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Giurisprudenza

Rimesse solutorie e ripristinatorie: quando costituiscono pagamento

23 Febbraio 2024

Cassazione Civile, Sezione I, 15 febbraio 2024, n. 4214 – Pres. De Chiara, Rel. Fidanzia

Di cosa si parla in questo articolo

La Sezione I della Corte di Cassazione, con sentenza n. 4214 del 15 febbraio 2024, è tornata sulla differenza fra le rimesse solutorie e ripristinatorie, nonché in tema di valenza probatoria degli estratti conto bancari.

In particolare, aderendo alla pronuncia delle Sezioni Unite n. 24418/2010, esplicita il seguente principio di diritto:

Costituiscono pagamento in senso tecnico (determinando uno spostamento di ricchezza a favore della banca) le c.d. rimesse solutorie, ovvero i versamenti effettuati dal correntista su un conto corrente per il quale vi sia stato uno sconfinamento rispetto al fido concesso (con contratto di apertura di credito in conto corrente) oppure su un conto corrente ab origine non affidato. Con riferimento, invece, alle rimesse c.d. ripristinatorie, che affluiscono su un conto non “scoperto” ma solo “passivo” – non essendovi stato sconfinamento rispetto al limite di affidamento – non può parlarsi tecnicamente di pagamento atteso che, con quei versamenti, il correntista si limita a ripristinare la provvista, e non si determina alcuno spostamento patrimoniale a favore della banca, potendo riutilizzare in qualsiasi momento la somma versata sul conto corrente, che la banca è contrattualmente obbligata a tenere a disposizione del cliente fino alla eventuale revoca dell’affidamento.

Pertanto, se, nel corso del rapporto di conto corrente, i versamenti di danaro eseguiti su di esso dal correntista hanno la semplice finalità di ripristinare il fido concesso dalla banca al cliente, potrà parlarsi di pagamento solo dopo che, conclusosi il rapporto di apertura di credito in conto corrente, la banca abbia ottenuto dal correntista la restituzione del saldo finale, nel computo del quale risultino compresi interessi non dovuti e, perciò, da restituire, se corrisposti dal cliente all’atto della chiusura del conto.

Pertanto, in parziale riforma della motivazione addotta dalla Corte d’Appello, la Cassazione afferma che non è esatto che si può parlare di “pagamenti” solo dopo la chiusura del conto corrente: tale eventualità si verifica, invece, solo nella situazione evidenziata dalle Sezioni Unite, in cui siano affluite su un conto affidato solo rimesse di natura ripristinatoria.

Ove i versamenti siano eseguiti su un conto “scoperto”, si potrà parlare di pagamento in senso tecnico, anche se questo è avvenuto in costanza di rapporto.

Ne consegue che l’azione di ripetizione dell’indebito può essere esercitata anche in costanza del rapporto di conto corrente bancario, ma, affinché la pretesa del correntista, cui sia stata illegittimamente addebitata una somma, seguita da un suo versamento, sia qualificabile come ripetizione di indebito pagamento, occorre che quel versamento abbia natura solutoria.

In caso contrario, infatti, non è configurabile un diritto di ripetizione dell’indebito: il correntista potrà eventualmente agire per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell’addebito si basa e, di conseguenza, per ottenere una rettifica in suo favore delle risultanze del conto stesso; certo non può agire per la ripetizione di un pagamento che, in quanto tale, non ha ancora avuto luogo.

Infine, la Corte afferma nuovamente che, ove gli estratti conto bancari prodotti dal correntista siano comunque idonei ad attestare senza soluzione di continuità tutte le rimesse suscettibili di ripetizione verificatisi da un certo periodo in poi fino da all’estinzione del rapporto (rimanendo sprovvisto di documentazione solo il periodo iniziale), la domanda di ripetizione dell’indebito è accoglibile, previo espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio che prenda come punto di partenza, nell’elaborazione dei conteggi, il saldo del primo estratto conto disponibile.

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