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Approfondimenti

Riflessioni sull’adeguatezza della società bancaria

30 Luglio 2015

Avv. Nicola Spadafora, Partner, Prof. Dario Scarpa, Of Counsel, Tonucci & Partners

Le dinamiche di adeguamento societario a livello bancario, quali determinazioni al cui livello si unifica e si riconnette l’intera gamma fenomenica del diritto delle società di capitali, implicano delle funzioni di adeguatezza, che si identificano come obblighi a carico dei soci e degli amministratori della società bancaria, suscettibili anch’essi di determinazione come prescrizioni giuridiche, la cui negazione conduce oltre che alla naturale estrinsecazione di responsabilità anche al disfacimento delle componenti societarie, non più in grado di soddisfare le nuove esigenze della struttura aziendale[1].

Nella entificazione bancaria si determina una correlazione tra le implicazioni della scienza aziendale e la praxis, che è il fondamento della costituzione del diritto: ogni determinazione costitutiva della scienza giuridica, applicata alla struttura societaria bancaria,passa e si conserva nelle determinazioni costitutive della praxis del diritto delle banche. In buona sostanza, la praxis del diritto bancario vuole il rispetto del principio di adeguatezza, quale chiave di interpretazione delle dinamiche interne alla struttura dell’ente societario[2].

Il dato normativo, all’art. 2381 c.c., indica, con precisione linguistica e nel settore della delega gestoria, che gli organi delegati curano che l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile sia adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa e riferiscono al consiglio di amministrazione e al collegio sindacale, con la periodicità fissata dallo statuto e in ogni caso almeno ogni sei mesi, sul generale andamento della gestione e sulla sua prevedibile evoluzione nonché sulle operazioni di maggior rilievo, per le loro dimensioni o caratteristiche, effettuate dalla società e dalle sue controllate[3].

Nonostante l’apparente settorializzazione del concetto di adeguatezza, quale modello comportamentale cui è tenuto l’amministratore nello svolgimento delle proprie funzioni, la ricerca di sistema, che si intraprende, vuole individuare la nascita di una necessaria correlazione tra capitalizzazione, patrimonializzazione ed adeguatezza[4], intesa come principio trasversale a vari ambiti della disciplina delle società di capitali, tale da poter dimostrare che l’adeguatezza vuole significare modello comportamentale generale all’interno della vita della società, necessaria tensione evolutiva della struttura societaria, forma di interrelazione tra i diversi organi sociali, costante veicolazione di flussi informativi nella fase assembleare ed extrassembleare, estrinsecazione del corretto controllo societario, e, con sintesi di metodo, principio di diritto[5].

L’adeguatezza va considerata alla stregua di una clausola generale dell’organizzazione d’impresa e, di guisa, un criterio, di natura inderogabile, della gestione a carico degli amministratori. Volendo associare il principio di adeguatezza al principio di precauzione, quale momento teorico antecedente alla nuova analisi della responsabilità d’impresa, l’adeguatezza che occorre analizzare risulta essere quella c.d. tecnica, vale a dire, l’adeguatezza che riguarda non solo il complesso dei luoghi in cui si svolge la produzione industriale o si somministra il servizio o si svolge l’attività commerciale propriamente detta, ma anche il complesso dei materiali, macchinari e attrezzature che servono a produrre i beni e a somministrare il servizio, nonché gli uffici direttamente colle­gati all’attività d’impresa o alla particolare natura dell’attività svolta, come possono essere l’ufficio studi o l’ufficio ricerca, che certi tipi di imprese societarie non possono non avere[6].

L’introduzione del principio di adeguatezza nel nostro ordina­mento costituisce spia della tendenza a tradurre in norme giuridiche importanti principi della scienza aziendalistica. Attesa la definizione del principio di adeguatezza, si evidenzia come emerga l’evoluzione della nozione di perizia come diligenza tecnica nell’esercizio dell’attività d’impresa e, parallelamente, il ruolo dell’organizzazione della stessa attività si realizza attraverso la consapevolezza dello stato delle co­noscenze tecniche e scientifiche e dei rischi dell’esercizio dell’attività d’impresa. Occorre valutare in termini concreti se nell’organizzazione e nello svolgimento dell’attività d’impresa siano rispettati i valori, dalla cui osservanza dipende il giudi­zio di meritevolezza sul comportamento effettivo dell’imprenditore e, successivamente, confrontarli con i vincoli di comportamento posti dal canone di pre­cauzione[7].

Non risulta configurabile un assetto adeguato ideale, ma, al contrario, esi­stono possibili assetti organizzativi adeguati da adottare sulla base di parametri quali la natura dell’impresa e le sue dimensioni. La rilevanza del tema dell’adeguatezza assume, inoltre, pregnanza giuridica se collegato al tema della responsabilità, perché il terreno applicativo è quello della responsa­bilità da inadeguatezza organizzativa, amministrativa, contabile, patrimoniale e, soprattutto, come detto, tecnica[8].

