3. Le modifiche della disciplina degli incentivi proposte dalla Retail Investment Strategy in ambito IDD
La proposta modificativa della disciplina dei servizi di investimento della Retail Investment Strategy è del tutto simile a quella ipotizzata in ambito IDD che, di fatto, la ricalca tenendo però in debita considerazione l’ontologica differenza tra i servizi di investimento e l’attività di distribuzione assicurativa.
Sul punto la proposta mira a vietare la possibilità per le imprese di assicurazione e per i distributori assicurativi di pagare e percepire incentivi laddove, unitamente all’attività distributiva di IBIP svolta, non prestino consulenza sul prodotto oggetto di vendita. Al pari di quanto previsto in ambito MiFID 2, dunque, solo le vendite di IBIP accompagnate da consulenza su base non indipendente legittimano gli incentivi. Anche in ambito IDD tale divieto non si vorrebbe applicare ai benefici non monetari minori di valore complessivo inferiore agli Euro 100,00 annui o di entità e natura tali da non poter essere giudicati tali da pregiudicare il rispetto dell’obbligo di agire nel migliore interesse del cliente. Anche per la distribuzione di IBIP vale il principio generale secondo il quale gli inducement non devono mai pregiudicare il rispetto del dovere dell’intermediario di agire in modo onesto, equo e professionale nei confronti della clientela che, inoltre, anche in questo caso, deve essere sempre informata della natura e dell’importo dell’incentivo pagato o percepito dal distributore [25].
In ragione della natura della IDD quale direttiva di minima armonizzazione la proposta della Commissione prevede la possibilità per gli Stati membri di introdurre divieti più stringenti alla percezione e al pagamento di inducement da parte dei distributori assicurativi e delle imprese di assicurazione. Tali divieti possono essere estesi sin anche alla previsione di obblighi di restituzione alla clientela degli incentivi percepiti, eventualmente anche sotto forma di compensazione con le commissioni dovute dal cliente, ciò anche laddove il distributore presti consulenza. Le ulteriori restrizioni di carattere nazionale, ove introdotte in uno Stato membro, troveranno applicazione a tutti i contratti conclusi con contraenti aventi la residenza o la sede in tale Stato membro, questo indipendentemente dalla nazionalità del distributore e dal fatto che la sua operatività sia svolta in regime di stabilimento o di libera prestazione di servizi [26].
3.4. Il principio del best interest nell’ambito della consulenza
Nell’ambito della Retail Investment Strategy, quando si parla di inducement non si può non fare riferimento anche alle nuove caratteristiche che si aspira ad attribuire alla consulenza in materia di investimenti e alla consulenza su prodotti di investimento assicurativi.
La proposta della Commissione, come già detto, afferma il divieto assoluto di pagamento e di incasso di incentivi nell’ambito dei servizi di gestione di portafogli e di consulenza su base indipendente. Tale divieto trova applicazione anche ai servizi di ricezione e trasmissione di ordini ed esecuzione di ordini per conto dei clienti nonché al collocamento di PRIP e alla distribuzione di IBIP. Con riferimento a tali ultimi servizi il divieto è tuttavia superabile e, pertanto, gli incentivi diventano legittimi, laddove il distributore, in abbinamento agli stessi, presti il servizio di consulenza su base non indipendente.
Il legame tra incentivi e consulenza, già comunque presente nell’ambito dell’attuale quality enhancement test, diviene dunque ancora più stretto ed evidente.
Dal tenore complessivo della proposta della Retail Investment Strategy emerge in particolare la volontà di operare una formale sostituzione del quality enhancement test proprio della disciplina MiFID 2 e del not detriment test previsto dalla IDD [27] con l’istituto del best interest del cliente, ossia con l’abbinamento ai servizi esecutivi di una consulenza di maggiore qualità dotata di caratteristiche volte a fare in modo che la stessa venga effettivamente resa nell’interesse del cliente al dettaglio [28].
Al fine di rendere legittimi gli incentivi si passa dunque da un test volto a valutare come i singoli inducement incidano, in positivo (enhancement in ambito MiFID 2) o in negativo (detriment in ambito IDD), sul servizio prestato in favore del cliente, alla necessità di abbinare ai servizi esecutivi una consulenza di maggior valore aggiunto per la clientela al dettaglio.
Dal tenore complessivo della proposta della Commissione sembra che sia proprio l’innalzamento del livello minimo della consulenza il fattore giustificativo degli incentivi che, in qualche modo, paiono destinati a remunerare proprio il maggior valore che si vuole necessariamente attribuire a tale servizio.
Si va dunque verso l’introduzione di una consulenza con caratteristiche di base più sofisticate che possa essere di maggior utilità per la clientela al dettaglio in quanto pensata per fare in modo che i distributor agiscano in modo onesto, equo e professionale nell’interesse dei propri clienti. In particolare le imprese di investimento e i distributori assicurativi nella prestazione del servizio di consulenza saranno tenuti nei confronti della clientela retail a:
- fornire consulenza sulla base di una valutazione di una gamma adeguata di strumenti finanziari/prodotti di investimento assicurativo;
- raccomandare il prodotto dal punto di vista commissionale più conveniente tra quelli identificati come adeguati e aventi caratteristiche similari;
- raccomandare, nell’ambito della gamma di prodotti individuati come adeguati al cliente, almeno un prodotto senza funzionalità aggiuntive che non siano strettamente necessarie per il raggiungimento degli obiettivi del cliente e che diano origine a costi aggiuntivi [29].
