Il vicepresidente del Consiglio di amministrazione di una società bancaria – dopo aver preso le difese di un dipendente, licenziato (a dire dell’amministratore) per ragioni discriminatorie – viene revocato dal proprio incarico. La Corte d’Appello di Milano accoglie le doglianze dell’amministratore, condannando – al risarcimento del danno, come pure alla pubblicazione della sentenza sul proprio sito e su tre quotidiani a diffusione nazionale – la banca; che pertanto ricorre in Cassazione.
L’impianto motivazionale della sentenza allegata verte sul rapporto fra le norme del Libro V dedicate alla cessazione dei membri dell’organo amministrativo nelle società di capitali (segnatamente l’art. 2383, 3 comma c.c.) – applicabili pure alle ipotesi di revoca rispetto alle deleghe e ai ruoli stabiliti nell’articolazione interna del consiglio (sul punto Cass., 15 aprile 2016, n. 7587) – e la disciplina di settore relativa alla «Parità di trattamento indipendentemente da razza e origine etnica» (cfr. d. lgs. n. 215/2003, in particolare art. 4-bis).
In questa prospettiva, secondo la Corte, la regola generale del diritto al risarcimento del danno per l’amministratore che sia stato revocato senza «giusta causa» – clausola generale questa, interpretata con orientamento costante in giurisprudenza come «esistenza di circostanza sopravvenute, anche non integranti inadempimento, siano o no provocate dall’amministratore, le quali pregiudicano l’affidamento nel medesimo ai fini del migliore espletamento dei compiti della carica, dunque nella compromissione del vincolo fiduciario» –, che costituisce una forma di autotutela privata, posto che il rimedio risarcitorio non è di per sé accompagnato da alcuna forma di reintegrazione in forma specifica, deve trovare un temperamento quando impatta con i profili attinenti alla tutela per i comportamenti non discriminatori.
Di fatti, afferma la Corte, «le esigenze proprie della disciplina societaria, che opera il bilanciamento degli interessi esclusivamente sul piano patrimoniale, sono recessive rispetto alla tutela antidiscriminatoria, secondo il diverso bilanciamento di valori operato dal legislatore»; con la conseguenza che: i) la giusta causa di revoca non è integrata quando il revocato abbia compiuto una «lecita e corretta attività diretta ad ottenere la parità di trattamento»; ii) in assenza di giusta causa di revoca, nel contesto normativo così delineato, il diritto al risarcimento del danno può essere accompagnato dal rimedio reale della reintegra nella carica.
La valutazione attiene quindi al piano del merito e, avendo la sentenza impugnata omesso di esaminare un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti, la sentenza viene cassata con rinvio.