A livello bancario, applicando concetti aziendalistici prima che giuridici, deriva l’abbandono del criterio del capitale sociale quale naturale forma di garanzia per i creditori. Se si riflette attentamente, con respiro economico, sul formante normativo in tema, sembra potersi affermare che la prescrizione disciplinare dei vincoli sul capitale non risulta, in primo momento, essere tesa verso lo scopo di garantire il ceto creditorio e l’intera massa della clientela bancaria, bensì pare corretto considerare che la tensione normativa voglia anche determinare un migliore funzionamento delle imprese, attraverso l’ottenimento della solidità strutturale dell’organizzazione aziendalequale acquisizione prodromica per garantire continuità societaria adeguata alle dimensioni raggiunte[9].

Solvencye balance sheets tests possono rappresentare momenti di possibile avvicinamento al concetto di adeguatezza del capitale sociale di società bancarie, quale criterio fondante sia la tutela dei creditori che intessono rapporti giuridici con l’ente sia, soprattutto, la corretta forma di organizzazione della struttura societaria intesa come continua e periodica necessità di adeguare le risorse finanziarie della società alle reali attività e dimensioni aziendale che il perseguimento dell’oggetto sociale determina[10].

Il controllo sulla quantità e qualità delle risorse finanziarie di rischio ai fini della genesi e vita della struttura societaria, da destinare all’impresa, costituisce il necessario antecedente alla rilevazione dell’adeguatezza ed effettività della capitalizzazione, provocando un alleggerimento del sistema disciplinare della formazione e controllo del capitale, attraverso il vincolo alla continuità del supporto strutturale di rischio, dato dalla regole sulla conservazione del capitale.

Ragionando sul tema, il sistema dei finanziamenti dei soci costituisce la spia della tensione normativa verso l’ottenimento del sistema di capitale sociale adeguato[11]: la gestione della società vuole affidare la solvibilità dell’impresa non ad una decisione di investimento deliberata con le disposte prescrizoni normative ma ad una decisione occasionale, recte, generata da una valutazione finanziaria corrente[12].

Nella rappresentazione del principio di adeguatezza, anche in funzione di capitalizzazione e patrimonializzazione della società bancaria, valga considerare che, in materia di conferimenti, attese le necessarie autorizzazioni dell’autorità competenti, il soggetto che conferisce beni in natura o crediti deve presentare la relazione giurata di un esperto designato dal tribunale nel cui circondario ha sede la società, contenente la descrizione dei beni o dei crediti conferiti, l’attestazione che il loro valore è almeno pari a quello ad essi attribuito ai fini della determinazione del capitale sociale e dell’eventuale soprapprezzo e i criteri di valutazione seguiti[13]: non v’è chi non possa derivare, a modo di corollario interpretativo, la tensione della norma a garantire che il capitale, a prescindere da constatazioni in merito a dommatiche contestazioni di sottocapitalizzazione, debba essere correttamente formato al fine di ottenere l’adeguata capitalizzazione della società. Tra l’altro, a voler continuare nella lettura della norma, sembra ancora maggiormente stressato il dato dell’adeguatezza, giacché viene prescritto che gli amministratori devono, in un determinato arco temporale, controllare le valutazioni effettuate e, se sussistano fondati motivi, devono procedere alla revisione della stima[14].

A voler, ora, continuare sulla traccia della tendenza delle banche a rispettare l’adeguatezza della propria struttura societaria, si deve notare che, in tema di segmentazione patrimoniale (che può interessare la prassi bancaria), il principio di congruità del patrimonio rispetto alla realizzazione dell’affare può risultare il criterio guida attraverso il quale consentire o meno alla società il mantenimento della limitazione della garanzia patrimoniale.

Di fronte alla previsione di un principio di congruità si apre la possibilità di considerare abusiva la destinazione di beni al patrimonio separato, come pure la realizzazione dell’affare attraverso beni che erano o sono divenuti incongrui nel corso della realizzazione dell’affare. E’ necessario che sussista congruità tra l’entità del patrimonio destinato e l’affare da realizzare; è richiesta anche una particolare puntualità nella descrizione dell’operazione da svolgere. In concreto, tale rapporto non deve solo, formalmente, esistere al momento dell’adozione della delibera, ma deve continuare a sussistere per tutta la vita del patrimonio destinato; in caso contrario si verifica un abuso della separazione con la conseguente possibilità di perdere il privilegio stesso della segregazione[15].

Si rileva come tale requisito presenti dei caratteri di notevole soggettività ed incertezza: il confine tra congruità e non congruità è abbastanza labile, affidato alle caratteristiche specifiche del caso concreto ed a parametri non sempre obiettivi ed agevolmente predeterminabili[16]. Resta poi aperto il problema della necessità o meno di ripetere la valutazione di congruità dopo ogni eventuale, successivo apporto di terzi, come ha ritenuto una recente dottrina[17].

