La riforma del diritto societario (d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6) non ha disciplinato in modo organico le regole applicabili alla revoca dell’Amministratore di Società a responsabilità limitata, che in precedenza venivano ricostruite mediante il richiamo diretto delle norme previste, al riguardo, per gli Amministratori delle Società per azioni.
Il “vecchio” art. 2487 cod. civ. (nel testo vigente prima della riforma) stabiliva, com’è noto, un rinvio pressochè integrale all’art. 2383 cod. civ., il quale, allora come oggi, ha ad oggetto la disciplina della nomina e della revoca degli Amministratori delle s.p.a.
L’unica norma che non veniva richiamata nell’ambito delle s.r.l., era quella che disponeva la limitazione della durata della carica degli Amministratori delle s.p.a. a tre anni; per le s.r.l., quindi, già prima della riforma, era consentita la nomina degli Amministratori a tempo indeterminato.
Il predetto rinvio di carattere generale alle regole previste per le s.p.a. è venuto meno con la riforma del 2003.
Da tale situazione deriva una serie di dubbi interpretativi, emersi in sede di applicazione della nuova disciplina alle varie fattispecie inerenti alla cessazione dei rapporti tra la Società a responsabilità limitata e gli Amministratori dalla stessa nominati.
Può essere, dunque, opportuno richiamare talune delle predette questioni, oggetto di orientamenti contrastanti, in particolare in merito alla titolarità del potere di revoca ed ai rimedi esperibili dall’Amministratore revocato illegittimamente.
In primo luogo si è posto il quesito se l’Assemblea della s.r.l. abbia il potere di revocare gli Amministratori mediante una propria deliberazione, analogamente a quanto accade per le s.p.a.
Il quesito si giustifica alla luce della considerazione per cui l’art. 2475 cod. civ. (in materia di s.r.l.) richiama espressamente le sole norme riferite alla nomina degli Amministratori di s.p.a. (art. 2383, commi 4 e 5), senza invece prevedere alcun rinvio al terzo comma del medesimo art. 2383, che è appunto diretto a regolare la fattispecie di revoca dell’Amministratore.
Inoltre, l’art. 2479 cod. civ. riserva alla competenza dei soci la nomina degli Amministratori, senza menzionare la revoca degli stessi, diversamente da quanto prevede, in materia di s.p.a., l’art. 2364 cod. civ.; quest’ultimo, al n. 2, stabilisce che l’Assemblea ordinaria decide in tema di nomina e revoca degli Amministratori.
Al contempo, l’art. 2476, co. 3, cod. civ., nell’attribuire ai soci, anche singolarmente, la legittimazione a promuovere l’azione di responsabilità contro gli Amministratori, prevede che l’attore possa chiedere al Tribunale l’adozione di un provvedimento cautelare di revoca degli Amministratori medesimi, nel caso in cui questi ultimi abbiano commesso gravi irregolarità nella gestione della Società.
In virtù delle predette disposizioni, si è sostenuto che, al di fuori dell’ipotesi in cui lo Statuto attribuisca espressamente ai soci il potere di revoca degli Amministratori (soluzione pacificamente ammessa, sia in forza del primo comma dell’art. 2479 cod. civ., secondo cui i soci decidono su ogni materia ad essi riservata dallo Statuto; sia in virtù dell’ampia autonomia che il legislatore attribuisce alle s.r.l in ordine alla regolamentazione del proprio funzionamento), la revoca dell’Amministratore non potrebbe essere disposta direttamente dai soci, anche laddove sia contestato un inadempimento al medesimo Amministratore.
I soci potrebbero solo utilizzare i rimedi generali in caso di inadempimento e, dinanzi a gravi irregolarità gestionali dell’Amministratore, potrebbero avvalersi dello strumento cautelare previsto dall’art. 2476, co. 3, cod. civ., chiedendo al Tribunale di disporne la revoca in pendenza dell’azione di responsabilità esperita dai soci stessi o dalla Società.
In senso contrario si è espresso un orientamento, sostenuto in dottrina ed in giurisprudenza, il quale fa leva sul principio per il quale al potere di nomina, attribuito ai soci, si collega inscindibilmente il potere di revoca; rilevando, altresì, che la natura fiduciaria del rapporto, che lega la Società ai propri Amministratori, giustifica l’attribuzione ai soci ed alla Società stessa della prerogativa di revocare questi ultimi dal loro mandato.
In questo secondo senso è stato evidenziato che il silenzio normativo, ed eventualmente il silenzio dello stesso Statuto, è insufficiente ad escludere il potere di revoca in capo all’Assemblea, essendo questo un effetto naturale del potere di nomina degli Amministratori, riservato ai soci anche nelle s.r.l.
Una sentenza di merito ha giudicato che “il fatto che l'articolo 2476 cod. civ. preveda la revoca degli amministratori di società a responsabilità limitata, in via strumentale rispetto all'azione di responsabilità, non esclude che il potere di revoca sia esercitato dalla collettività dei soci” (Trib. Napoli, 14 settembre 2011).
Ulteriore aspetto dibattuto in materia concerne le conseguenze della revoca illegittima dell’Amministratore.
