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Giurisprudenza

Ricorso per il fallimento in proprio: l’imprenditore ha l’onere di provare la sussistenza dei presupposti di fallibilità

17 Ottobre 2019

Federica De Gottardo, Dottoranda in Studi Giuridici Comparati ed Europei presso l’Università di Trento

Cassazione Civile, Sez. I, 14 giugno 2019, n. 16117 – Pres. Didone, Rel. Di Marzio

Il prossimo 15 novembre si terrà a Milano il Convegno di Rassegna di Giurisprudenza Fallimentare organizzato da questa Rivista. Per maggiori informazioni si rinvia al link indicato tra i contenuti correlati.

Il giudizio de quo ha ad oggetto l’impugnazione del provvedimento con cui la Corte d’Appello di Campobasso ha respinto il reclamo avverso la dichiarazione di fallimento di una società a responsabilità limitata. In particolare, le ricorrenti hanno lamentato l’errore in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale laddove (i) ha escluso che il presidente del collegio sindacale della società dichiarata fallita dovesse munirsi della difesa tecnica ai fini della proposizione del ricorso per autofallimento e (ii) ha accertato l’esistenza dei presupposti per la dichiarazione di fallimento di cui agli articoli 1 e 5 l. fall., nonostante nessuna prova fosse stata fornita in ordine alla sussistenza degli stessi.

Quanto alla censura relativa all’assenza di difesa tecnica, la Corte di Cassazione si è limitata a riaffermare il principio, già espresso da Cass. 18 agosto 2017, n. 20187, per cui “il debitore può assumere l’iniziativa per la dichiarazione del proprio fallimento senza ricorrere al ministero di un difensore, se e fino a quando la sua istanza non confligga con l’intervento avanti al tribunale di altri soggetti, portatori dell’interesse ad escludere la dichiarazione di fallimento, ciò implicando lo svolgimento di un contraddittorio qualificato”.

Con riguardo ai presupposti per la dichiarazione di fallimento, la Suprema Corte ha innanzitutto precisato come sia lo stato di insolvenza che i requisiti dimensionali debbano sussistere anche qualora sia la società stessa a chiedere il proprio fallimento. Infatti, ad avviso della Corte di Cassazione “ciò che distingue il ricorso per la dichiarazione di fallimento da quello volto all’autofallimento non è la latitudine dei presupposti, che sono i medesimi in entrambi i casi, bensì il riparto degli oneri probatori che, in caso di autofallimento, si atteggiano diversamente dall’ipotesi di fallimento richiesto dal creditore”.

Nello specifico, la Suprema Corte ha fondato il proprio ragionamento sul disposto dell’art. 14 l. fall. Al riguardo, la Corte di Cassazione ha infatti chiarito che, sebbene la disposizione si esprima testualmente in termini di obbligo, la stessa pone in capo all’imprenditore non un obbligo, bensì un onere, nella misura in cui il mancato deposito della documentazione ivi prevista” può assumere rilievo ai fini della mancata dimostrazione della sussistenza dei presupposti per la dichiarazione di fallimento, con conseguente rigetto del ricorso per autofallimento”.

Ne consegue che grava sull’imprenditore che chiede il proprio fallimento fornire la prova sia della sussistenza dello stato di insolvenza che di almeno uno dei requisiti dimensionali normativamente considerati ai fini della fallibilità. La Suprema Corte ha quindi statuito che: (i) quanto allo stato di insolvenza, “in sede di ricorso per autofallimento, deve essere l’imprenditore a provare la sussistenza dello stato di insolvenza, in ossequio alle regole generali ed altresì in conformità allo scopo di evitare il possibile abuso nell’accesso alla procedura fallimentare, nella misura in cui essa si presenta, dall’angolo visuale dell’imprenditore, anche come strumento di soluzione della crisi di impresa”;(ii) quando ai requisiti dimensionali, “è parimenti da ritenere gravante sull’imprenditore, onerato della prova del fatto costitutivo della domanda di autofallimento, la dimostrazione, nel quadro di applicazione del citato articolo 14,della sussistenza di almeno uno dei requisiti dimensionali normativamente considerati ai fini della fallibilità”.

Con specifico riguardo alla sussistenza dei requisiti dimensionali, la Corte di Cassazione ha altresì specificato che, sebbene la prova degli stessi possa essere fornita anche con strumenti alternativi ai bilanci relativi agli ultimi tre esercizi di cui all’art. 15, comma 4, l. fall., tali “strumenti probatori alternativi devono avere ineluttabilmente riferimento, con riguardo ai requisiti dimensionali, al medesimo periodo temporale cui si riferisce l’articolo 1 della legge fallimentare”.

 


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