Ebbene, in tale momento il principio di adeguatezza deve essere utilizzato come criterio scriminante la necessità di operare, da parte del gestore della cellula, un continuo e periodico lavoro di valutazione in merito alla adeguatezza della struttura cellulare rispetto al reale ed utile perseguimento dell’affare.

Atteso il rispetto dell’adeguata patrimonializzazione della cellula correlata alla relativa segmentazione della singola attività, criterio fondamentale risulta quello della funzionalizzazione dei beni, vale a dire in rapporto alla loro redditività, non più nella prospettiva statica dell’appartenenza, ma dell’utilità, in senso dinamico, per lo svolgimento dell’attività economica; si registra quindi un’inversione di ruoli tra il binomio soggetto-beni e quello soggetto-attività.

Questa marcata preferenza per l’aspetto dinamico-funzionale dei beni, evidenzia una vicinanza tra l’istituto in commento e l’azienda, il che impone una riflessione sul rapporto che tra essi intercorre[18]. Effettivamente in entrambi i casi si tratta di beni e rapporti strumentali allo svolgimento dell’attività di impresa, ma mentre nel patrimonio quanto ne è oggetto è destinato solo al servizio di uno specifico affare, ciò che fa parte dell’azienda è strumentale rispetto all’attività della società considerata nella sua interezza.

In senso adeguativo, la disapplicazione della disciplina di limitazione della garanzia patrimoniale si può agevolmente dedurre sulla base della considerazione che siffatto privilegio di limitazione della responsabilità può essere riconosciuto solo in presenza di una corretta applicazione della disciplina relativa al patrimonio destinato, con disapplicazione del privilegio e applicazione del diritto comune, nel caso in cui l’applicazione della disciplina costitutiva o attuativa dell’affare non sia correttamente osservata, con conseguente integrale responsabilità della società, come del resto espressamente previsto in caso di inosservanza delle regole di identificazione degli atti di esecuzione dell’affare (gli atti compiuti in relazione ad uno specifico affare debbono recare espressa menzione del vincolo di destinazione, in mancanza risponde la società con il suo patrimonio residuo)[19].

In conclusione la disciplina societaria è ispirata, nella ipotizzata visione del perseguimento continuo dell’adeguatezza della struttura societaria anche a livello bancario, dalla volontà di ampliare le possibilità di finanziamento della s.p.a., constatata l’insufficienza del sistema attuale basato sulle alternative degli apporti dei soci, del ricorso al capitale di credito e dell’associazione in partecipazione. Ne discende, in funzione dell’adeguatezza patrimoniale, il superamento dell’assunto secondo il quale il finanziamento andrebbe erogato all’impresa, e non ad un singolo investimento[20].

Si è preferito, quindi, una dizione ampia al fine di dare massimo spazio all’utilizzazione della figura giuridica, evitando di individuarne i presupposti e utilizzando categorie e concetti classici. Il termine affare enfatizza la prospettiva dinamica che connota il patrimonio destinato, non essendo ipotizzabile un patrimonio separato finalizzato alla mera gestione o godimento dei beni che ne fanno parte. Tra gli interessi negoziali di nuova generazione, legati alle istanze finanziarie dell’impresa bancaria contemporanea, vi è appunto l’interesse alla separazione patrimoniale. In questo caso la libertà è funzionale alla soddisfazione delle esigenze di diversificazione finanziaria dell’impresa societaria, con una variabile collocazione del rischio dell’impresa, altro caposaldo della riforma. La flessibilità ed adeguatezza finanziaria, tipica degli enti bancari, rientra nella prospettiva di competizione tra ordinamenti attraverso un atteggiamento interpretativo non particolarmente restrittivo. Sembra indubbio, alla luce della impostazione sistematica adottata dal legislatore che operazione è sinonimo di affare, anche per la fungibilità con cui i termini sono utilizzati dal legislatore civilistico.



[1] Si veda, Fois, Le clausole generali e l’autonomia statutaria nella riforma del sistema societario, in Giur. comm., 2001, I, 421; Fabiani, Norme elastiche, concetti giuridi­ci indeterminati, clausole generali, “standards” valutativi e principi generali del­l’ordinamento, in Foro it., 1999, I, 3558; Rescigno, Appunti sulle clausole generali, in Riv. dir. comm., 1998, I, 1; Salvestroni, Principi e clausole generali, clausole “abusive” e “vessatorie” e diritto comunitario, in Riv. dir. comm., 1995, I, 11; Belvedere, Le clausole generali tra interpretazione e produzione di norme, in Polit. del dir., 1988, 631.