Con specifico riferimento ai soli IBIP la proposta prevede che i distributori, nell’ambito della consulenza fornita, prendano in considerazione anche gli strumenti finanziari sottostanti al prodotto sia nella definizione della gamma adeguata che nell’individuazione di prodotti di investimento assicurativi similari al fine di valutarne i costi [30].
Si deve precisare che i sopra descritti requisiti della consulenza sono svincolati dalla percezione o meno di incentivi in quanto gli stessi devono trovare applicazione a tutti i distributor, finanziari o assicurativi, che prestano consulenza.
Questi nuovi attributi obbligatori che si vogliono aggiungere alla consulenza mirano a fare in modo che la stessa venga effettivamente resa nell’interesse del cliente, cercando di epurare le raccomandazioni personalizzate da possibili distorsioni determinate dal pagamento o dalla percezione di incentivi.
Del resto una consulenza ad elevato valore aggiunto non può che basarsi sulla considerazione di una gamma sufficientemente ampia di prodotti che sia idonea a soddisfare le esigenze e gli obiettivi dei diversi cluster di clientela. Inoltre è sempre nell’interesse dei clienti ottenere raccomandazioni che tengano conto del costo dei prodotti in modo tale che le loro necessità vengano soddisfatte con i prodotti economicamente più vantaggiosi tra quelli disponibili evitando, nella sostanza, che i costi erodano i rendimenti. Anche la raccomandazione di un prodotto privo di caratteristiche non essenziali a soddisfare le esigenze del cliente è un’attività chiaramente tesa a fare in modo di evitare che gli investitori acquistino prodotti con componenti inutili che hanno l’effetto di gravare su di loro dal punto di vista commissionale senza alcun corrispettivo vantaggio effettivo.
La valutazione di adeguatezza che accompagna necessariamente l’effettuazione di raccomandazioni personalizzate viene inoltre rafforzata con la previsione, tra le altre cose, che l’intermediario dovrà prendere in considerazione anche la composizione e la diversificazione del portafoglio del cliente, requisito che dovrà essere esplicitato anche nel report di consulenza che viene fornito alla clientela retail [31]. Questa previsione estende dunque le informazioni che i soggetti abilitati sono chiamati a raccogliere e valutare nell’ambito del processo di valutazione di adeguatezza.
La proposta della Retail Investment Strategy mira poi a introdurre anche in ambito assicurativo l’obbligo per gli Stati membri di prevedere la consulenza su base indipendente sugli IBIP che la IDD oggi delinea come solo facoltativa [32]. Anche con riferimento a tale tipologia di consulenza, come già previsto in ambito MiFID 2, si vuole vietare per i distributori la percezione di inducement [33]. Le disposizioni in materia di consulenza su base indipendente che la proposta mira a introdurre non sono una novità per l’Italia che, infatti, sulla scorta delle previsioni in ambito MiFID 2, ha già previsto e disciplinato tale tipologia di consulenza collegandola al divieto di percepire incentivi da parte dei distributori di IBIP [34].
4. Il rafforzamento del value for money nella Retail Investment Strategy
4.1. Lo stato dell’arte del value for money
La Retail Investment Strategy mira a rafforzare il processo di product governance con particolare riferimento ai processi di determinazione dei prezzi dei PRIIP al fine di garantire che i prodotti destinati alla clientela retail offrano un buon rapporto qualità-prezzo [35]. Quello che l’intervento sul punto mira ad ottenere è evitare che sul mercato siano presenti prodotti che hanno un rapporto qualità-prezzo nullo o, comunque, insufficiente [36].
La tematica del value for money, ossia della relazione tra il prezzo del prodotto e la qualità offerta in termini di performance finanziaria, garanzie, caratteristiche e servizi correlati, non è una novità in quanto l’argomento è stato oggetto negli scorsi anni di diverse analisi e valutazioni da parte sia dell’EIOPA che dell’ESMA.
In particolare l’EIOPA nel 2021 ha rilasciato un supervisory statement proprio in materia di value for money relativo alle polizze unit linked, anche ibride. In tale ambito si mirava ad introdurre un approccio comune per le Authority europee volto ad evitare il rischio che i prodotti commercializzati non offrissero alcun valore al target market di riferimento, rilevando come la IDD già prevedesse, seppur implicitamente, la tematica del value for money atteso che prodotti a basso valore non sono per definizione adatti ad alcun cluster di clientela e, pertanto, non dovrebbero essere commercializzati. In tale ambito l’EIOPA ha delineato un processo di determinazione del prezzo delle polizze unit linked che si colloca proprio nell’ambito della product oversight governance [37]. Nel 2022, poi, l’EIOPA ha elaborato una metodologia per garantire un approccio coerente e convergente nell’attuazione del supervisory statement che fornisce puntuali indicazioni su come affrontare i rischi connessi al value for money [38]. Tale metodologia, pur essendo destinata a supportare le autorità nazionali, costituisce dichiaratamente un valido supporto per i produttori e distributori di polizze unit linked per gestire i rischi derivanti da una non corretta considerazione del rapporto qualità prezzo nell’ambito dei presidi di product oversight governance.
