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Approfondimenti

Riforma delle banche popolari: la finalizzazione dell’impianto normativo nella consultazione Banca d’Italia

17 Aprile 2015

Valentina Barbanti, Allen & Overy

Di cosa si parla in questo articolo

In data 9 aprile 2015 Banca d’Italia ha reso pubblico il documento (il “Documento”) con cui vengono sottoposte a consultazione le disposizioni di attuazione della riforma delle banche popolari operata dall’articolo 1 del decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3, come convertito con legge 24 marzo 2015, n. 33 (il Decreto), che ha modificato talune disposizioni del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (il Testo Unico Bancario, o “TUB”).

La riforma infatti, come attuata dalla normativa primaria sopra indicata, attribuisce alla Banca d’Italia il compito di emanare la normativa secondaria finalizzata a completare il regime applicabile alle banche popolari, per quanto attiene a taluni profili che consentiranno a tali banche di avviare le operazioni societarie necessarie per l’adeguamento entro diciotto mesi.

Proprio in considerazione dell’urgenza di definire la riforma in esame in ogni suo aspetto, Banca d’Italia ha emanato il Documento in tempi molto brevi rispetto all’entrata in vigore della legge di conversione del Decreto, ha fissato il termine ridotto di quindici giorni per fornire commenti al Documento ed ha omesso taluni step (quali l’effettuazione dell’analisi d’impatto) normalmente seguiti dall’Istituto per la finalizzazione della propria regolamentazione.

L’esito della consultazione assumerà le vesti di un aggiornamento delle “Disposizioni di vigilanza per le banche” contenute nella Circolare di Banca d’Italia n. 285 del 17 dicembre 2013 (la “Circolare 285”) e – se confermato l’impianto previsto dal Documento – entreranno in vigore il giorno successivo a quello della pubblicazione sul sito web della Banca d’Italia, anche se un regime transitorio è comunque previsto per le banche autorizzate alla data di entrata in vigore del Decreto (v. infra).

Per considerare la portata del Documento e leggere le disposizioni ivi contenute nel giusto contesto, vale rilevare che il quadro di riferimento in cui Banca d’Italia opera è quello delineatosi a seguito dell’entrata in vigore del Meccanismo di vigilanza unico (MVU) e dell’imminente recepimento legislativo in Italia della Direttiva 2013/36/UE (c.d. “CRD IV”), come specificata dal regolamento (UE) N. 575/2013 (c.d. “CRR”). Al contempo, l’intervento regolatore della Banca d’Italia si inserisce nella cornice normativa europea sulle crisi bancarie definita dalla direttiva sul risanamento e risoluzione delle banche, anch’essa in attesa di essere recepita nel nostro Paese.[1] In tale contesto, le esigenze di capitale, se non soddisfatte in tempi brevi, possono giungere a configurare i presupposti per la “risoluzione” della banca e azionisti e creditori diversi dai depositanti sarebbero chiamati a partecipare alle perdite (c.d. “bail in”).

Come ben sintetizzato dal Direttore Generale della Banca d’Italia, la riforma delle banche popolari che il Governo ha introdotto e che Banca d’Italia è chiamata a specificare va nella direzione di rafforzare la capacità di tali banche di ben operare in un mercato bancario in forte cambiamento e va letta nell’ambito di un modello di regolazione e supervisione bancaria, ormai diffuso in Europa, “incentrato nel rispetto rigoroso di alti requisiti di capitale, in periodiche prove di stress severe e diffuse, nel tempestivo coinvolgimento di azionisti e creditori in eventuali perdite.”[2]

La riforma: destinatari e disciplina

In via preliminare, vale considerare chi sono i destinatari della riforma e la ripartizione dei ruoli tra legislatore e Banca d’Italia nella definizione della stessa.