[2] Nella prospettiva di indagine intrapresa, vale a dire inquadrare il diritto societario nell’ottica del rispetto di un latente principio di adeguatezza, conf. Angelici, Profili transnazionali della responsabilità degli amministratori nella crisi dei gruppi di società, inRiv. dir. civ., 1982, I, 24; Bonelli, Natura giuridica delle azioni di responsabilità contro gli amministratori di s.p.a., inGiur. comm., 1982, II, 770; Borgioli, Attribuzioni in materia di gestione e responsabilità degli amministratori, inGiur. comm., 1977, II, 726; Montalenti, Il sistema dei controlli interni nelle società di capitali, in Atti del Convegno di Alba del 20 novembre 2004, “La tutela del risparmio: l’efficienza del sistema”, in Le Società, 3/2005, 294; Ghezzi, I doveri fiduciari degli amministratori nei Principles of Corporate Governance, in Riv. soc., 1996, 465; Costi, Società mercato e informazione societaria, inGiur. comm., 1997, I, 175 ss.; Gambino, Governo societario e mercati mobiliari, in Le Società, 1997, I, 788 ss.;Cagnasso, Il ruolo del collegio sindacale nelle s.r.l. e nelle s.p.a.: profili di un confronto, in Giur. comm., 2006, 346; Lorenzoni, Il comitato per il controllo sulla gestione nel sistema monistico: alcune riflessioni comparatistiche, in Giur. comm., 2006, 66; Racugno, Il comitato per il controllo interno e la gestione dei rischi aziendali, in Le Società, 2007, 1453; Calvo, Il controllo legale dei conti: la figura del revisore contabile alla luce della riforma societaria, in Le Società, 2007, 1318. Infine vedi Jaeger, La responsabilità degli amministratori e dei sindaci nelle pro­cedure concorsuali: una valutazione critica, in Giur. comm., 1998, I, 548.

[3] In tema Associazione Disiano Preite, Rapporto sulla società aperta, Bologna, 1997; Benvenuto, La struttura dei poteri nel governo della società, inRiv. soc., 1997, 1163; Rovelli, Limiti alla delega di poteri amministrativi (nota a Trib. Bologna 10 ottobre 1989 – decr.), inLe Società, 12/1989, 1319; Montalenti, Corporate Governance: raccomandazioni Consob e prospettive di riforma, in Riv. soc., 1997, 71; Presti, Le raccomandazioni Consob nella cornice della corporate governance, inRiv. soc., 1997, 739; Rescigno M., La Consobe la corporate governance: prime riflessioni sulla comunicazione della Consob 20 febbraio 1997 in materia di controlli societari, , in Riv. soc., 1997, 758.

[4] Il formante giurisprudenziale associabile è il seguente: Cass., 20 aprile 1994, n. 3775, in Corr. giur., 1994; Cass., 8 febbraio 1982, n. 722, Damiano c. Topfer, in RDIPP, 1982, 829-835; Cass., 15 marzo 2004, n. 5240; Cass., 9 dicembre 2003, n. 18743; Cass., 24 marzo 1999, n. 2788; Cass., 8 febbraio 1999, n. 1078; Cass., 2 novembre 1998, n. 10926; Cass., 18 ottobre 1980, n. 5610, in Arch. Civ., 1981, 13;Trib. Busto Arsizio, 17 ottobre 2003; Trib. Pescara, 24 gennaio 1997, in Foro it., 1998, I, c. 613; Trib. Milano, 9 gennaio 1997, in Riv. Arbitrato, 1999, 67; Camera Arbitrale di Milano, 20 luglio 1992, n. 1491, inYearbook Commercial Arbitration, 1993, 80-91. Ed ancora Cass. 17 maggio 1976, n. 1738 cit., Cass. 11 agosto 1990, n. 8002; Cass. 5 gennaio 1995, n. 191, cit.; Cass. 24 febbraio 2000, n. 2108, Cass. 8 agosto 1995, n. 8689 e Cass. 24 marzo 1984, n. 3083. E’ costante il rilievo che la presupposizione non possa essere rilevata d’ufficio; recentemente Cass. 24 febbraio 2000, n. 2108.

[5] Si consiglia la lettura di Portale, Rapporti tra assemblea e organo gestorio nei sistemi di amministrazione, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, dir. da Abbadessa e Portale, vol. 2, Torino, 2006, 11 ss.; Maugeri, Sulle competenze “implicite’’ dell’assemblea nella società per azioni, in Riv. dir. soc., 2007, II, 86 e ss.

