La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con sentenza del 12 dicembre 2024 (Pres. K. Lenaerts, Rel. I. Jarukaitis), si è pronunciata sul ricorso promosso da una banca avverso la sentenza di primo grado che respingeva il ricorso per l’annullamento della decisione di revoca da parte della Banca Centrale Europea (BCE) della licenza bancaria.
Più precisamente, in data 23 marzo 2017, la Banca Centrale Europea revocava la l’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria a Nemea Bank.
La banca, quindi, ricorreva dinnanzi al Tribunale presso la Corte di Giustizia dell’Unione Europea per ottenere l’annullamento di tale decisione ed il risarcimento dei danni asseritamente subiti.
Parallelamente, ad esito del procedimento dinnanzi alla Commissione Amministrativa del Riesame, in data 30 giugno 2017, la Banca Centrale Europea sostituiva il provvedimento di revoca della licenza con un altro di identico contenuto.
Il Tribunale, per tale ragione, ha dichiarato che non vi era più luogo a statuire sulla domanda di annullamento per il venir meno del suo oggetto e dell’interesse ad agire dei ricorrenti, e ha altresì respinto la domanda risarcitoria promossa dai ricorrenti in quando manifestamente irricevibile.
Nel giudizio di secondo grado, la Corte di Giustizia ha annullato la pronuncia del Tribunale, in quanto l’interesse ad agire del ricorrente «non viene necessariamente meno a motivo del fatto che l’atto impugnato da quest’ultimo abbia cessato di produrre effetti nel corso del procedimento. Infatti, un ricorrente può conservare un interesse ad ottenere una dichiarazione di illegittimità di tale atto per il periodo durante il quale era applicabile e ha prodotto i suoi effetti, poiché una siffatta dichiarazione conserva quantomeno un interesse quale fondamento di un eventuale ricorso per responsabilità».
Peraltro, la persistenza dell’interesse ad agire di un ricorrente «dev’essere valutata in concreto, alla luce, in particolare, delle conseguenze dell’illegittimità lamentata e della natura dell’asserito pregiudizio subito».
Ciò premesso, la Corte ricorda che dalla formulazione dell’art. 24, par. 7, del Regolamento istitutivo del Meccanismo di Vigilanza Unico (ossia il Regolamento 1024/2013) «risulta certamente che, qualora la BCE ritenga, in esito ad una procedura di riesame amministrativo, che non occorra modificare la decisione oggetto di tale riesame, essa abroga tale decisione e la sostituisce con una decisione di contenuto identico.
Non se ne può tuttavia dedurre che una siffatta abrogazione seguita da una siffatta sostituzione abbia un effetto retroattivo paragonabile a quello dell’annullamento di un atto di un’istituzione dell’Unione europea da parte di un giudice dell’Unione».
Infatti, prosegue la Corte, «l’abrogazione di un atto di un’istituzione dell’Unione non equivale al riconoscimento della sua illegittimità e produce un effetto ex nunc, a differenza di una sentenza di annullamento in forza della quale l’atto annullato viene rimosso retroattivamente dall’ordinamento giuridico dell’Unione e si considera come mai esistito».
In sintesi, la decisione iniziale non è stata retroattivamente rimossa dall’ordinamento giuridico dell’Unione mediante l’adozione della seconda decisione di contenuto identico che la abroga e la sostituisce.
Peraltro, secondo la Corte, «è la decisione controversa che ha avuto l’effetto di [revocare alla banca] l’autorizzazione che le era stata concessa per l’accesso all’attività di ente creditizio.
È quindi tale decisione che ha avuto le eventuali conseguenze pregiudizievoli […]. Inoltre, poiché la richiesta di riesame di una decisione iniziale è in linea di principio […] priva di effetto sospensivo, la decisione controversa ha continuato a produrre i suoi effetti fino al momento in cui la decisione del 30 giugno 2017 ha prodotto i suoi effetti, ossia al momento della sua notifica alla ricorrente.
È quindi solo a partire da tale notifica che quest’ultima decisione ha abrogato e sostituito la decisione controversa, come risulta dai termini stessi del dispositivo della decisione del 30 giugno 2017».
La Corte, quindi, accoglie il ricorso e rimette la decisione sull’annullamento della decisione controversa al Tribunale.
Invece, per quanto riguarda a manifesta irricevibilità dell’azione risarcitoria, la Corte di Giustizia respinge i motivi formulati dai ricorrenti.
Dopo aver ricordato che «spetta alla parte che adduce la responsabilità extracontrattuale dell’Unione fornire prove concludenti tanto dell’esistenza e dell’entità del danno da essa fatto valere quanto dell’esistenza di un nesso sufficientemente diretto di causa-effetto tra il comportamento dell’istituzione in questione e il danno dedotto»; fatta questa precisazione, la Corte ha rilevato come, nel caso di specie, «non era stato dedotto nessun argomento che precisasse il nesso di causalità tra l’asserito comportamento illecito della BCE e il danno lamentato nonché l’effettività di tali danni, e non era stata presentata nessuna prova al riguardo».