A livello interno anche il Regolamento Ivass n. 45 del 4 agosto 2020, in conformità di quanto richiesto a livello comunitario, attualmente prevede che i manufacturer di prodotti assicurativi debbano valutare che i costi e gli oneri dei prodotti assicurativi siano compatibili con le esigenze, gli obiettivi e le caratteristiche del mercato di riferimento e tali da consentire un adeguato valore per il cliente [39]
Anche l’ESMA, ritenendo la tematica relativa ai costi come fondamentale alla tutela degli investitori [40], si è interessata all’argomento pubblicando diversi report di mercato sui costi e sulle performance dei prodotti destinati alla clientela al dettaglio [41] nonché un’opinion sui costi indebiti applicati su OICVM e FIA [42].
4.2. Le modifiche proposte dalla Retail Investment Strategy in relazione al value for money in ambito MiFID 2 e IDD
La proposta della Commissione in materia di value for money incide sulla disciplina MiFID 2 e IDD imponendo, nell’ambito del processo di product governance, precisi obblighi sia in capo ai produttori che ai distributori di PRIIP [43].
In particolare i produttori, nell’ambito del processo di approvazione del prodotto, devono operare una chiara identificazione e quantificazione di tutti i costi e gli oneri relativi allo strumento finanziario o al prodotto di investimento assicurativo e, poi, valutare se tali costi e oneri sono effettivamente giustificati e proporzionati, tenuto conto delle caratteristiche, degli obiettivi e dei risultati attesi del prodotto. Questa attività prende il nome di “processo di determinazione del prezzo”.
Nell’ambito di tale processo i manufacturer, laddove un tale indice sia stato concretamente sviluppato, saranno tenuti a raffrontare i costi dei prodotti con un benchmark sui costi e sulle performance elaborato dell’ESMA per i PRIP e dall’EIOPA per i prodotti di investimento assicurativi. Se il prodotto si discosta dal benchmark di riferimento il produttore deve effettuare test supplementari per stabilire se i costi e gli oneri sono comunque giustificati e proporzionati. Ove tale test dia esito negativo il manufacturer non può approvare il prodotto e, dunque, lo stesso non dovrà essere oggetto di commercializzazione alla clientela retail.
Ai fini della creazione e del mantenimento dei benchmark a cura di ESMA ed EIOPA la proposta mira ad introdurre anche dei nuovi obblighi di segnalazione in capo ai produttori che saranno tenuti a comunicare all’Autorità di riferimento del proprio Stato membro: i) i dettagli dei costi e degli oneri del prodotto, compresi eventuali costi di distribuzione incorporati nei costi del prodotto, compresi gli incentivi; ii) i dati sulle caratteristiche del PRIIP, in particolare la sua performance e il livello di rischio. Le Authority nazionali, poi, dovranno trasmettere tali dati ad ESMA ed EIOPA ai fini della creazione e dell’aggiornamento dei benchmark di riferimento.
Obblighi relativi al processo di determinazione del prezzo sono previsti anche per i distributori che, con riferimento ai PRIIP raccomandati o offerti in vendita, saranno chiamati a: i) individuare e quantificare i costi di distribuzione e gli eventuali ulteriori costi e oneri che il produttore non ha già preso in considerazione; ii) valutare se i costi e gli oneri totali sono giustificati e proporzionati, tenendo conto degli obiettivi e delle esigenze del mercato di riferimento. Anche i distributori, nell’ambito del proprio processo di determinazione del prezzo, saranno tenuti a confrontare i costi e le performance dei prodotti con un apposito indice di riferimento sviluppato dall’ESMA o dall’EIOPA per la categoria dei distributor. Tale indice terrà conto, dunque, sia dei costi relativi al prodotto che dei costi di distribuzione, dando dunque evidenza dei costi complessivi di cui il cliente si dovrà fare carico per sottoscrivere il prodotto. Anche in questo caso un discostamento dal benchmark individuato dalle Authority determinerà la necessità di valutazioni e test per stabilire se i costi e gli oneri sono comunque giustificati e proporzionati. In caso di risposta negativa il distributore si asterrà dal raccomandare o anche semplicemente dall’intermediare il prodotto [44].
La Retail Investment Strategy mira dunque a far sì che una deviazione dai benchmark di riferimento dovrebbe costituire una presunzione che i costi e gli oneri siano troppo elevati e che il prodotto, dunque, non offra un buon rapporto value for money, ciò a meno che il produttore o il distributore non siano in grado di dimostrare il contrario. Vi è poi da precisare che l’eventuale mancanza di un benchmark di riferimento non può essere considerata una circostanza che solleva il produttore o il distributore dall’obbligo di dimostrare che i costi e gli oneri sono comunque giustificati e proporzionati, trattandosi questa di una regola generale che deve trovare sempre applicazione [45].
Ai fini della creazione e dell’aggiornamento da parte di ESMA ed EIOPA dei benchmark relativi all’attività distributiva è previsto per i distributori, così come per i manufacturer, l’obbligo di comunicare alle autorità nazionali i dettagli dei costi sia dei prodotti distribuiti che dei costi di distribuzione, compresi eventuali costi relativi alla fornitura di consulenza e eventuali inducement ricevuti. Tali dati verranno poi comunicati alle Autority europee ai fini della concreta elaborazione dei benchmark di riferimento.
