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Giurisprudenza

Rilevanza del benchmark per la valutazione del corretto adempimento degli obblighi contrattuali del gestore di portafogli

23 Febbraio 2017

Luca Astorri

Cassazione Civile, Sez. I, 3 gennaio 2017, n. 24

Di cosa si parla in questo articolo

Con la sentenza in commento la Suprema Corte ha confermato le decisioni precedentemente prese dalle corti territoriali che hanno condannato una banca al risarcimento dei danni subiti dai clienti «in conseguenza dell’inadempimento di un contratto di gestione patrimoniale di tipo “C-Azionario globale”, con definizione del rischio di investimento da un parametro di riferimento (benchmark) per il 30% a indice titoli di stato JP Morgan Globale in euro e per il 70 % a indice mondiale MSCI in euro».

Giova premettere che ai fatti per cui era causa risulta applicabile ratione temporis il “Vecchio” Regolamento Intermediari adottato con delibera Consob n. 11522 del 1° luglio 1998 e non il “Nuovo” Regolamento Intermediari adottato con delibera Consob n. 16190 del 29 ottobre 2007 che in tema di parametri di riferimento detta disposizioni in parte differenti.

L’inadempimento del gestore è stato ravvisato nell’aver attuato una gestione del portafoglio incoerente con i rischi contrattualmente assunti e sinteticamente rappresentati dal benchmark. All’esito di una CTU, infatti, è emerso che per un periodo continuativo di circa sei mesi la banca ha agito in difformità dal parametro indicato nel contratto di gestione, attuando una politica di investimento con una netta preferenza per la componente azionaria in misura percentuale eccedente quella prevista.

Secondo le censure mosse dal gestore resistente le Corti territoriali avrebbero attribuito al benchmark un valore negoziale di vera e propria obbligazione di risultato, oltre che di clausola gerarchicamente sovraordinata rispetto a tutte le altre indicate nel contratto. La Corte di Cassazione, invece, valorizzando il disposto dell’art. 42 del Vecchio Regolamento Intermediari ha ritenuto che il benchmark assumesse un ruolo fondamentale nel delineare le caratteristiche della gestione.

Pertanto la Suprema Corte ha statuito che «il benchmark, se anche non impone al gestore di acquistare titoli nelle porzioni indicate, in ogni caso costituisce un modo per valutare la razionalità e la adeguatezza dell’attività dell’intermediario, giacché a ogni benchmark è associato un rischio, misurato statisticamente dalla volatilità che caratterizza il parametro prescelto a riferimento». Ne consegue che essendosi il gestore discostato per un periodo di tempo rilevante dalle caratteristiche della linea di investimento prescelta dall’investitore risponde dei danni subiti in conseguenza del suo inadempimento.

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