[6] In tema di adeguatezza societaria l’Autore che ha, per primo sviluppato l’interesse in senso sistematico è Buonocore, Le nuove frontiere del diritto commerciale, dalla Collana Quaderni del Dipartimento di Studi Internazionali dell’Università degli Studi di Salerno, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2006, 199 e ss. e Id., Adeguatezza, precauzione, gestione, responsabilità: chiose sull’art. 2381, commi terzo e quinto, del codice civile, in Giur. comm., 2006, 6. L’Autore sostiene che “si percepirà quanto sia mutato il quadro raffigurante l’organizzazione interna della società per azioni ed in particolare quanto sia valorizzato il potere degli amministratori e quanto cambieranno contenuto e confini della responsabilità di questi e dell’impresa-società.” Ed ancora: “con l’art. 2381 la legge non si accontenta di imporre all’impresa – come pure è accaduto sovente in passato – una data forma ovvero di prescrivere minimi di capitale sociale ovvero ancora di imporre la tenuta di determinate scritture contabili, ma interviene per incidere sulle concrete modalità di organizzazione interna dell’attività d’impresa, che è campo tradizionalmente lasciato all’autonomia decisionale dell’imprenditore.” I fondamenti normativi dell’adeguatezza tecnica vanno ricercati nella legislazione speciale ed in particolarenel testo dell’art. 118 del codice del consumo (d.lgs. n. 226/2005) in cui è confluito l’art. 6 del d.p.r. 24 maggio 1988 n. 228 in tema di responsabilità da prodotti difettosi, che alla lett. e) eso­nera da responsabilità il produttore che abbia messo in circolazione un bene, poi rivelatosi difettoso, se lo stato delle conoscenze scien­tifiche e tecniche al momento in cui il bene è stato messo in cir­colazione non permettevano di considerare il prodotto come di­fettoso; nel d.p.r. 24 mag­gio 1988 n. 203, dettato in tema di inquinamento ambientale, nel quale viene definita migliore tecnologia disponibile un sistema tecnologico adeguatamente verificato e sperimentato che consente il contenimento o la riduzione delle emissioni a livelli accetta­bili; nel d.lgs. 19 settembre 1994 n. 626, con il quale si impone all’imprenditore la eliminazione dei rischi in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico o, quanto meno, la riduzione di questi rischi al minimo; particolarmente significativo è, infine, il provvedimento più recente, e cioè il d.lgs. 22 luglio 2005, che ha recepito tre diret­tive comunitarie: esso contiene disposizioni per eli­minare i rischi connessi alla raccolta indiscriminata e senza regole dei rifiuti, per favorire la progettazione di idonee apparecchiature a ciò preordinate e per vietare l’uso di sostanze tossiche.

[7] Cfr. Santonastaso, Principio di “precauzione” e responsabilità di impresa: rischio tecnologico e attività pericolosa “per sua natura”. Prime riflessioni su un tema di ricerca, in Contr. impr. /Europa, 2005, 20 e ss. Si consiglia, altresì, la lettura di Castronovo, Sentieri di responsabilità civile europea, in Europa dir. priv., 2008, 787 e ss. Più specificatamente, in tema di adeguatezza societaria cfr. Buonocore, Le nuove frontiere del diritto commerciale, dalla Collana Quaderni del Dipartimento di Studi Internazionali dell’Università degli Studi di Salerno, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2006, 199 e ss. e Id., Adeguatezza, precauzione, gestione, responsabilità: chiose sull’art. 2381, commi terzo e quinto, del codice civile, in Giur. comm., 2006, 6. L’autore sostiene che “si percepirà quanto sia mutato il quadro raffigurante l’organizzazione interna della società per azioni ed in particolare quanto sia valorizzato il potere degli amministratori e quanto cambieranno contenuto e confini della responsabilità di questi e dell’impresa-società.” Ed ancora “con l’art. 2381 la legge non si accontenta di imporre all’impresa – come pure è accaduto sovente in passato – una data forma ovvero di prescrivere minimi di capitale sociale ovvero ancora di imporre la tenuta di determinate scritture contabili, ma interviene per incidere sulle concrete modalità di organizzazione interna dell’attività d’impresa, che è campo tradizionalmente lasciato all’autonomia decisionale dell’imprenditore.” I fondamenti normativi dell’adeguatezza tecnica vanno ricercati nella legislazione speciale ed in particolarenel testo dell’art. 118 del codice del consumo (d.lgs. n. 226/2005) in cui è confluito l’art. 6 del d.p.r. 24 maggio 1988 n. 228 in tema di responsabilità da prodotti difettosi, che alla lett. e) eso­nera da responsabilità il produttore che abbia messo in circolazione un bene, poi rivelatosi difettoso, se lo stato delle conoscenze scien­tifiche e tecniche al momento in cui il bene è stato messo in cir­colazione non permettevano di considerare il prodotto come di­fettoso; nel d.p.r. 24 mag­gio 1988 n. 203, dettato in tema di inquinamento ambientale, nel quale viene definita migliore tecnologia disponibile un sistema tecnologico adeguatamente verificato e sperimentato che consente il contenimento o la riduzione delle emissioni a livelli accetta­bili; nel d.lgs. 19 settembre 1994 n. 626, con il quale si impone all’imprenditore la eliminazione dei rischi in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico o, quanto meno, la riduzione di questi rischi al minimo; particolarmente significativo è, infine, il provvedimento più recente, e cioè il d.lgs. 22 luglio 2005, che ha recepito tre diret­tive comunitarie: esso contiene disposizioni per eli­minare i rischi connessi alla raccolta indiscriminata e senza regole dei rifiuti, per favorire la progettazione di idonee apparecchiature a ciò preordinate e per vietare l’uso di sostanze tossiche.