Con riferimento alla sola distribuzione di IBIP si deve sottolineare che la proposta in esame pone in capo ai soli produttori l’obbligo di segnalare i costi e gli oneri dei prodotti di investimento assicurativi in quanto le imprese di assicurazione solitamente hanno precisa evidenza di tutti i costi e gli oneri addebitati ai clienti, ivi inclusi dei costi di distribuzione [46]. Inoltre i distributori di IBIP, in ragione della mancanza di oneri di segnalazione a loro carico, sono tenuti a verificare, nell’ambito del loro processo di determinazione del prezzo, se vi sono costi a livello di distribuzione che non sono stati presi in considerazione dal produttore. In tal caso i distributor devono informare immediatamente il produttore in modo che i costi possano essere considerati nel processo di determinazione dei prezzi e di rendicontazione implementato dal manufacturer [47].
La Retail Investment Strategy prevede poi l’obbligo per i manufacturer e per i distributor di documentare le valutazioni effettuate nell’ambito del processo di product governance che, in caso di richiesta da parte delle Authority, dovranno essere messe a loro disposizione. In particolare, nell’ambito del procedimento di determinazione del prezzo, si richiede di tenere traccia, ove rilevante nello specifico caso concreto, a) dei risultati del confronto dei costi con il pertinente parametro di riferimento; b) degli eventuali motivi che giustificano una deviazione dal parametro di riferimento; c) della giustificazione e della dimostrazione della proporzionalità dei costi e degli oneri relativi al prodotto [48].
Il funzionamento del processo di determinazione dei prezzi sottende poi la necessità che vi sia uno scambio di informazioni anche tra produttori e distributori attinente alle tematiche connesse ai costi ed oneri di prodotto. In particolare è necessario che i produttori forniscano ai distributori, tra le altre, anche informazioni sui costi e oneri del prodotto al fine di consentire agli stessi di effettuare correttamente le proprie valutazioni in punto di value for money la cui base imprescindibile è costituita proprio dai costi ed oneri relativi al prodotto commercializzato [49].
Con riferimento agli indici di riferimento, che dovranno essere sviluppati per categorie di prodotti omogenei da ESMA ed EIOPA, la proposta di direttiva mira ad attribuire alla Commissione il compito di emanare gli atti delegati in punto di metodologie che le Authority dovranno utilizzare sia per sviluppare i benchmark che per valutare se i costi dei prodotti sono giustificati e proporzionati [50].
4.3. Cenni sulle modifiche proposte dalla Retail Investment Strategy in relazione al value for money di OICVM e FIA
Anche con riferimento agli OICVM e ai FIA, la proposta della Retail Investment Strategy mira a rafforzare il processo di determinazione dei prezzi al fine di garantire che i costi sostenuti dagli investitori siano giustificati e proporzionati alle caratteristiche del prodotto e, in particolare, all’obiettivo e alla strategia di investimento, al livello di rischio e ai rendimenti attesi, ciò al fine di fare in modo che anche in tale contesto il value for money sia preservato. Nell’ambito di questo processo si mira ad introdurre anche per i fondi comuni di investimento dei benchmark di riferimento con i quali i gestori collettivi devono confrontare i costi e le performance delle quote o delle azioni destinate agli investitori retail. Anche con riferimento ai fondi comuni di investimento, poi, sono introdotti obblighi di segnalazione volti a consentire la creazione ed il mantenimento dei benchmark [51].
In ultimo l’intervento della Commissione vuole elevare a livello primario la disciplina dei costi indebiti applicabile a tutte le categorie di sottoscrittori, indicando in maniera puntuale sia per i FIA che per gli OICVM le condizioni da rispettare per ritenere i costi legittimi e introducendo, altresì, delle regole nel processo di determinazione dei prezzi per garantire che tali condizioni siano concretamente soddisfatte [52].
5. Alcune considerazioni conclusive
La tematica degli incentivi e del value for money è estremamente delicata in quanto idonea ad incidere in maniera significativa sui ricavi dei distributori e dei produttori, oltre che, inevitabilmente a cascata, sulla remunerazione delle reti. Gli incentivi, infatti, costituiscono un’importantissima e tradizionale parte della retribuzione dei distributori così come i costi di prodotto integrano, al netto delle spese, la remunerazione per gli emittenti di prodotti finanziari e assicurativi. È dunque evidente che l’intervento sulle tematiche sopra esaminate può avere importanti ripercussioni sui bilanci dei soggetti vigilati e sulle prassi distributive attualmente in uso nei singoli Stati membri.
Con riferimento alla disciplina degli incentivi si ritiene che l’estensione del divieto di incentivi connessi alla prestazione dei servizi di esecuzione di ordini o di ricezione e trasmissione di ordini non sia particolarmente impattante per il mercato italiano. Tali servizi, infatti, per loro modalità di erogazione prevedono nella stragrande maggioranza dei casi che sia esclusivamente il cliente in favore del quale viene prestato il servizio a corrispondere la commissione all’intermediario.
Maggiori impatti sono prevedibili, invece, per i distributori di PRIP che prestano servizi esecutivi, rientranti nel contesto domestico nella nozione di collocamento, in favore della propria clientela senza abbinarli a consulenza in quanto in tale ipotesi gli stessi non saranno più titolati a percepire e trattenere incentivi a fronte dell’espresso divieto contenuto nella proposta della Retail Investment Strategy.
