La questione esaminata nel caso di specie riguarda se la pubblicazione di articoli di giornale che riportano la notizia della crisi di una società, poi, dichiarata fallita, possa essere valorizzata, ai fini indiziari, al fine di presumere la conoscenza dello stato di insolvenza in capo al soggetto che ha ricevuto i pagamenti, poi, oggetto di azione revocatoria fallimentare.
La Suprema Corte, richiamati alcuni precedenti (Cass. 8 febbraio 2017, n. 3299; Cass. 2 maggio 2019, n. 11546), ha affermato che ai fini dell’accertamento della scientia decoctionis il giudice può avvalersi di presunzioni semplici, come quella fondata sul fatto che, secondo l’id quod plerumque accidit, una notevole parte della popolazione (ivi inclusa quella che dirige o collabora all’attività d’impresa) sia solita consultare la stampa ed informarsi di quanto essa pubblica, comprese le notizie relative allo stato di dissesto della società poi fallita.
In particolare, nonostante l’inesistenza di un dovere di lettura della stampa, quest’ultima può comunque costituire un indizio da cui – assieme ad altri – potere trarre la prova della sussistenza della scientia decoctionis. Infatti, il ragionamento presuntivo del giudice di merito deve essere ancorato non a un parametro astratto, bensì alle condizioni economiche e organizzative in cui l’accipiens, quale imprenditore dotato di struttura organizzativa in grado di recuperare le informazioni più aggiornate direttamente connesse con la sua attività, si trova a operare.
Il giudice di merito, dunque, nel valorizzare le fonti di conoscenza, deve tenere in considerazione le risultanze del caso concreto, ovvero, per quel che rileva nella presente sede, “deve valutare nello specifico le caratteristiche della campagna di stampa e più precisamente, il numero di notizie pubblicate, il loro carattere nazionale o meno, la descrizione della gravità della situazione ivi rappresentata e la dovizia dei particolari in esse contenuti, tutti argomenti idonei per determinare se l’accipiens sia venuto o meno a conoscenza della crisi dell’impresa”.
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