[8] Il titolare di una posizione di garanzia nell’ambito di un’organizzazione aziendale di rilevanti dimensioni può dismettere gli obblighi e i compiti che precipuamente gli derivano dalla stessa, ad altri delegando, ossia trasferendo quegli obblighi e compiti, con conseguente sostituzione e subentro del delegato nella posizione di garanzia che faceva originariamente capo al suo titolare. A tal fine, è necessario che l’atto di delega sia espresso, inequivoco e certo e che investa persona che abbia accettato lo specifico incarico, non solo tecnicamente capace ed in possesso delle necessarie cognizioni tecniche ma anche dotata dei relativi poteri decisionali e di intervento. Rimane, in ogni caso, integro e fermo l’obbligo del delegante di vigilare e controllare che il delegato usi concretamente la delega, secondo quanto richiesto o prescritto dalla legge. (Nella fattispecie la responsabilità penale dell’amministratore delegato di Enav s.p.a. è stata ritenuta in quanto la necessità di dotare l’aeroporto del presidio di sicurezza di cui era mancante si annoverava sicuramente tra le scelte aziendali di livello più alto, che non potevano di certo sfuggire ai poteri-doveri del soggetto apicale che doveva curare che venissero non solo deliberate ma anche assicurate e poste in essere. Il giudicante ha, inoltre, precisato che, in ogni caso, anche a voler concedere che vi fossero delle deleghe interne a favore di altri soggetti – deleghe, peraltro, meramente implicite, desunte dal mansionario della società e senza conferimento dei necessari poteri decisionali e di spesa a favore del delegato -, permaneva in capo all’amministratore delegato, quale originario titolare della posizione di garanzia, l’obbligo di vigilanza e di controllo sull’operato del delegato). (Cass. pen. 23.2.2008, n. 22614)

[9] In tema si legga, istituzionalmente, F. Di Sabato, Capitale e responsabilità interna nelle società di persone, Napoli, 1967 (rist., Milano, 2005); Id., Ancora sulla composizione del capitale nelle società di persone, in Giur. comm., 1987, I, 46 ss.; Id., Ancora sul capitale nelle società di persone, in Riv. soc., 2002, 247 ss.; G. Ferri, Delle società, in Commentario del Codice Civile a cura di A. Scialoja e G. Branca, III ed., Bologna-Roma, 1981; Id., Le società, in Trattato di diritto civile italiano fondato da F. Vassalli, Vol. X, Tomo III, III ed., Torino, 1987; E. Simonetto, Concetto e composizione del capitale sociale , in Riv. dir. comm., 1956, I, 48 ss., 112 ss. e 196 ss.; Id., Responsabilità e garanzia nel diritto delle società, Padova, 1958; M.S. Spolidoro, voce Capitale sociale , in Enc. del dir., IV Agg., Milano, 2000, 195 ss.; Id., Sul capitale delle società di persone, in Riv. soc., 2001, 790 ss.; R. Weigmann, Capitale , utili e riserve nelle società di persone, in Giur. comm., 1986, I, 45 ss., e in Riserve e fondi nel bilancio d’esercizio, a cura di G. Castellano, Milano, 1986, 89 ss.

[10] In argomento, per una diffusa analisi, L. Enriques- J. Macey, Creditors Versus Capital Formation: The Case Against the European Legal Capital Rules, in Cornell L. Rev., 2001, 1164 ss.; nonché, sul relativo dibattito, P.O. Mülbert-M. Birke, Legal Capital: Is There a Case Against the European Legal Capital Rules?, in EBOR, 2002, 698; W. Schön, The Future of Legal Capital, in EBOR, 2004, 447 s.; Id., Balance Sheet Test or Solvency Tests – or Both?, in EBOR, 2006, 182 s..

