Il riallineamento dell’avviamento può essere fruito per uno o più avviamenti – identificandoli tra quelli agevolabili e attribuibili alle varie “business unit” gestite – e non per il valore complessivo che l’avviamento presenta in bilancio. È questa una delle più significative novità interpretative della circolare n. 6/2022 dell’Agenzia delle entrate rispetto a quelle pubblicate in consultazione lo scorso novembre.
In realtà, questo chiarimento era noto anche prima, in quanto pubblicato in una risposta dello scorso anno (risposta n. 476/2021), dove l’Amministrazione finanziaria, proprio in merito all’identificazione degli avviamenti oggetto di riallineamento, ha ritenuto che l’ammontare del disallineamento dell’avviamento da assoggettare al regime di cui all’art. 110, comma 8-bis, del decreto legge 14 agosto 2020, n. 104, deve essere identificato in base al relativo valore complessivamente iscritto in bilancio, indipendentemente dal numero di singoli avviamenti che lo compongono[1].
L’Agenzia delle entrate, poi, è ritornata sull’argomento – nella bozza di circolare in pubblica consultazione – su un quesito di un contribuente in cui chiedeva, a fronte di differenti avviamenti rilevati in seguito all’aggregazione di società operative, se, tenuto conto della possibilità di rivalutare avendo riguardo ai “singoli beni”, vi era la possibilità di fruire del riallineamento in relazione ad alcuni dei “singoli avviamenti” individuati in nota integrativa. L’Amministrazione finanziaria, coerentemente alla risposta n. 476/2021, aveva escluso la possibilità di selezionare gli avviamenti da assoggettare al regime di “riallineamento”, affermando che “Una diversa interpretazione del predetto comma 8-bis consentendo il riallineamento di una quota di tale elemento, nella sostanza, determinerebbe la possibilità di fruire di un riallineamento parziale dell’asset avviamento derivante da un’operazione di riorganizzazione”.
Questa posizione dell’Agenzia delle entrate, che stava per consolidarsi, presentava alcuni limiti.
In primo luogo, l’eventuale misura parziale del riallineamento deve essere riscontrata su un unico bene e non su una medesima categoria di attivo di bilancio. Su questo punto, infatti, la stessa Amministrazione finanziaria (circolare n. 18/2006) ha chiarito che tra gli elementi che differenziano il riallineamento dalla rivalutazione sono, da un lato, l’obbligo di colmare per intero il divario tra costo fiscale e civile dei beni, non essendo consentito il riallineamento solo parziale delle differenze di valore e, dall’altro, la possibilità di servirsene su singoli beni. Anche per l’Amministrazione finanziaria, dunque, la misura del riallineamento deve essere intesa con riferimento al singolo bene, che è cosa ben diversa dalla categoria di immobilizzazione immateriale in cui è iscritto il bene oggetto di riallineamento. In altri termini, anche se il tenore letterale della norma è allineato alle classificazioni di bilancio (“beni e avviamento”), ciò comunque non dovrebbe far assurgere ad unico bene riallineabile eventuali differenti avviamenti. Se così fosse, anche per “i diritti di brevetto” si dovrebbe tener conto dell’unitario valore iscritto in bilancio. Pertanto, se per singolo bene riallineabile deve intendersi, ad esempio, il singolo marchio, il singolo impianto ovvero il singolo brevetto iscritto in bilancio (indipendentemente dal numero di brevetti o di marchi che rappresentano la relativa voce di attivo di bilancio) la medesima logica deve potersi applicare anche all’avviamento.
Inoltre, già nella circolare n. 57/2001 (a commento della prima versione del regime di rivalutazione/riallineamento, quella cioè, come visto, introdotta con la legge n. 342/2000) l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che per i beni immateriali è possibile procedere a rivalutare/riallineare singoli beni. Ne consegue che se per il regime di riallineamento previsto dal citato art. 110 del d.l. 104/2020 è possibile riallineare singoli beni immateriali e materiali (per questi ultimi, infatti, non è previsto l’obbligo di procedere alla rivalutazione/riallineamento per categorie omogenee), allora la scelta del legislatore è stata quella di consentire la scelta di rivalutare/riallineare anche un solo bene appartenente a ciascuna categoria di immobilizzazione materiale o immateriale. Se ciò è vero, allora tale facoltà non può non estendersi anche al nuovo attivo oggetto di riallineamento (avviamento) e alla categoria di azioni e quote.
Infine, in termini più operativi, se dovesse assumersi l’intero valore di bilancio dell’avviamento, sarebbero pregiudicate una serie di valutazioni inerenti alle scelte di riallineamento, e forse il diritto stesso di poter riallineare l’avviamento, perché questa unitarietà coinvolgerebbe il valore fiscale dello stesso asset. Ad esempio, non si potrebbero identificare gli avviamenti riallineabili, cioè quelli emergenti da riorganizzazioni realizzate prima del periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2019. Inoltre, non si potrebbe identificare il valore fiscalmente riconosciuto ai fini del riallineamento (e dell’imposta sostitutiva da versare); infatti, un soggetto Oic-adopter potrebbe avere un avviamento con un valore contabile maggiore di quello fiscale e quindi riallineabile (perché originato da riorganizzazione fiscalmente irrilevante) ed un avviamento con una posizione simmetrica (e quindi non riallineabile). La somma algebrica di questi differenziali potrebbe dar luogo a una eccedenza di valori contabili complessivi non espressivi dei singoli avviamenti contabilizzati, iscritti in bilancio e, in quanto tali, riallineabili. In termini più chiari, non vi è dubbio che quando la norma richiede il confronto tra il maggior valore contabile di un bene riallineabile e il relativo valore fiscale, tale confronto debba essere operato a livello di singolo asset e non già di singola voce di attivo di bilancio nella quale tale asset è classificato.
