La Corte d’Appello di Torino, con sentenza n. 28 del 29 dicembre 2023 e pubblicata in data 15 gennaio 2024 (Pres. Maccarrone, Rel. Bonaudi), si è pronunciata sui criteri distintivi tra fideiussione e contratto autonomo di garanzia, affermando che «mentre la fideiussione è volta a tutelare l’esatto adempimento della medesima obbligazione principale altrui, il contratto autonomo di garanzia pone a carico del garante un’obbligazione autonoma e diversa, proprio perché non rivolta al pagamento del debito principale, quanto a indennizzare il creditore insoddisfatto mediante il tempestivo versamento di una somma di denaro predeterminata.
Contemporaneamente, la prestazione cui è tenuto il garante è diversa da quella cui è tenuto l’obbligato principale (autonomia del contratto autonomo rispetto all’obbligazione principale).
La distinzione è resa contrattualmente dall’inserimento nel contratto dell’espressione “a prima richiesta e senza eccezioni”, perché l’impossibilità per il garante di opporre al creditore le eccezioni fondate sul rapporto fondamentale tra creditore e debitore principale è il profilo che rende evidente l’assenza dell’elemento dell’accessorietà (ferma restando l’esperibilità dell’exceptio doli), mentre non lo è la sola presenza della clausola “a prima richiesta”».
In particolare, la Corte è intervenuta sul rapporto tra i due contratti citati e l’art. 1957 c.c., precisando che «soltanto con riferimento al contratto autonomo di garanzia [si può] affermare una generale inapplicabilità del disposto dell’art. 1957 c.c. proprio perché il contratto autonomo di garanzia reca come connotato fondamentale l’assenza di accessorietà dell’obbligazione del garante rispetto a quella dell’ordinante, essendo la prima qualitativamente diversa dalla seconda, oltre che rivolta non al pagamento del debito principale, bensì ad indennizzare il creditore insoddisfatto mediante il tempestivo versamento di una somma di denaro predeterminata, sostitutiva della mancata o inesatta prestazione del debitore.
In relazione alla fideiussione, invece, il disposto dell’art. 1957 c.c. nella parte in cui impone al creditore di proporre la sua “istanza” contro il debitore entro sei mesi dalla scadenza per l’adempimento dell’obbligazione garantita dal fideiussore, a pena di decadenza dal suo diritto verso quest’ultimo, è costantemente interpretato nel senso che sia necessario attivare un mezzo di tutela giurisdizionale del diritto di credito, in via di cognizione o di esecuzione, non essendo sufficiente una mera intimazione di pagamento».
La controversia vedeva una banca agire contro i fideiussori omnibus di un’impresa sua creditrice dichiarata fallita ed ottenere decreto ingiuntivo nei loro confronti.
In sede di opposizione al decreto, il Tribunale respingeva le pretese della banca, accertando sia la nullità della clausola di rinuncia ai termini ex art. 1957 c.c. contenuta nelle fideiussioni in quanto conforme allo schema ABI censurato come anticoncorrenziale da Banca d’Italia nel 2005, sia l’incidenza di tale nullità sull’efficacia dell’impegno fideiussorio.
Infatti, scaduta l’obbligazione garantita, la banca non aveva coltivato alcuna azione giudiziale volta al recupero del credito nei riguardi della debitrice nei termini previsti dalla disposizione citata.
La banca, allora, per far salva l’inapplicabilità dell’art. 1957 c.c. e, così, le proprie pretese, ha tentato l’escamotage di qualificare il contratto come una garanzia autonoma e non come una fideiussione ma le sue argomentazioni sono state respinte.