In Italia, la cooperazione in ambito bancario è rappresentata dalle banche popolari e dalle banche di credito cooperativo (BCC). In particolare, le banche interessate dal nuovo quadro normativo sono complessivamente dieci, di cui sette banche quotate e tre banche con azioni diffuse tra il pubblico (escludendo dal computo le banche popolari la cui capogruppo è a sua volta una banca popolare). Tali soggetti rappresentano oltre il 90% del totale attivo delle banche popolari[3].

Soffermandoci in questa sede sui profili strettamente connessi all’intervento di Banca d’Italia, la riforma attuata a mezzo di normativa primaria – inter alia – modifica gli articoli 28, 29 e 31 del TUB prevedendo innanzitutto l’obbligo per le banche popolari con un attivo superiore ad otto miliardi di euro di trasformarsi in società per azioni (o di deliberare la liquidazione volontaria), ove non si opti per la riduzione dell’attivo entro i limiti consentiti, entro dodici mesi dal superamento della soglia. La scelta è rimessa all’assemblea e la mancanza di una deliberazione di quest’ultima comporterebbe l’applicazione di interventi di vigilanza della Banca d’Italia, da graduare a seconda delle circostanze concrete. Peraltro, i criteri per il calcolo della soglia di attivo di otto miliardi vengono dal legislatore demandati alla normativa secondaria di attuazione che viene qui in considerazione.

Ulteriore rilevante novità del Decreto è quella relativa alla disciplina del rimborso delle azioni del socio uscente anche per effetto dell’esercizio del diritto di recesso conseguente alla trasformazione, laddove si prevede che il diritto di rimborso possa essere limitato, anche in deroga a norme di legge, per assicurare la computabilità delle azioni nel capitale di qualità primaria della banca (articolo 28, comma 2-ter, TUB). Anche in questo caso, viene dalla novella del TUB demandato a Banca d’Italia il compito di dettare la relativa disciplina di attuazione.

L’intervento di Banca d’Italia

Il Documento si sofferma prevalentemente sui criteri di calcolo da adottare per la determinazione del valore dell’attivo di otto miliardi, previsto come soglia per la trasformazione della banca popolare in S.p.A.. La ratio implicita della riforma considera tale soglia atta a definire lo svolgimento dell’attività bancaria entro volumi compatibili con la struttura cooperativa della banca.

Di fatto, si tratta di un requisito dimensionale tale da assoggettare al nuovo regime un novero di soggetti superiore a quello che risultante dal criterio utilizzato per identificare le banche “significative” assoggettate alla vigilanza europea nell’ambito dell’MVU (laddove la soglia è quella di 30 miliardi di euro). In proposito, si rileva che le banche popolari, a mezzo della propria associazione di categoria[4], hanno fortemente criticato l’approccio normativo qui considerato proprio perché la definizione della soglia di otto miliardi di euro non troverebbe esplicito riscontro in alcuna normativa esistente, ed in specie, in quella prevista in contesto MVU.

Alla luce della finalità della riforma, Banca d’Italia presceglie il criterio di vigilanza rispetto a quello contabile per definire la soglia di otto miliardi di euro. In altri termini, tale soglia dovrebbe essere definita utilizzando i medesimi criteri di calcolo che le banche sono chiamate ad utilizzare nelle segnalazioni di vigilanza per rappresentare la propria situazione patrimoniale a livello individuale e consolidato.

Invero, la suddetta scelta dovrebbe, nelle intenzioni di Banca d’Italia, realizzare due obiettivi al tempo stesso. Da una parte, nel caso soprattutto di banche popolari a capo di un gruppo bancario, si vorrebbero isolare le banche che svolgono in via principale ed esclusiva l’attività bancaria e finanziaria ed attività ad esse strumentali, escludendo le imprese che, pur essendo partecipate dalla banca, svolgono attività eterogenee (quali le imprese di assicurazione e le imprese industriali). Dall’altra parte, l’approccio seguito nel Documento avrebbe il vantaggio di allineare i criteri di calcolo della soglia di otto miliardi di euro con quelli previsti nell’ambito dell’MVU, laddove il criterio utilizzato in via prioritaria per determinare la “significatività” della banca in base alle dimensioni e, di qui l’assoggettamento della stessa alla vigilanza della rispettiva banca nazionale o della Banca Centrale Europea, è quello del valore totale delle attività determinate – a livello individuale o consolidato – sulla base dell’informativa di vigilanza di fine anno. Peraltro, è da notare che, rispetto ai criteri utilizzati in sede MVU, la riforma in discorso aggiunge anche le garanzie e gli impegni, il che porterebbe soprattutto a tener conto dell’attività di intermediari che prescelgano attività “fuori bilancio.