Ciò premesso, nella circolare n. 6/2022, forse anche tenendo conto delle criticità sopra riepilogate, l’Agenzia delle entrate cambia la propria posizione, e sostiene che, a differenza di altri regimi di “riallineamento”, l’articolo 110 del decreto legge n. 104/2020 non prevede alcun obbligo di effettuare il riallineamento ivi previsto per categorie omogenee consentendolo, dunque, per singoli beni. Conseguentemente, è possibile identificare singoli asset per i quali procedere al riallineamento ai maggiori valori contabili di quelli fiscalmente riconosciuti. Inoltre, l’Amministrazione finanziaria riconosce, correttamente, che l’esclusione del riallineamento parziale opera per singolo asset, quindi il limite che era stato considerato per escludere riallineamenti su singoli avviamenti, deve essere applicato sull’intera divergenza tra il valore contabile e quello fiscale della singola posta di avviamento. In altre parole, una volta scelto un avviamento da riallineare, la differenza (c.d. “disallineamento”) tra il (maggior) valore contabile e il (minor) valore fiscale deve essere interamente “riallineata”.
Tra i vari chiarimenti (differenti da quelli anticipati) pubblicati nella circolare in commento, è utile ricordare quello relativo alle imprese operanti nei settori alberghiero e termale che non adottano i princìpi contabili internazionali nella redazione del bilancio, alle quali, l’art. 6-bis, comma 3, del decreto legge 8 aprile 2020, n. 23, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 giugno 2020, n. 40 (c.d. “decreto di liquidità”), ha consentito la facoltà di rivalutare beni e partecipazioni gratuitamente e con riconoscimento fiscale a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2019 (2020 per le imprese con periodo di imposta coincidente con l’anno solare). Anche in tal caso, nella bozza di circolare in consultazione l’Agenzia delle entrate aveva affermato che il riconoscimento fiscale degli ammortamenti dei maggiori valori decorresse dal 2021. Questo primo chiarimento era stato espresso in considerazione del fatto che, secondo quanto chiarito dal documento interpretativo OIC n. 7, “nel bilancio in cui è eseguita la rivalutazione, gli ammortamenti sono calcolati sui valori non rivalutati, in quanto la rivalutazione è ritenuta un’operazione successiva e pertanto l’ammortamento di tali maggiori valori è effettuato a partire dall’esercizio successivo alla loro iscrizione”. Su tale premessa contabile, e nel rispetto del principio di previa imputazione a conto economico (art. 109, comma 4, del TUIR), l’Agenzia delle entrate aveva affermato che gli ammortamenti sui maggiori valori, risultanti dalla rivalutazione in parola, potevano essere dedotti soltanto a decorrere dal periodo di imposta 2021[2].
Tuttavia, nella circolare n. 6/2022, modificando quanto chiarito nella bozza di circolare in pubblica consultazione, l’Agenzia delle entrate ha chiarito che, per quanto attiene al calcolo degli ammortamenti, la previsione contenuta nel citato comma 3 dell’articolo 6-bis consente – a prescindere dal relativo trattamento contabile – di determinare gli ammortamenti deducibili tenendo conto del valore rivalutato, già a partire dal periodo d’imposta chiuso al 31 dicembre 2020.
[1] Questa interpretazione era supportata, secondo l’Agenzia delle entrate, dai seguenti elementi:
- il tenore letterale della norma dispositiva in commento, che farebbe riferimento ad un’unica attività a titolo di “avviamento”;
- l’opzione per il “riallineamento” andrebbe esercitata per l’intero differenziale tra valore contabile e fiscale, non essendo consentito il riallineamento solo parziale della differenza di valore;
- l’avviamento non farebbe parte dei beni dell’impresa, categoria che rappresenta l’ambito oggettivo della rivalutazione e del riallineamento.
[2] Questa posizione non considerava che se nei periodi di imposta precedenti quelli in corso al 31 dicembre 2020 il bene oggetto di rivalutazione era stato ammortizzato con quote annuali di ammortamento contabile maggiori di quelle ammesse in deduzione, l’eccedenza rappresentava una previa imputazione a conto economico “a copertura” della maggiore quota di ammortamento extracontabile calcolata sul maggiore costo rivalutato. Infatti, a tale fattispecie dovrebbe potersi applicare il principio chiarito dalla stessa Amministrazione finanziaria (circolare 26/E/2012 e risoluzione 98/E/2013) – per l’ipotesi di una svalutazione di un cespite ma il principio trova applicazione anche laddove il maggior costo imputato a conto economico sia rappresentato da una quota di ammortamento non ammessa in deduzione – secondo cui “la deduzione del costo imputato a conto economico con la svalutazione e rinviata ai successivi esercizi deve essere effettuata obbligatoriamente, applicando l’articolo 109, co. 4, lettera a), del Tuir, nella misura massima consentita dalla normativa fiscale, a partire dall’esercizio in cui si generano le condizioni per la sua deducibilità..”.