La sentenza n. 199/2015 del Tribunale di Trapani – Sezione Penale, emessa dal giudice monocratico Dott. Franco Messina, rappresenta un significativo e fondamentale precedente che va da inserirsi nell’ordinamento sanzionatorio in materia di antiriciclaggio, ponendo l’interprete dinnanzi a rilevanti dubbi circa l’effettiva portata ed applicabilità delle disposizioni di natura penale introdotte con il D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231, c.d. “Decreto Antiriciclaggio”.
1. La ricostruzione dei fatti di causa
La sentenza dianzi richiamata ha avuto ad oggetto la contestazione, ad alcuni esponenti aziendali di una banca di credito cooperativo (nello specifico: il direttore della filiale interessata, il legale rappresentante dell’istituto ed i due responsabili dell’ufficio controlli interni), riguardante la violazione degli obblighi vigenti in materia di antiriciclaggio, con specifico riferimento agli obblighi identificativi e, soprattutto, agli obblighi di registrazione dei dati concernenti i rapporti in essere all’interno dell’Archivio Unico Informatico (c.d. “AUI”).
Più in particolare, la ricostruzione dei fatti di causa (non contestati, nella loro materiale commissione, dalle parti), intentata successivamente alla predisposizione delle risultanze emerse a seguito di una ispezione condotta dalla Banca d’Italia presso la menzionata banca di credito cooperativo, ha evidenziato come talune operazioni, poste in essere nel corso di un biennio, sarebbero state registrate presso un archivio provvisorio, salvo poi essere cancellate prima della loro trasposizione presso l’AUI ufficiale (ovvero l’archivio unico munito dei requisiti di cui all’art. 37 del Decreto Antiriciclaggio, formato e gestito in modo tale da assicurare la chiarezza, completezza e uniformità delle informazioni nonché il mantenimento della storicità delle medesime, con evidenza dunque delle successive eventuali rettifiche).
Di contro, altre registrazioni sarebbero state disposte solamente in forma parziale, dunque in assenza di taluni degli elementi anagrafici prescritti ai sensi dell’art. 36, comma 1 del Decreto Antiriciclaggio, venendo regolarizzate solamente in una fase successiva, comunque a distanza di alcuni anni dalla registrazione originaria.
Il quadro fattuale, sulla scorta del quale il Tribunale di Trapani ha emesso la sentenza in discussione, è stato quindi completato dall’intervento della stessa banca di credito cooperativo (invero avviato prima che avesse inizio l’attività ispettiva della Banca d’Italia) la quale, munendosi di sistemi informatici idonei, ha avviato una seppur tardiva azione volta al recupero dei dati inerenti alle operazioni non registrate.
2. La decisione
Il giudice penale, anche sulla scorta delle osservazioni formulate dal consulente tecnico, è addivenuto ad una decisione per certi versi sorprendente, sol che si consideri l’intento preventivo perseguito dal legislatore attraverso la previsione di rigorose sanzioni di natura penale a fronte di condotte idonee, se non a ledere, quantomeno a mettere in pericolo i beni giuridici tutelati[1].
Nello specifico la decisione del giudice monocratico, atteso il sostanziale riconoscimento dei fatti di causa nella loro materialità, prende le mosse dalla valutazione dell’elemento psicologico del reato, rilevando al riguardo che la violazione tanto degli obblighi di adeguata verifica della clientela quanto degli obblighi di registrazione (nelle sue varie declinazione dell’omissione, della tardività e dell’incompletezza) integrano apposite fattispecie delittuose, punibili con la multa da € 2.600 ad € 13.000.
Ebbene, in assenza di diversa indicazione del legislatore, quale regola generale per la punibilità dei delitti occorre accertare l’esistenza dell’elemento psicologico del dolo, inteso quale coscienza e volontà di determinare l’evento illecito.