La scelta del criterio di vigilanza non esclude che l’alternativo criterio dell’attivo di bilancio possa essere utilizzato, ma in via subordinata ed eccezionale e sempre in linea con i criteri dell’MVU. In tal senso, viene in considerazione l’articolo 51 del Regolamento (UE) n. 468/2014 della Banca Centrale Europea che induce a determinare il valore totale delle attività sulla base dei più recenti bilanci annuali, come applicabili nell’ambito dell’Unione Europea, o, se tali bilanci non sono disponibili, sulla base dei bilanci annuali redatti in conformità alle norme nazionali applicabili in materia di contabilità.

La scelta di valutare come rilevanti dati di cui Banca d’Italia dispone nell’esercizio della propria attività di vigilanza dovrebbe escludere che l’impatto della riforma vada oltre “quanto ragionevolmente richiesto da esigenze di tutela del risparmio e di stabilità del sistema finanziario”, come già illustrato sul punto dal Direttore Generale Salvatore Rossi in un’audizione alla quale il Documento espressamente rimanda[5].

Banca d’Italia adotta, in sostanza, un approccio simile – mutatis mutandis – a quello che l’Istituto intende adottare con riferimento alle imminenti modifiche al regime di segnalazione consuntiva di cui al novellato articolo 129 TUB, in cui si vuole ancorare il reporting richiesto in sede di emissione ed offerta di strumenti finanziari in Italia alle segnalazioni comunque dovute nei confronti dell’autorità di vigilanza (in sede di attribuzione del codice ISIN), sollevando peraltro notevoli dubbi sull’economicità della scelta effettuata e sull’impatto eccessivo che questa portrebbe comportare sugli operatori del mercato[6].

Nell’attuare la delega contenuta del Decreto, il Documento si preoccupa anche di dettare previsioni relative al rimborso degli strumenti di capitale del socio uscente. Banca d’Italia prevede che tale rimborso possa essere limitato o differito dall’organo di gestione della banca in tutto o in parte e senza limiti di tempo, sulla base della valutazione della situazione finanziaria, di liquidità e solvibilità della banca e dei ratio patrimoniali (CET1, Tier 1 e total capital).

Appare evidente che si vuole con tale norma assicurare che la stabilità della banca sia preservata ricorrendo in prima istanza alle risorse patrimoniali della banca stessa. E’ comunque evidente la preoccupazione di Banca d’Italia di conformarsi all’approccio seguito dal legislatore comunitario visto che le previsioni in discorso appaiono in linea con quanto previsto in materia di azioni emesse da banche in forma cooperativa dall’articolo 29 CRR e dagli articoli 10 e 11 del regolamento delegato recante norme tecniche di regolamentazione in materia di fondi propri.

Da rilevare è anche l’ampio spazio dato all’autonomia statutaria sul punto, in quanto la facoltà di limitare o differire il rimborso viene dal Documento rimessa ad una espressa previsione dello statuto, fermi restando i poteri di autorizzazione dell’autorità di vigilanza al rimborso dei fondi propri ai sensi della normativa comunitaria applicabile (in specie, articoli 77 e 78 CRR).