[11] Si legga in giurisprudenza Cass., 13 aprile 1964, n. 870, Fall.to Lutz c. Lutz ed altri, in Foro it., 1964, I, c. 1185; Cass., 9 dicembre 1970, n. 2602, in Foro it., 1971 I, c. 65; Cass., 2 marzo 1973, n. 571, id. Rep., voce soc., n. 221; Cass., 28 luglio 1980, n. 4860, Marigolo c. Steffenini, in Giur. comm., 1982, II, 34; Cass., 9 dicembre 1982, n. 6712, in Giur. comm., 1983, II, 683; Cass., 29 novembre 1983, n. 7152, soc. Marzoli Massari c. soc. Apollo France, in Giur. comm., 1984, Il, 694; Trib. Milano, 25 settembre 1980; Trib. Milano 18 marzo 1985, soc. Lamet c. soc. Ceramica it. Pozzi Richard Ginori, in Giur. comm., 1987, II, 573, con nota di Weigmann, Oltre l’unico azionista; Trib. Bologna, 31 ottobre 1985, Lenzi c. Simonelli, in Dir. fall., 1986, Il, 99; Cass., 17 maggio 1986, n. 3266, Sprague Electric Co. c. Banca naz. Agricoltura, in Società, 1986, 1310; Cass., 27 agosto 1987, n. 1064, Sperry s.p.a. c. Rossi, in Società, 1987, 1149; App. Milano, 23 settembre 1986, Sala c. soc. Soproma Italy, in Giur. comm., 1988, II, 889; Trib. Ravenna, 28 marzo 1987, Fall. soc. Romagnola solai, in Dir. fall., 1988, II, 138. Per l’analogo caso di affidamento fiduciario della totalità delle quote di una s.r.l. ad una società fiduciaria – nel senso che la responsabilità ex art. 2497, 2° comma, spetti al fiduciante – si veda, di recente, Trib. Verbania, 21 aprile 1993, ord., Mitsubishi Electric Europe Gmbh c. Contonentale Spedizioni s.r.l., in Società, 1993, 1369.

[12] Cfr., in materia, ancora, H. Eidenmüller, Wettbewerb der Insolvenzrechte?, in ZGR, 2006, 467 ss.; Id., Free Choice in International Company Insolvency Law in Europe, in EBOR, 2006, 423 ss.; Id., Abuse of Law in the Context of European Insolvency Law, in ECFR, 2009, 1 ss.; W. G. Ringe, Strategic Insolvency Migration and Community Law, in W.G. Ringe-L. Gullifer-P. Therry (Eds.), Current Issues in European and Financial Law, Oxford and Portland, 2009, 71 ss.; . Engert, Solvenzanforderung als gesetzliche Ausschüttungssperre bei Kapitalgesellschaften, in ZHR, 2006, 318 s.; B. Pellens-T. Kemper-A. Schmidt, Geplante Reformen im Recht der GmbH: Konsequenzen für den Gläubigerschutz, in ZGR, 2008, 423.

[13] Cfr. Cass. 13 febbraio 1992, n, 1759: “Con riguardo ad un gruppo di società collegate in senso economico e dirigenziale (in virtù dell’unione personale costituita dalla pressoché totale indennità dei titolari dei pacchetti azionari e dalla comunanza degli organi direttivi), ma non in senso giuridico, per l’inconfigurabilità dei presupposti richiesti dall’art. 2359 c.c., gli organi amministrativi di una società non possono compiere atti che, realizzando le direttive del gruppo, favoriscano altre società collegate, quando tali atti pregiudichino gli interessi della prima società (nella specie, trattavasi di una fideiussione a favore di altra società del gruppo, senza vantaggi economici per la fideiubente, che veniva a partecipare solo al rischio delle perdite)”. E ancora … “non esistono ostacoli di carattere giuridico a che le decisioni adottate a livello dell’organo gestorio del gruppo vengano poi attuate dalle società del gruppo… (Ma) il vincolo degli organi amministrativi delle società collegate agli interessi del gruppo, trova limite nel rispetto e nella tutela della società. Di conseguenza, le deliberazioni degli organi amministrativi d’una società attuative delle direttive del gruppo non devono cagionare pregiudizio alla società medesima e gli amministratori si devono astenere dall’eseguire deliberazioni ed indirizzi che possano danneggiare la società anche se favoriscono altre società del gruppo. Quindi si può ammettere che la partecipazione d’una società ad un gruppo comporti la legittimità di attività che perseguono anche interessi del gruppo; certo è, tuttavia che non si possono ritenere legittime attività che, nel perseguire interessi del gruppo, contrastino con quelli della società sino al punto di recarle pregiudizio”. L’atto estraneo all’oggetto sociale realizza sempre un abuso di rappresentanza degli amministratori, tanto se la carenza non sia opponibile al terzo perché in buona fede, quanto che lo sia al terzo in mala fede; quello che differisce sono gli effetti dell’abuso. La fideiussione rilasciata da società esercente l’attività assicurativa a favore di altra società facente parte dello stesso gruppo configura un’operazione finanziaria; per stabilire se tale operazione rientra nell’oggetto sociale della società occorre verificare in concreto se essa risulta strumentale all’esercizio dell’attività assicurativa svolta dalla società medesima. L’appartenenza di una società ad un gruppo non legittima l’esercizio di qualunque attività estranea all’oggetto sociale solo perché a favore del gruppo o di altra società del gruppo, in quanto vi deve essere sempre un nesso tra attività e oggetto sociale, nesso la cui sussistenza va valutata in concreto.

