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Giurisprudenza

Revoca non automatica dell’ammissione al concordato preventivo in caso di atti che difettano dell’autorizzazione del giudice delegato

27 Aprile 2016

Alberto Casazza

Cassazione Civile, Sez. I, 19 febbraio 2016, n. 3324

Di cosa si parla in questo articolo

La Suprema Corte (Pres. Ceccherini, Rel. Cristiano) si è pronunciata su un caso di revoca dell’ammissione alla procedura concordataria, stabilendo che «i pagamenti eseguiti dall’imprenditore ammesso al concordato preventivo in difetto di autorizzazione del giudice delegato non comportano l’automatica revoca, ai sensi dell’art. 173, ultimo comma, l. fall., dell’ammissione alla procedura, la quale consegue solo all’accertamento, che [deve essere] compiuto dal giudice del merito, che tali pagamenti sono diretti a frodare le ragioni dei creditori, in quanto pregiudicano le possibilità di adempimento della proposta formulata con la domanda di concordato». In altri termini, ad avviso dei giudici di legittimità, «poiché l’autorizzazione del giudice è finalizzata al rispetto della proposta negoziale formulata con la domanda di concordato, non possono ritenersi atti di frode i pagamenti non autorizzati che non pregiudichino le possibilità di adempimento della proposta e, dunque, di ripartizione dell’attivo fra i creditori concordatari secondo i tempi e le percentuali in essa prevista».

Nel caso di specie, una s.r.l. era stata dichiarata fallita dal tribunale, su istanza del P.M., in seguito alla revoca dell’ammissione al concordato preventivo, dal momento che la società aveva effettuato diversi pagamenti di debiti – «sorti sia in data anteriore che posteriore all’apertura della procedura concordataria» – in assenza di autorizzazione del giudice delegato. La Corte d’Appello confermava la pronuncia di primo grado: la società, pertanto, ricorreva in Cassazione lamentando, nel merito, la violazione di legge ed il vizio di motivazione, laddove le Corti territoriali avevano «ritenuto che il pagamento di debiti scaduti eseguiti [dalla ricorrente] senza l’autorizzazione del giudice delegato comportasse l’automatica revoca del concordato ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 173 l. fall.». In particolare, la società segnalava che la norma appena citata avrebbe qualificato come atti di frode soltanto quelli che, pur eccedendo l’ordinaria amministrazione, non avessero ricevuto l’autorizzazione da parte del G.D.: nel caso di specie, invece, la ricorrente avrebbe effettuato pagamenti di debiti scaduti derivanti «da rapporti continuativi sorti antecedentemente all’ammissione del concordato» oppure «da esigenze elementari di tutela del patrimonio o di salvaguardia di un nucleo minimo di organizzazione aziendale», come tali rientranti nell’ordinaria amministrazione.

La Suprema Corte ha giudicato fondato il motivo di ricorso e cassato con rinvio la decisione della Corte d’Appello, per consentire lo svolgimento di un esame sull’effettiva natura fraudolenta degli atti compiuti. I giudici di legittimità hanno ritenuto che, nel vigente contesto normativo, non è legittima una revoca automatica dell’ammissione alla procedura di concordato preventivo nel caso in cui il debitore compia atti non autorizzati dal giudice delegato. Tale interpretazione è corroborata da tre argomenti. 1) In primo luogo, la condotta dell’imprenditore «non è più sindacabile sotto l’aspetto della meritevolezza» e al giudice non compete la verifica della fattibilità economica del piano o della convenienza economica della proposta: quindi, tutt’al più in sede giurisdizionale occorrerebbe verificare l’oggettivo disvalore degli atti compiuti e la loro concreta idoneità a pregiudicare l’interesse creditorio, in funzione dell’obiettivo finale prefissato dal piano concordatario. 2) In secondo luogo, «l’esercizio dell’impresa da parte del debitore ammesso al concordato non è più soggetto alla direzione del giudice delegato»: pertanto, il potere di autorizzazione giudiziale ex art. 167, comma 2, l. fall. dovrebbe permanere soltanto per gli atti astrattamente negativi per il patrimonio del debitore o incompatibili con la realizzazione del piano. 3) Infine, il criterio – di recente codificazione, ex art. 182 quinquies e 186 bis l. fall. – della “migliore soddisfazione dei creditori” individua una regola, generale e pervasiva, «di scrutinio della legittimità degli atti compiuti dal debitore ammesso alla procedura»: sulla base di quest’ultima, occorre escludere non solo che «il compimento dell’atto non autorizzato conduca all’automatica revoca del concordato, ma anche che il disvalore oggettivo di tale atto […] sia ricavabile [semplicemente] dalla regola della par condicio [su cui poggiavano le argomentazioni delle pronunce di merito, n.d.r.], essendo, per contro, ben possibile che il pagamento di crediti anteriori si risolva in un accrescimento, anziché in una diminuzione, della garanzia patrimoniale offerta ai creditori e tenda dunque all’obiettivo del loro miglior soddisfacimento».

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