Sul punto è tuttavia da osservare che seppur vero è che l’erogazione di consulenza con determinate caratteristiche è già oggi una delle condizioni che legittimano la percezione di incentivi [53], altrettanto vero è che questa attualmente non è una condizione indispensabile a tale scopo in quanto per superare il quality enhancement test è anche possibile limitarsi a offrire alla clientela l’accesso, a un prezzo competitivo, a una vasta gamma di strumenti finanziari in grado di soddisfare le esigenze dei clienti, unitamente alla fornitura di: i) strumenti a valore aggiunto, quali strumenti di informazione oggettivi che assistono il cliente nell’adozione delle decisioni di investimento o consentono al medesimo di monitorare, modellare e regolare la gamma di strumenti finanziari in cui ha investito; o ii) rendiconti periodici sulla performance, nonché su costi e oneri connessi agli strumenti finanziari [54].
È dunque evidente che laddove la proposta della Retail Investment Strategy fosse approvata nella sua formulazione attuale, in assenza di consulenza gli inducement retativi alla distribuzione di PRIP non potranno più essere legittimamente percepiti dagli intermediari in quanto sarà solo l’abbinamento di consulenza all’attività distributiva che li renderà legittimi.
Minor impatto ci si attende per i distributori italiani di IBIP in quanto, come noto, nell’ambito del recepimento della disciplina IDD, il legislatore italiano, in forza della facoltà concessagli, ha introdotto la cd “consulenza obbligatoria” per i prodotti di investimento assicurativi diversi da quelli non complessi [55]. Dunque buona parte dei distributori di prodotti di investimento assicurativi già presta consulenza con riferimento agli stessi, il che verosimilmente determinerà un minore impatto determinato dalla proposta della Commissione.
Non si deve però commettere l’errore di ritenere che per i distributori, finanziari o assicurativi, che già prestano consulenza in materia di investimenti o sugli IBIP nulla cambierà. Le caratteristiche minime e obbligatorie del servizio di consulenza sono infatti destinate a mutare di intensità, chiedendo sforzi maggiori agli intermediari che, come visto, indipendentemente dalla percezione o dal pagamento di incentivi, dovranno necessariamente:
- valutare una gamma adeguata di strumenti finanziari o IBIP;
- raccomandare il prodotto dal punto di vista commissionale più conveniente tra quelli identificati come adeguati e aventi caratteristiche similari;
- offrire, nella gamma di prodotti individuati come adeguati al cliente, almeno un prodotto plain vanilla che non determini costi maggiori rispetto a quelli strettamente necessarie per soddisfare le esigenze del cliente [56];
- prendere in considerazione nell’ambito della valutazione di adeguatezza anche la composizione e la diversificazione del portafoglio del cliente [57].
Tutte queste attività, che vanno ad accrescere obbligatoriamente il livello della consulenza aumentandone il valore aggiunto minimo, avranno un evidente impatto dal punto di vista dei sistemi informatici e procedurali degli intermediari che dovranno essere resi conformi a dare attuazione alla normativa di riferimento. La valutazione di queste nuove caratteristiche minime del servizio andrà anche ad incidere a livello strategico sul posizionamento degli intermediari sul mercato che dovranno ripensare il modello di consulenza offerto, ivi incluso il relativo perimetro, in base ai mutamenti che si registreranno sul mercato.
Anche la disciplina del value for money è destinata ad avere un importante impatto per i manufacturer e i distributor di prodotti finanziari e assicurativi che, in caso di conferma dell’impostazione suggerita dalla Commissione, saranno chiamati a implementare un corposo processo di determinazione del prezzo la cui peculiarità principale, come visto, è costituita dalla necessità di raffrontare i costi e le performance dei prodotti con i benchmark sviluppati da ESMA ed EIOPA.
Ovviamente per valutare l’effettivo impatto della creazione dei benchmark sarà necessario vedere in concreto quali metodologie saranno adottate per la loro elaborazione nonché quali saranno i criteri che manufacturer e distributor dovranno considerare per determinare se i costi e gli oneri sono giustificati e proporzionati. Senza gli atti delegati della Commissione è allo stato difficile prevedere nel concreto quali saranno gli effetti delle modifiche in esame.
Al riguardo si ritiene tuttavia auspicabile che nell’ambito dei parametri di riferimento vengano valorizzate le diverse componenti di costo attraverso un’elevata granularità, così da facilitare la comparazione di prodotti effettivamente omogenei e tenere in considerazione il livello di servizio prestato. È infatti evidente che laddove il distributore, per esempio, presti un servizio di consulenza base, ossia avente le sole caratteristiche obbligatorie per legge, questo sarà più economico di un servizio di consulenza evoluta a maggiore valore aggiunto caratterizzato da componenti aggiuntive. Ebbene, se si confrontano senza distinzioni le vendite accompagnata da tali due differenti tipologie di consulenza con il medesimo benchmark sviluppato da ESMA ed EIOPA è evidente che si stanno comparando servizi non omogenei. Non solo. In tale scenario una consulenza a pagamento ad elevato valore aggiunto potrebbe determinare lo scostamento sistematico in eccesso dal benchmark e, dunque, la necessità di continue valutazioni e test per appurare che i costi e gli oneri sono comunque giustificati e proporzionati in ragione del livello del servizio, il che esporrebbe il distributore a rischi di valutazione di illegittimità ex post del suo operato. Si spera dunque che la creazione dei benchmark non determini un appiattimento del livello del servizio con l’obiettivo di contenere i costi in quanto una tale impostazione, anziché giovare alla clientela retail, potrebbe andare a suo detrimento.