Nel caso di specie, la valutazione circa l’eventuale esistenza del dolo è stata condotta dal giudice di prime cure alla stregua di due distinti parametri, ossia il comportamento degli imputati (e, più in generale, dell’istituto di credito) e la natura giuridica dei rapporti rispetto ai quali sia stata registrata la tardività nelle registrazioni, onde poter verificare l’effettivo rischio di riciclaggio connesso o conseguente a detta tardività.
Quanto al primo elemento, il giudice ha opportunamente considerato la circostanza che l’istituto di credito coinvolto si è adoperato, prima ancora dell’avvio dell’attività ispettiva condotta dall’autorità di vigilanza, al fine di rimuovere le lacune e anomalie che ne avevano caratterizzato l’attività di registrazione delle operazioni[2]: si tratta dunque di un comportamento autonomo e predeterminato rispetto alle azioni ed alle condotte dell’autorità di vigilanza, con ciò dimostrando la sincera e genuina intenzione degli incolpati di ricondurre alla piena legalità l’operato dell’istituto di credito, con ciò peraltro trasformando la delicata fattispecie dell’omissione delle registrazioni nella diversa (ed evidentemente meno incisiva) fattispecie della tardività delle registrazioni medesime.
L’aspetto che assume maggiore rilevanza nel caso in discussione è però rappresentato dalla valutazione eminentemente qualitativa (ma anche quantitativa) svolta dal giudice circa l’individuazione dei rapporti per i quali sia stata contestata l’omessa / tardiva registrazione in archivio unico informatico.
A tale proposito, muovendo dall’assunto per cui la condotta dolosa necessaria per integrare l’elemento soggettivo dell’illecito penale in discussione dovesse essere volta ad eludere la normativa antiriciclaggio, il Tribunale di Trapani ha esaminato la natura delle operazioni tardivamente registrate, ritenendo le stesse connotate da un grado di rischio di riciclaggio estremamente basso, se non addirittura inesistente.
Ciò in quanto tra le operazioni contestate sono state rinvenute operazioni riconducibili alla curatela fallimentare (dunque operazioni poste in essere sotto l’egida ed il controllo del giudice delegato), all’apertura di credito in conto corrente per l’accredito della pensione o dello stipendio, l’accensione di mutui cointestati tra genitori e figli: operazioni, in altri termini, rispetto alle quali il soggetto e lo scopo del rapporto dovevano essere considerati evidenti in re ipsa e, conseguentemente, sufficientemente presidiati già al momento dell’istruttoria svolta in sede di accensione del rapporto.
Non solo: andando poi ad esaminare le operazioni tardivamente registrate dal punto di vista quantitativo, il giudice ha riscontrato come le stesse ammontino complessivamente a circa un centinaio, ovvero un numero percentualmente irrilevante rispetto al complesso delle operazioni processate dall’istituto di credito. Peraltro, tale percentuale è stata ulteriormente decurtata con riferimento alle operazioni ritenute, expressis verbis, “irrilevanti”.
La conclusione cui è dunque giunto il giudice penale è quella per cui, analizzando nel complesso le operazioni tardivamente registrate, “non si riscontra un disegno che avrebbe potuto essere messo in atto. Anzi, le tardive registrazioni appaiono chiaramente, per i soggetti coinvolti, per il basso rischio dei medesimi, per i bassi importi movimentati e per la tipologia dei mezzi di pagamento utilizzati, frutto di una casualità”.
3. Considerazioni
La pronuncia esaminata appare di fondamentale importanza in quanto apre significativi spazi ad una sostanziale impossibilità (o, quantomeno, estrema difficoltà) nell’applicazione di sanzioni penali agli istituti bancari che abbiano omesso di registrare informazioni presso l’AUI ovvero provveduto con ritardo e/o in maniera incompleta a gestire tale adempimento.
D’altronde, l’analisi meramente formale ancorata al dato giuridico impone al giudice di valutare attentamente non soltanto l’elemento oggettivo della fattispecie (dunque la condotta tenuta e l’evento verificatosi) ma anche quello soggettivo, rappresentato dall’intenzionalità dell’elusione della normativa di riferimento.
