In tema di deducibilità dei costi sostenuti nei confronti di soggetti localizzati in Paesi a fiscalità privilegiata (cd. “costi black list”), la Circolare del 26 settembre 2016 n. 39/E dell’Agenzia delle Entrate (cfr. contenti correlati) fornisce chiarimenti sulle modifiche che si sono succedute nel corso del 2015, che hanno portato infine all’abrogazione della disciplina in argomento.
Regime in vigore dal 2016 e trattamento dei periodi pregressi
La legge di stabilità 2016[1] ha integralmente abrogato la disciplina relativa alla deducibilità dei costi black list e il correlato obbligo informativo previsto in dichiarazione, che erano contenuti nei commi da 10 a 12-bis dell’articolo 110 del TUIR[2].
L’abrogazione ha effetto a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015, dunque, per i soggetti con esercizio coincidente con l’anno solare la disciplina in argomento non si applica a decorrere dal 1° gennaio 2016.
Dal 2016, pertanto, i costi black list,previo rispetto dei requisiti ordinari di deducibilità previsti dall’ordinamento, sono integralmente deducibili. Inoltre, viene meno l’obbligo della separata indicazione nella dichiarazione dei redditi, con conseguente inapplicabilità delle relative sanzioni.
La circolare, tuttavia, specifica che per gli anni d’imposta pregressi al 2016 si applicano le diverse discipline in vigore ratione temporis.
In particolare, il documento di prassi, richiamando la Corte di Cassazione[3], afferma che non assume rilevanza lo ius superveniens rappresentato dalla norma che ha abrogato la disciplina in esame, sia stante l’irretroattività prevista, in linea generale, dall’articolo 11 delle preleggi, sia sulla base della specifica decorrenza prevista nella legge di stabilità 2016.
Sulla base di quanto sopra, la circolare ritiene che siano applicabili, in relazione agli anni d’imposta pregressi al 2016, sia la sanzione per la mancata separata indicazione dei costi black list nella dichiarazione dei redditi[4], sia la sanzione per dichiarazione infedele[5] nelle ipotesi in cui i costi in argomento siano considerati indeducibili sulla base della disciplina in allora in vigore.
La disciplina vigente fino al periodo d’imposta 2014
Il regime in vigore già dagli anni 90’ e vigente fino al periodo d’imposta 2014 incluso, prevedeva una presunzione relativa di indeducibilità totale delle spese e degli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse con fornitori black list.
Tale presunzione poteva essere superata qualora l’impresa residente fosse stata in grado di fornire la prova che “le imprese estere svolgono prevalentemente un’attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione”[6]. Si trattava di esimenti tra loro alternative la cui dimostrazione poteva essere fornita dal contribuente sia in sede di controllo, sia, in via preventiva, mediante istanza di interpello.
La disciplina individuava i Paesi a fiscalità privilegiata rilevanti ai fini dell’applicazione della presunzione di indeducibilità, sulla base della lista contenuta nel decreto ministeriale del 23 gennaio 2002.
Era poi previsto l’obbligo di separata indicazione dei costi black list nella dichiarazione dei redditi, con l’applicazione di una specifica sanzione in caso di omissione.
La disciplina vigente nel periodo d’imposta 2015
Il regime introdotto dal decreto internazionalizzazione[7], rimasto in vigore per il solo periodo d’imposta 2015, prevede che la deducibilità dei costi black list non risulti più subordinata alla dimostrazione della sussistenza di una delle due esimenti precedentemente previste, ma operi fino al limite del valore normale dei beni o dei servizi acquistati.
In merito, la circolare specifica che l’onere della dimostrazione del valore normale del costo è in capo al contribuente che, comunque, può dedurre il costo entro tali limiti solo a condizione che l’operazione abbia avuto concreta esecuzione e fermo restando il rispetto di tutte le altre condizioni di deducibilità dei componenti negativi di reddito previste dall’ordinamento.
La disciplina del 2015, inoltre, dispone che la predetta disposizione non si applichi a condizione che sia provato l’effettivo interesse economico dell’operazione posta in essere.
Il documento di prassi specifica che in tali ipotesi (dimostrazione dell’effettivo interesse economico) sia possibile dedurre i costi black list anche oltre il limite del relativo valore normale. A tal fine, il contribuente deve valorizzare le circostanze, legate alla specificità del caso concreto che, rivestendo carattere di eccezionalità, giustifichino un valore sostenuto superiore a quello di mercato.
Resta, nel regime 2015, l’obbligo di separata indicazione nella dichiarazione dei redditi. La disciplina del 2015, inoltre, tiene conto delle modifiche medio tempore intervenute in merito all’individuazione dei Paesi a fiscalità privilegiata.
Rapporti con la normativa convenzionale
La circolare affronta, tra le altre, una tematica molto dibattuta in dottrina e oggetto di contenzioso con l’Amministrazione finanziaria[8], ovvero se la disciplina sui costi black list fosse in contrasto con la cd. clausola di non discriminazione prevista dall’articolo 24, par. 4, del Modello OCSE di Convenzione contro le doppie imposizioni[9].
Secondo la disciplina convenzionale, infatti, le spese sostenute nei confronti di un residente dell’altro Stato contraente devono essere ammesse in deduzione alle stesse condizioni che sarebbero applicabili qualora la controparte fosse residente nel medesimo Stato dell’impresa acquirente/committente.
Nel documento di prassi, si ritiene che non sussista un contrasto tra la clausola di non discriminazione e l’abrogata disciplina sui costi black list , in quanto con detto regime non si vietava in assoluto la deduzione di tali costi, ma si richiedeva la sussistenza delle esimenti previste al fine di verificare la realtà economica dell’operazione che, coinvolgendo un soggetto localizzato in un Paese a fiscalità privilegiata, presentava (per presunzione legislativa) un più alto rischio di abuso rispetto alle transazioni domestiche.
[1] Articolo 1, comma 142, della legge 28 dicembre 2015, n. 208.
[2] Testo unico delle imposte sui redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR).
[3] Corte di Cassazione sentenza n. 6651 del 21 gennaio 2016.
[4] Articolo 8, comma 3-bis, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471.
[5] Articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471.
[6] Articolo 110, comma 11, del TUIR.
[7] Decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147.
[8] Si veda ad esempio la Sentenza n. 294 del 13 dicembre 2012 della Commissione Tributaria Provinciale di Milano o la sentenza della medesima Commissione del 24 luglio 2015.
[9] “Fatta salva l’applicazione delle disposizioni contenute nel paragrafo 4 dell’articolo 12, gli interessi, i canoni e le altre somme pagate da un’impresa di uno Stato contraente ad un residente dell’altro Stato contraente, sono deducibili, ai fini di determinare gli utili imponibili di detta impresa, alle stesse condizioni in cui sarebbero deducibili se fossero pagati ad un residente del primo Stato”.