Non si può poi sottacere che la tematica del value for money è astrattamente collegata anche al nuovo modello di consulenza che la proposta della Retail Investment Strategy mira a introdurre che, tra le altre cose, richiede ai distributori di raccomandare tra i prodotti omogenei disponibili quello dal punto di vista commissionale più conveniente tra quelli identificati come adeguati al cliente.
Alla luce delle nuove regole prospettate il costo di un prodotto diventa, dunque, una tematica strettamente connessa alle sue possibilità di distribuzione: più un prodotto è economico maggiori saranno, infatti, le possibilità che lo stesso venga attivamente raccomandato dai distributori al cluster di clientela per il quale lo stesso è adeguato.
Questo significa che tra prodotti aventi le medesime caratteristiche quelli che hanno costi inferiori saranno verosimilmente oggetto di un maggior numero di raccomandazioni e, dunque, più venduti. Questa situazione, a fronte delle dinamiche concorrenziali che potranno determinarsi, potrà comportare un ribasso dei costi di alcuni prodotti finalizzato ad aumentarne la distribuzione, il che determinerebbe, da un lato, un risparmio per la clientela retail e, dall’altro, un aumento di “masse gestite” per i produttori.
[1] cfr. “Piano di azione per la creazione dell’Unione dei mercati dei capitali”, 30 settembre 2015, COM(2015) 468 final, reperibile al link https://finance.ec.europa.eu/publications/action-plan-building-capital-markets-union_en. Tale provvedimento è poi stato oggetto di una revisione intermedia nel 2017 che ha introdotto ulteriori azioni da intraprendere valutate come prioritarie. Si veda la “Comunicazione della commissione al parlamento europeo, Al consiglio, al comitato economico e sociale europeo e Al comitato delle regioni sulla revisione intermedia del piano d’azione per l’Unione dei mercati dei capitali”, 8 giugno 2017, COM(2017) 292 final, reperibile al link https://finance.ec.europa.eu/publications/mid-term-review-capital-markets-union-action-plan_en
[2] cfr. “Un’Unione dei mercati dei capitali per le persone e le imprese: nuovo piano di azione”, 24 settembre 2020, COM(2020) 590 final reperibile al link https://finance.ec.europa.eu/capital-markets-union-and-financial-markets/capital-markets-union/capital-markets-union-2020-action-plan_en
[3] Nello specifico il “Final Report on the European Commission mandate on certain aspects relating to retail investor protection”, 29 aprile 2022, ESMA35-42-1227, reperibile al link: https://www.esma.europa.eu/sites/default/files/library/esma35-42-1227_final_report_on_technical_advice_on_ec_retail_investments_strategy.pdf e il “Final report on technical advice to the European commission regarding certain aspects relating to retail investor protection”, 29 aprile 2022, EIOPA-BoS-22/244, reperibile al link: https://www.eiopa.europa.eu/system/files/2022-04/final_report_-_technical_advice_on_retail_investor_protection.pdf
[4] https://finance.ec.europa.eu/publications/retail-investment-package_en
[5] L’Azione 8 ha l’obiettivo di “sviluppare la fiducia degli investitori al dettaglio nei mercati dei capitali”. In forza di tale azione “La Commissione valuterà le norme applicabili nel settore degli incentivi e dell’informativa e, ove necessario, proporrà di modificare il quadro giuridico esistente al fine di garantire che gli investitori al dettaglio ricevano una consulenza equa e adeguata nonché informazioni chiare e comparabili sui prodotti” (cfr. “Un’Unione dei mercati dei capitali per le persone e le imprese: nuovo piano di azione”, 24 settembre 2020, COM(2020) 590 final, reperibile al link https://finance.ec.europa.eu/capital-markets-union-and-financial-markets/capital-markets-union/capital-markets-union-2020-action-plan_en).
[6] cfr. “Explanatory Memorandum” della “Proposal for a Directive of the European parliament and of the Council amending Directives (EU) 2009/65/EC, 2009/138/EC, 2011/61/EU, 2014/65/EU and (EU) 2016/97 as regards the Union retail investor protection rules”.
[7] cfr. “Questions and answers on the Retail Investment Package” del 24 maggio 2023.
[8] cfr. “Questions and answers on the Retail Investment Package” del 24 maggio 2023.
[9] cfr. “Questions and answers on the Retail Investment Package” del 24 maggio 2023.
[10] cfr. “Eurobarometer survey on Retail Financial Services and Products” dell’ottobre 2022 richiamato dalle “Questions and answers on the Retail Investment Package” del 24 maggio 2023.
[11] cfr. “Performance and Costs of EU Retail Investment Products” emesso da ESMA nel 2022 richiamato dalle “Questions and answers on the Retail Investment Package” del 24 maggio 2023.
[12] cfr. “Explanatory Memorandum” contenuto nella “Proposal for a Directive of the European parliament and of the Council amending Directives (EU) 2009/65/EC, 2009/138/EC, 2011/61/EU, 2014/65/EU and (EU) 2016/97 as regards the Union retail investor protection rules”.
[13] cfr. “Questions and answers on the Retail Investment Package” del 24 maggio 2023.