Appare evidente che, in un campo così tecnico come quello rappresentato dalla registrazione delle informazioni acquisite presso l’AUI, per quanto si possa considerare elevato il rischio di incorrere in erronee o tardive registrazioni[3], ben più complesso sarà invece dimostrare l’esistenza di un disegno criminoso sotteso alla violazione di tale obbligo. Vieppiù laddove ci si spinga, come fatto dal Tribunale di Trapani, ad un’analitica valutazione dei rapporti oggetto di registrazione, laddove questi vengano considerati ontologicamente irrilevanti ai fini del contrasto al riciclaggio.
In altri termini: qualora il legislatore avesse inteso sanzionare la violazione degli obblighi di registrazione a titolo di contravvenzione (dunque punibile con ammenda e/o arresto) o di semplice sanzione amministrativa, ciò avrebbe determinato la punibilità delle condotte caratterizzate non necessariamente da connotati dolosi ma anche colposi. Di contro, la scelta (almeno apparentemente) più rigorosa di riconoscere un significativo disvalore di tipo penale alle violazioni in oggetto, rischia di condurre, nei fatti, ad una ben più difficile applicazione della norma e comminazione della relativa sanzione.
In attesa di riscontrare sul tema le prime, eventuali, pronunce di legittimità, si deve comunque osservare come la portata di tale decisione rischi di pregiudicare la percezione cogente delle disposizioni in materia di antiriciclaggio, proprio in virtù della difficile dimostrazione circa l’esistenza di un disegno criminoso e delle argomentazioni difensive che potranno fare leva sulla natura dei rapporti registrati in maniera tardiva o incompleta (o, a rigor di norma, non registrati).
In conclusione, pur condividendosi l’operazione ermeneutica condotta dal giudice di prime cure quanto alla sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo, al fine di garantire l’efficacia e l’effettività dell’impianto sanzionatorio previsto dal complesso normativo in materia di antiriciclaggio, sembra auspicabile che, in occasione del recepimento della Direttiva UE 2015/849 (c.d. IV Direttiva Antiriciclaggio, che dovrà essere recepita entro il 26 giugno 2017), il legislatore nazionale valuti attentamente la possibilità di depenalizzare quegli illeciti (come quelli inerenti quantomeno alla tardività o incompletezza delle registrazioni in archivio unico informatico) che, anche in ragione dei propri connotati di natura tecnica, possano più adeguatamente ed efficacemente essere sanzionati quali illeciti amministrativi.
[1] Sulla identificazione dei beni giuridici tutelati nel reato di riciclaggio cfr. Manna, in “Il bene giuridico tutelato nei delitti di riciclaggio e reimpiego”, in Riciclaggio e reati connessi all’intermediazione mobiliare, a cura di Manna, Torino, 2000; D’Anello, “Riciclaggio: dalla tutela penale del patrimonio individuale a quella dell’economia”, in Arch. Pen., 2012, Vol. 2.
[2] Comportamento, peraltro, che le medesime autorità di vigilanza considerano espressamente tra gli elementi valutativi ai fini della determinazione delle sanzioni: cfr. a titolo esemplificativo le “Disposizioni di vigilanza in materia di sanzioni e procedura sanzionatoria amministrativa” della Banca d’Italia del 18 dicembre 2012, ove si chiarisce che “nella determinazione della sanzione la Banca d’Italia tiene conto anche: – dell’attività svolta dai soggetti sottoposti alla procedura sanzionatoria per eliminare o attenuare le conseguenze dell’infrazione, anche cooperando con l’Autorità di Vigilanza”.
[3] Si rammenta infatti che, ai sensi dell’art. 36, comma 3 del Decreto Antiriciclaggio, le informazioni raccolte debbano essere registrate tempestivamente e comunque non oltre il trentesimo giorno successivo al compimento dell’operazione ovvero all’apertura, variazione o chiusura del rapporto continuativo.