Nell’impianto delineato dal Documento, la banca che decide di procedere al rimborso sarebbe chiamata a sottoporre all’autorità di vigilanza (vale a dire, Banca Centrale Europea o Banca d’Italia, a seconda che la banca sia o meno “significativa”) un’istanza di autorizzazione al rimborso dello strumento; l’autorizzazione verrebbe concessa ove la banca dimostri che i suoi fondi propri, dopo il rimborso, superano i requisiti di capitale previsti dalla normativa applicabile, il requisito di riserve di capitale e il livello complessivo ritenuto adeguato dall’autorità di vigilanza a seguito del processo di valutazione e revisione prudenziale. Da sottolineare è la previsione secondo cui l’autorizzazione potrebbe essere rilasciata, anziché caso per caso, per un determinato importo, ove l’autorità ritenga che l’importo rimborsabile sia irrilevante o comunque tale da non creare pregiudizio per la situazione prudenziale della banca.

Nel leggere la disposizione in esame va considerato che la riforma operata novellando l’articolo 28 non fa che anticipare nella sostanza quanto sarà previsto per tutte le banche cooperative a mezzo del decreto legislativo di attuazione della CRD IV. Stando al testo di decreto legislativo approvato in via preliminare dal Governo in data 10 febbraio 2015 e successivamente sottoposto al vaglio delle competenti Commissioni parlamentari in vista dell’approvazione finale da parte del Consiglio dei Ministri (in data da definire all’atto della stesura del presente commento), all’articolo 28 TUB, dopo il comma 2-ter, sarà aggiunto il seguente: “2-quater. Nelle banche popolari e nelle banche di credito cooperativo il diritto al rimborso delle azioni nel caso di recesso, anche a seguito di trasformazione, morte o esclusione del socio, è limitato secondo quanto previsto dalla Banca d’Italia, anche in deroga a norme di legge, laddove ciò sia necessario ad assicurare la computabilità delle azioni nel patrimonio di vigilanza di qualità primaria della banca. Agli stessi fini, la Banca d’Italia può limitare il diritto al rimborso degli altri strumenti di capitale emessi.” .

L’entrata in vigore delle nuove disposizioni

Come menzionato, la riforma prevede un regime transitorio applicabile alle banche popolari autorizzate alla data di entrata in vigore del decreto (20 gennaio 2015). Tali banche, ove abbiano un attivo superiore alla soglia fissata dalla legge e come sopra definita, devono adeguarsi a quanto previsto dal novellato articolo 29, commi 2-bis e 2-ter, del TUB entro diciotto mesi dall’entrata in vigore delle disposizioni di attuazione emanate dalla Banca d’Italia.

L’aggiornamento della Circolare 285 diventerebbe efficace il giorno successivo a quello della pubblicazione sul sito web di Banca d’Italia e, in sede di prima applicazione, comporterebbe una verifica del valore dell’attivo entro quindici giorni dall’entrata in vigore delle disposizioni di attuazione, facendo riferimento alle segnalazioni di vigilanza al 31 dicembre 2014, individuale o consolidata a seconda dei casi. Qualora l’organo constati il superamento della soglia di otto miliardi, dovrebbero essere assunte le conseguenti deliberazioni (la riduzione dell’attivo sotto la soglia, la trasformazione in S.p.A. o la liquidazione volontaria), da attuare e perfezionare entro il termine di diciotto mesi dall’entrata in vigore delle norme secondarie.

La verifica finale dovrebbe essere condotta considerando come data di riferimento il giorno di scadenza del periodo transitorio di diciotto mesi; qualora tale data non coincidesse con una data di segnalazione a fini prudenziali, la banca sarebbe chiamata a dimostrare che non sono avvenute variazioni rispetto alla data della più recente segnalazione prudenziale precedente la scadenza del periodo transitorio in cui la soglia di otto miliardi di euro è stata rispettata.

La tempistica ipotizzata per l’entrata a regime della nuova disciplina vuole evidentemente contemperare l’esigenza di definire un (breve) termine certo da cui far decorrere il periodo di adeguamento con l’operatività delle banche già attive alla data di emanazione della riforma.

