Con l’ordinanza in esame, la Corte è chiamata (ancora una volta) ad affrontare il dibattuto tema della decorrenza del termine entro cui la parte non fallita è tenuta a riassumere il giudizio interrotto per l’intervenuto fallimento di controparte.
Come noto, l’art. 43, comma 3, l. fall., prevede l’interruzione automatica del processo (v. Cass. Sez. Un. n. 7443/2008) in caso di fallimento di una delle parti processuali: l’”apertura del fallimento determina l’interruzione del processo”. Intervenuta l’interruzione, la parte non fallita può riassumere il procedimento entro il termine di tre mesi previsto dall’art. 305 c.p.c., a pena di estinzione.
Per stabilire se il termine previsto dall’art. 305 c.p.c. è stato rispettato, è necessario innanzitutto individuare il momento da cui debbano decorrere i tre mesi per la riassunzione del giudizio per la parte non fallita.
Sul punto, la Corte, in primo luogo, ricorda il principio in base al quale la parte non fallita deve sempre essere in grado di conoscere se si sia verificato l’evento interruttivo e quale sia il momento da prendere in considerazione per la decorrenza del termine per la riassunzione (v. Corte Cost. 21 gennaio 2010, n. 17).
In secondo luogo, la Corte esamina i diversi orientamenti della giurisprudenza, riportati brevemente di seguito:
- secondo un primo orientamento, ai fini della decorrenza del termine assumerebbe rilievo soltanto la comunicazione dell’estinzione nelle forme legali (v. Cass. n. 10594/2019; Cass. n. 3782/2015);
- un successivo orientamento dà invece rilievo alla conoscenza effettiva dell’evento interruttivo, a prescindere dalla comunicazione formale (v. Cass. 15996/2019);
- un ulteriore orientamento dà infine rilevanza al momento di dichiarazione dell’estinzione da parte del giudice (Cass. n. 5288/2017; Cass. n. 4519/2018), tesi in linea con quanto previsto dal codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (d.lgs. n. 14/2019) ma criticata da Cass. n. 31010/2018 in quanto si vanificherebbe, nella sostanza, la previsione di automaticità di cui all’articolo 43 l. fall.
Dopo la lunga disamina degli orientamenti giurisprudenziali, la Corte riconosce che “la materia … si presenta costellata da posizioni non coerenti che concorrono a rendere priva di uniformità la giurisprudenza espressa dalla Corte” e, per questo motivo, rimette la causa al Primo Presidente per valutare la rimessione alle Sezioni Unite, in particolare sulla “individuazione del momento da cui debba aver corso, per la parte che non sia fallita, il termine per la riassunzione del giudizio nel caso di interruzione ex art. 43, comma 3, I. fall.”.