[14]) cfr. “Explanatory Memorandum” contenuto nella “Proposal for a Directive of the European parliament and of the Council amending Directives (EU) 2009/65/EC, 2009/138/EC, 2011/61/EU, 2014/65/EU and (EU) 2016/97 as regards the Union retail investor protection rules”.
[15] cfr. artt. 1, par. 13, e 2, par. 45, della Proposta di Direttiva che mirano ad introdurre, rispettivamente, nella Direttiva MiFID 2 un nuovo art. 24-bis in materia di “Incentivi” e nella Direttiva IDD un nuovo art. 29-bis sulla medesima materia.
[16] cfr. Artt. 52 e ss. del Regolamento intermediari adottato con Delibera Consob n. 20307 del 15 febbraio 2018 introdotti in attuazione all’art. 24, paragrafo 9, della direttiva (UE) 2014/65/UE e dell’art. 11 direttiva delegata (UE) 2017/593.
[17] cfr. Art. 29, paragrafo 2, della Direttiva (UE) n. 2016/97 (IDD) e art. 8 del Regolamento (UE) n. 2017/2359.
[18] cfr. art. 1, par. 13, della Proposta di Direttiva che mira ad introdurre nella Direttiva MiFID 2 un nuovo art. 24-bis in materia di “Incentivi”.
[19] cfr. art. 1, par. 13, della Proposta di Direttiva che mira ad introdurre nella Direttiva MiFID 2 un nuovo art. 24-bis in materia di “Incentivi”.
[20] i.e. Assunzione a fermo di strumenti finanziari e/o collocamento di strumenti finanziari sulla base di un impegno irrevocabile e Collocamento di strumenti finanziari senza impegno irrevocabile.
[21] cfr. art. 1, par. 13, della Proposta di Direttiva che mira ad introdurre nella Direttiva MiFID 2 un nuovo art. 24-bis in materia di “Incentivi”.
[22] cfr. considerando 4) della proposta di Direttiva della Commissione europea.
[23] cfr. art. 1, par. 13, della Proposta di Direttiva che mira ad introdurre nella Direttiva MiFID 2 un nuovo art. 24-bis in materia di “Incentivi”.
[24] cfr. art. 1, par. 13, della Proposta di Direttiva che mira ad introdurre nella Direttiva MiFID 2 un nuovo art. 24-bis in materia di “Incentivi”.
[25] cfr. art. 2, par. 45, della Proposta di Direttiva che mira ad introdurre nella Direttiva IDD 2 un nuovo art. 29-bis in materia di “Incentivi”.
[26] cfr. art. 2, par. 45, della Proposta di Direttiva che mira ad introdurre nella Direttiva IDD 2 un nuovo art. 29-bis, par. 4, in materia di “Incentivi”.
[27] cfr. “Explanatory Memorandum” contenuto nella “Proposal for a Directive of the European parliament and of the Council amending Directives (EU) 2009/65/EC, 2009/138/EC, 2011/61/EU, 2014/65/EU and (EU) 2016/97 as regards the Union retail investor protection rules”. Con riferimento al not detriment test previsto dalla IDD si osserva che la disciplina italiana, aumentando le tutele previste per i contraenti mediante un consentito gold plating, ha previsto a livello secondario, sia nel Regolamento Ivass n. 40 del 2 agosto 2018 che nel Regolamento intermediari adottato con Delibera Consob n. 20307 del 15 febbraio 2018, che i soggetti abilitati nella distribuzione di IBIPS applichino il più severo quality enhancement test di derivazione MiFID 2.
[28] cfr. “Explanatory Memorandum” contenuto nella “Proposal for a Directive of the European parliament and of the Council amending Directives (EU) 2009/65/EC, 2009/138/EC, 2011/61/EU, 2014/65/EU and (EU) 2016/97 as regards the Union retail investor protection rules”.
[29] cfr. artt. 1, par. 12, e 2, par. 45, della Proposta di Direttiva.
[30] cfr. art. 2, par. 45, della Proposta di Direttiva.
[31] cfr. art. 1, par. 14 e art. 2, par. 46 della Proposta di Direttiva.
[32] L’art. 29, par. 3, della direttiva (UE) n. 2016/97 (IDD) prevede che “Gli Stati membri possono prevedere l’obbligo per l’intermediario assicurativo, quando informa il cliente che la consulenza è fornita in modo indipendente, di valutare un numero sufficientemente ampio di prodotti assicurativi disponibili sul mercato che siano sufficientemente diversificati quanto a tipologia e fornitori, tanto da garantire che gli obiettivi del cliente siano debitamente soddisfatti e che non si limitino ai prodotti assicurativi emessi o forniti da entità che hanno stretti legami con l’intermediario”.
[33] cfr. art. 2, par. 44 e 46, della Proposta di Direttiva.
[34] cfr. artt. 2, comma 1, lett. i-bis e 68-octies del Regolamento Ivass n. 40 del 2 agosto 2018 e artt. 131, comma 1, lett. l) e 135-octies del Regolamento intermediari adottato con Delibera Consob n. 20307 del 15 febbraio 2018.
[35] cfr. “Questions and answers on the Retail Investment Package” del 24 maggio 2023.
[36] cfr. “Explanatory Memorandum” contenuto nella “Proposal for a Directive of the European parliament and of the Council amending Directives (EU) 2009/65/EC, 2009/138/EC, 2011/61/EU, 2014/65/EU and (EU) 2016/97 as regards the Union retail investor protection rules”.