Peraltro, si consideri che il nuovo regime, incidendo sostanzialmente sulla veste giuridica e sulla governance delle banche popolari, ha creato già da tempo un notevole fermento nel settore, considerato che l’aggregazione tra i soggetti destinatari della nuova disciplina è vista come unica possibilità per evitare possibili take-over ostili e una troppo agevole contendibilità delle banche stesse in sede di applicazione del Decreto. Difatti, una delle conseguenze della nuova disciplina sarebbe, in ultima analisi, quella di rendere più agevole e meno onerosa la contendibilità del controllo, accrescendosi l’attrattività delle banche destinatarie del Decreto nei confronti degli investitori.[7]

Molte delle banche popolari hanno, in realtà, intravisto il rischio che il nuovo regime possa mettere in pericolo financo le proprie politiche creditizie vista la preoccupazione di non superare la soglia per non rinunciare ad essere cooperative, con ciò ledendo il legittimo affidamento dei piccoli soci che contraddistinguono l’azionariato diffuso delle banche popolari (rectius, l’aspettativa connessa allo status di socio e l’affidamento sulla stabilità di tale situazione giuridica). Da più parti si è invocato un ripensamento dell’impianto stesso della riforma per evitare, con la trasformazione in S.p.A., che si azzeri l’istituzione storica della forma cooperativistica, ovvero della democrazia partecipativa, che vede nel legame con il territorio il proprio valore determinante.

Peraltro, col suo intervento Banca d’Italia non esorbita dai limiti della delega ad essa attribuita e, anche se in parte attenta alle esigenze degli operatori del settore, sembra più che altro preoccupata di ancorare l’intervento riformatore perseguito dal Decreto al più ampio contesto di riferimento, a livello di normativa italiana e soprattutto comunitaria, in cui lo stesso si inserisce.

 


[1] Il disegno di legge di delegazione europea 2014 attualmente al vaglio del Parlamento contiene, all’articolo 6, principi e criteri direttivi per il recepimento della  direttiva 2014/59/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014, che istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento e che modifica la direttiva 82/891/CEE del Consiglio, e le direttive 2001/24/CE, 2002/47/CE, 2004/25/CE, 2005/56/CE, 2007/36/CE, 2011/35/UE, 2012/30/UE e 2013/36/UE e i regolamenti (UE) n. 1093/2010 e (UE) n. 648/2012, del Parlamento europeo e del Consiglio. La direttiva c.d. Bank recovery and resolution directive, è stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 12 giugno 2014. Gli Stati membri avrebbero dovuto adottare e pubblicare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla suddetta direttiva entro il 31 dicembre 2014 ed applicare tali disposizioni a decorrere dal 1° gennaio 2015 (peraltro, le disposizioni adottate per conformarsi al titolo IV, capo IV, sezione 5, sullo strumento del bail-in, avrebbero dovuto  essere applicate a livello nazionale al più tardi a decorrere dal 1°gennaio 2016).

[2] Il riferimento è alla Testimonianza del Direttore Generale della Banca d’Italia del 17 febbraio 2015  nell’ambito del disegno di legge di conversione del decreto legge n. 3/2015.

[3] Sul punto, cfr. l’audizione del Presidente della Consob, Giuseppe Vegas, dell’11 febbraio 2015 nell’ambito del disegno di legge di conversione del decreto legge n. 3/2015.

[4] Cfr. l’audizione dell’Associazione Nazionale fra le Banche Popolari del 19 febbraio 2015 nell’ambito del disegno di legge di conversione del decreto legge n. 3/2015.

[5] Cfr. audizione citata in nota 2.

[6] Il riferimento è alle modifiche all’articolo 129 TUB contenute nel Documento di consultazione del 14 ottobre 2013.

[7] Si veda l’audizione di Vegas citata in nota 1e si consideri che, già nelle proprie segnalazioni al Parlamento, l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato aveva, tra le altre cose, rilevato la necessità di rendere maggiormente contendibili gli assetti proprietari e favorire il ricambio della compagine sociale delle banche popolari (e quindi della governance), rimuovendo i vincoli alla circolazione delle azioni e superando gli ostacoli alla partecipazione alla vita societaria.

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