[14] Nel caso di conferimento di valori mobiliari ovvero di strumenti del mercato monetario non è richiesta la relazione di cui all’articolo 2343, primo comma, se il valore ad essi attribuito ai fini della determinazione del capitale sociale e dell’eventuale sovrapprezzo è pari o inferiore al prezzo medio ponderato al quale sono stati negoziati su uno o più mercati regolamentati nei sei mesi precedenti il conferimento. Fuori dai casi in cui è applicabile il primo comma, non è altresì richiesta la relazione di cui all’articolo 2343, primo comma, qualora il valore attribuito, ai fini della determinazione del capitale sociale e dell’eventuale sovrapprezzo, ai beni in natura o crediti conferiti sia pari o inferiore: a) al fair value iscritto nel bilancio dell’esercizio precedente quello nel quale è effettuato il conferimento a condizione che il bilancio sia sottoposto a revisione legale e la relazione del revisore non esprima rilievi in ordine alla valutazione dei beni oggetto del conferimento, ovvero; b) al valore risultante da una valutazione riferita ad una data precedente di non oltre sei mesi il conferimento e conforme ai principi e criteri generalmente riconosciuti per la valutazione dei beni oggetto del conferimento, a condizione che essa provenga da un esperto indipendente da chi effettua il conferimento, dalla società e dai soci che esercitano individualmente o congiuntamente il controllo sul soggetto conferente o sulla società medesima, dotato di adeguata e comprovata professionalità. Chi conferisce beni o crediti ai sensi del primo e secondo comma presenta la documentazione dalla quale risulta il valore attribuito ai conferimenti e la sussistenza, per i conferimenti di cui al secondo comma, delle condizioni ivi indicate. La documentazione è allegata all’atto costitutivo. L’esperto di cui al secondo comma, lettera b), risponde dei danni causati alla società, ai soci e ai terzi. Ai fini dell’applicazione del secondo comma, lettera a), per la definizione di “fair value” si fa riferimento ai principi contabili internazionali adottati dall’Unione europea.

[15] Cfr. Arlt, I patrimoni destinati ad uno specifico affare: le protected cell companies italiane, inContr. impr., 2004, 323 e ss.; il contributo dell’autore risulta interessante ai fine di una corretta ricostruzione storica dell’istituto giuridico attraverso anche il riferimento al formante giurisprudenziale che ha contribuito alla nascita della disciplina dei patrimoni destinati ad uno specifico affare.

[16] In materia Inzitari, I patrimoni destinati ad uno specifico affare (art. 2447 bis, lettera a, c.c.), in Contr. impr., 2003, 164 ss.;Lamandini, Patrimoni destinati ad uno specifico affare, in Riv. soc., 2002, 1495 ss.; Lenzi, I patrimoni destinati: costituzione e dinamica dell’affare, in Riv. notar., 2003, 543 ss.; Lupoi, I patrimoni destinati ad uno specifico affare, in Aa.Vv., Per una lettura europea della riforma del diritto societario italiano, a cura di Palazzo, 10; Manes, Sui “patrimoni destinati ad uno specifico affare” nella riforma del diritto societario, in Contr. impr., 2003, 181 ss.

[17] Il legislatore ha voluto imporre alla società un generico obbligo di trasparenza, al fine di consentire ai terzi una più facile valutazione della congruità dei beni destinati rispetto all’attività; è necessaria un’effettiva e dimostrabile adeguatezza dei primi rispetto alla seconda. Evidenti i risvolti pratici del problema, a titolo esemplificativo in materia di responsabilità della società, che risponde solo se se la delibera non è adeguatamente trasparente e non consente un agevole monitorizzazione dell’operazione sottostante.

[18] Si veda Gemma, Destinazione e finanziamento, Torino, Giappichelli, 2005, 20 ss.; Santosuosso, Libertà e responsabilità nell’ordinamento dei patrimoni destinati, in Giur. comm., 2005, 362 ss.; Fauceglia, I patrimoni destinati ad uno specifico affare, in Fall., 2003, 809; Ferro-Luzzi, La disciplina dei patrimoni separati, in Riv. notar., 2002, 271 ss.

[19] Nel caso in cui non siano state soddisfatte integralmente le obbligazioni contratte per lo svolgimento dell’affare, i creditori che rimangano insoddisfatti potranno sollevare una rilevante contestazione alla società per avere intrapreso un affare con un patrimonio non congruo rispetto all’originario o sopravvenuto fabbisogno, necessario per l’attuazione dell’affare stesso, con conseguente disapplicazione della regola della limitazione della responsabilità e riconoscimento della integrale responsabilità della società anche per queste obbligazioni.

[20] Ancora, Comporti, Dei patrimoni destinati ad uno specifico affare, in Aa.Vv., La riforma delle società s.p.a. e s.a.p.a., a cura di Sandulli e Santoro, Giappichelli, Torino, 2003, 950.


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