La domanda di insinuazione al passivo fallimentare proposta da uno studio associato fa presumere l’esclusione della personalità del rapporto d’opera professionale da cui quel credito è derivato, e, dunque, l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento del privilegio ex art. 2751-bis, n. 2, cod. civ., salvo però “che l’istante dimostri che il credito si riferisca a una prestazione svolta personalmente dal professionista, in via esclusiva o prevalente, e sia di pertinenza dello stesso professionista, pur se formalmente richiesto dall’associazione” (v. Cass. N. 6285-16)”.
Nel caso in esame, l’unica ragione in forza della quale il Tribunale aveva escluso il privilegio del creditore in sede di ammissione allo stato passivo era stata la presentazione della domanda di insinuazione direttamente da parte dello studio associato, ciò che faceva presumere l’esistenza di un rapporto tra lo studio e il cliente, escludendo, invece, il rapporto diretto con il singolo professionista.
Secondo la Suprema Corte, il Tribunale avrebbe dovuto valutare la natura della prestazione anche sulla base delle risultanze istruttorie del giudizio, non soffermandosi solamente sulla provenienza della domanda di insinuazione al passivo. Dalle circostanze allegate in giudizio dal creditore (in particolare dalla fatturazione eseguita dallo studio associato per mancanza nei soci di partita iva e dalla gestione dei compensi da parte dell’associazione prevista per patto costitutivo), nonché dalle testimonianze assunte durante il giudizio, si poteva, infatti, desumere che la prestazione resa dal professionista avesse natura personale.