Al riguardo, nell’ambito delle s.p.a. (e, sino alla riforma del 2003, anche nell’ambito delle s.r.l.), vige la regola per la quale la revoca senza giusta causa comporta il diritto dell’Amministratore al risarcimento dei danni (art. 2383, co. 3 cod. civ.).
La giurisprudenza, al fine di quantificare i danni, prende come parametro il compenso che avrebbe percepito l’Amministratore qualora avesse portato a termine il mandato, che può essere peraltro diminuito (od eventualmente incrementato) in relazione alle circostanze del caso concreto.
Si ritiene che il criterio predetto sia applicabile anche per le s.r.l., se la revoca è disposta dalla Società (o dai soci) in applicazione di apposite clausole statutarie che prevedano tale potere di revoca od anche in forza della disciplina legislativa (ove si aderisca all’interpretazione favorevole a tale soluzione, secondo quanto sopra descritto).
Ciò posto, in materia di s.r.l., è dubbio se analogo parametro possa essere adottato nel caso in cui l’Amministratore, che subisce la revoca senza giusta causa, sia stato nominato a tempo indeterminato.
In senso positivo si è espressa, in fattispecie anteriore alla riforma, la Suprema Corte, la quale ha statuito che “nel caso di revoca senza giusta causa dell’amministratore di una società a responsabilità limitata nominato a tempo indeterminato, il danno risarcibile consiste nel lucro cessante e cioè nel compenso non percepito per il periodo in cui l’amministratore avrebbe conservato il suo ufficio se non fosse intervenuta la revoca” (Cass., 12 settembre 2008, n. 23557).
La medesima sentenza ha peraltro limitato il danno risarcibile al tempo ritenuto necessario all’Amministratore revocato al fine di reperire una nuova occupazione.
Viceversa, taluni interpreti ritengono che, in casi come quelli sopra descritti, debba applicarsi una regola analoga a quella prevista per il mandato conferito a tempo indeterminato, secondo cui il mandante è tenuto al risarcimento del danno solo se la revoca non è disposta con congruo preavviso (art. 1725, co. 2, cod. civ.).
Sulla base di quest’ultima interpretazione, l’Amministratore di s.r.l. nominato a tempo indeterminato si troverebbe soggetto all’altrui potere unilaterale di revoca, anche senza giusta causa, con il solo onere per la Società di dare un preavviso adeguato in relazione alle circostanze del caso.
Peraltro, avendo a mente la medesima ipotesi, una tutela maggiore per l’Amministratore potrebbe adottarsi nell’ambito di apposite regole recepite dallo Statuto o mediante clausole contrattuali specifiche, volte ad attribuire un risarcimento dei danni all’Amministratore revocato senza giusta causa, ancorchè si tratti di incarico a tempo indeterminato.
Sempre dal punto di vista dei rimedi esperibili dall’Amministratore in caso di revoca disposta dai soci, è stata prospettata la legittimazione del medesimo ad impugnare la relativa delibera dell’Assemblea, nonché a chiedere al Tribunale di disporne, in via cautelare, la sospensione.
La questione è regolata dall’art. 2378 cod. civ., dettato in materia di s.p.a., richiamato per le s.r.l. dall’art. 2479ter, cod. civ.
Il terzo comma del citato art. 2378, in particolare, prevede che, nel caso in cui sia impugnata una delibera assembleare, sulla scorta della deduzione di vizi tali da renderla annullabile, può essere contestualmente presentato un ricorso con cui viene chiesta la sospensione dell’esecuzione della delibera stessa.
Il Tribunale decide sull’istanza di sospensiva valutando comparativamente il pregiudizio che subirebbe il ricorrente dall’esecuzione della delibera e quello che subirebbe la Società ove fosse sospesa l’esecuzione della delibera stessa.
L’interpretazione prevalente, tuttavia, non ritiene utilmente esperibile il predetto rimedio impugnatorio nel caso della delibera di revoca dell’Amministratore di s.r.l. (la questione, sul punto, si pone peraltro negli stessi termini per gli Amministratori di s.p.a.).
In particolare, la giurisprudenza ha più volte escluso la possibilità di sospendere l’esecuzione della delibera di revoca dell’Amministratore in quanto si tratta di delibera che produce i suoi effetti immediatamente, determinando lo scioglimento del rapporto con l’Amministratore stesso, sicchè non vi è luogo per adottare un provvedimento di sospensione.
Il principio è stato di recente affermato dal Tribunale di Milano, ord. 28 maggio 2012 e già in precedenza è stato espresso nei seguenti termini: “la delibera assembleare di revoca dell’amministratore, realizzando i suoi effetti in via immediata, non è suscettibile di esecuzione e non può pertanto essere oggetto di sospensione, che non comporterebbe in ogni caso la reimmissione nell’incarico dell’amministratore revocato, poiché gli effetti di tale revoca si sono ormai definitivamente realizzati ed esauriti” (Trib. Milano, 24 aprile 2002; conf. Trib. Milano, 12 gennaio 2001; Trib. Roma, 6 dicembre 2010).
Alla luce dell’indirizzo interpretativo descritto, il rimedio esperibile dall’Amministratore ingiustamente revocato si colloca, dunque, essenzialmente sul piano del risarcimento dei danni.