[37] cfr. “Supervisory Statement on assessment of value for money of unit-linked insurance products under product oversight and governance” del 30 novembre 2021, EIOPA(2021)0045739.
[38] cfr. “Methodology to assess value for money in the unit-linked market” del 31 ottobre 2022, EIOPA-BOS-22/482.
[39] cfr. art. 6 del Regolamento Ivass n. 45 del 4 agosto 2020.
[40] cfr. “ESMA identifies costs and performance and data quality as new Union Strategic Supervisory Priorities”, Press release, 13 novembre 2020, ESMA71-99-1438.
[41] Da ultimo si veda l’ESMA Market Report “Costs and Performance of EU Retail Investment Products 2023”, 30 gennaio 2023, ESMA50-165-2357.
[42] cfr. Opinion “On undue costs of UCITS and AIFs”, 17 maggio 2023, ESMA34-45-1747.
[43] cfr. art. 1, par. 9, e art. 2, par. 40, della Proposta di Direttiva.
[44] cfr. art. 1, par. 9, e art. 2, par. 40, della Proposta di Direttiva.
[45] cfr. “Questions and answers on the Retail Investment Package” del 24 maggio 2023.
[46] cfr. “Questions and answers on the Retail Investment Package” del 24 maggio 2023.
[47] cfr. art. 2 par. 40, della Proposta di Direttiva e “Questions and answers on the Retail Investment Package” del 24 maggio 2023.
[48] cfr. art. 1, par. 9, e art. 2, par. 40, della Proposta di Direttiva.
[49] cfr. art. 1, par. 9, e art. 2, par. 40, della Proposta di Direttiva.
[50] cfr. art. 1, par. 9, e art. 2, par. 40, della Proposta di Direttiva.
[51] cfr. art. 4 e 5 della Proposta di Direttiva.
[52] cfr. “Questions and answers on the Retail Investment Package” del 24 maggio 2023.
[53] Ai sensi dell’art. 53 del Regolamento intermediari adottato con Delibera Consob n. 20307 del 15 febbraio 2018 ai fini del superamento del quality enhancement test è possibile per gli intermediari “la prestazione di consulenza non indipendente in materia di investimenti unitamente all’accesso a una vasta gamma di strumenti finanziari adeguati che includa un numero appropriato di strumenti di soggetti terzi che non abbiano stretti legami con l’intermediario” ovvero “la prestazione di consulenza non indipendente in materia di investimenti congiuntamente alla valutazione, almeno su base annuale, del persistere dell’adeguatezza degli strumenti finanziari in cui il cliente ha investito”. Disposizioni analoghe sono contenute nell’art. 135-septies del medesimo provvedimento applicabile alla distribuzione degli IBIP.
[54] cfr. artt. 53 e 135-septies del Regolamento intermediari adottato con Delibera Consob n. 20307 del 15 febbraio 2018.
[55] Ai sensi dell’art. 22, par. 2, comma 3, della IDD “gli Stati membri possono rendere obbligatoria la prestazione di consulenza di cui all’articolo 20, paragrafo 1, terzo comma, per la vendita di qualsiasi prodotto assicurativo o per determinati tipi di prodotti assicurativi”. L’art. 20, par. 1 richiamato dispone che “se viene offerta una consulenza prima della stipula di qualsiasi contratto specifico, il distributore di prodotti assicurativi fornisce al cliente una raccomandazione personalizzata contenente i motivi per cui un particolare prodotto sarebbe più indicato a soddisfare le richieste e le esigenze del cliente”. Lo Stato italiano si è avvalso di tale facoltà in relazione agli IBIP laddove l’art. 121-septies del d.lgs 7 settembre 2005, n. 209 (CAP) ha demandato all’Ivass di individuare i casi in cui è obbligatorio fornire consulenza per la distribuzione di tali prodotti. Il Regolamento intermediari adottato con Delibera Consob n. 20307 del 15 febbraio 2018, mediante un richiamo all’art. 68-duodecies del Regolamento Ivass. n. 40 del 2 agosto 2018, prevede che i soggetti abilitati sono tenuti a prestare consulenza per la vendita di tutti gli IBIP diversi da quelli non complessi di cui all’articolo 16 del Regolamento (UE) 2017/2359, ossia gli IBIP che hanno congiuntamente le seguenti caratteristiche “a) include un valore di scadenza minimo garantito per contratto, che corrisponde almeno all’importo versato dal cliente al netto dei costi legittimi; b) non presenta una clausola, condizione o motivo scatenante che consenta all’impresa di assicurazione di alterare materialmente la natura, il rischio o il profilo di pay-out del prodotto di investimento assicurativo; c) prevede opzioni per riscattare o realizzare altrimenti il prodotto di investimento assicurativo a un valore disponibile per il cliente; d) non include alcun onere esplicito o implicito avente l’effetto che il riscatto o qualsiasi altra forma di realizzo del prodotto di investimento assicurativo, per quanto tecnicamente possibile, possa provocare uno svantaggio irragionevole al cliente, essendo gli oneri sproporzionati rispetto ai costi dell’impresa di assicurazione; e) non include in alcun altro modo una struttura che renda difficoltoso per il cliente capire il rischio assunto”.
[56] cfr. artt. 1, par. 12, e 2, par. 45, della Proposta di Direttiva.
[57] cfr. art. 1, par. 14 e art. 2, par. 46 della Proposta di Direttiva.