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Giurisprudenza

Rinuncia al credito dei soci per finanziare la società

12 Ottobre 2022

Andrea Galleano, Dottorando in Studi Giuridici Comparati ed Europei, Università di Trento

Cassazione Civile, Sez. VI, 19 luglio 2022, n. 22609 – Pres. Luciotti, Rel. Succio

Di cosa si parla in questo articolo

Con Ordinanza n. 22609 del 19 luglio 2022, la Corte di Cassazione si è espressa in materia di regime fiscale della rinuncia al credito da parte dei soci con l’effetto di finanziare la società.

Con la pronuncia de qua la Corte di Cassazione ribadisce la propria adesione alla teoria dell’incasso giuridico sostenuta dall’Amministrazione finanziaria, affermando che «in tema di determinazione del reddito d’impresa, l’art. 55 (poi art. 88), quarto comma, del TUIR che esclude debbano considerarsi sopravvenienze attive le rinunce ai crediti operate dai soci nei confronti della società, [deve] essere letto in correlazione con i successivi artt. 61, quinto comma (poi 94, sesto comma) e 66, quinto comma (poi 101, settimo comma)» (Cass., n. 26842/2014; Cass., n. 2057/2020) e che, pertanto, tale norma «non vale ad alterare il regime fiscale del credito che costituisce oggetto di rinuncia, per cui, ove si tratti di crediti da lavoro autonomo del socio nei confronti della società, i quali, sebbene materialmente non incassati, siano, mediante la rinuncia, comunque conseguiti ed utilizzati, sussiste l’obbligo di sottoporne a tassazione il relativo ammontare, con applicazione, ai sensi dell’art. 25 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, della ritenuta fiscale, cui la società è tenuta quale sostituto d’imposta» (Cass., n. 1335/2016; Cass., n. 7636/2017).

La Suprema Corte chiarisce che il giroconto contabile della scrittura da fondo trattamento di fine mandato (TFM) dell’amministratore deceduto a debito/vs terzi (eredi) e, in seguito, a soci/vs finanziamento non ha valenza esclusivamente contabile e non consiste nel semplice mutamento del soggetto creditore della somma in virtù di successione mortis causa, come sosteneva invece la società ricorrente.

L’operazione, frutto di un preciso accordo fra la società e i soci-eredi, produce l’effetto – giuridico oltre che contabile – di mutare il credito dei secondi nei confronti della prima «in una voce di patrimonio netto costituente finanziamento».

Conseguentemente, la Corte evidenzia che attraverso un atto dispositivo avente natura giuridica di rinuncia gli eredi hanno «con tutta evidenza economicamente e giuridicamente appreso il credito per poi finanziare la loro società, senza però sottoporre la somma […] alla prescritta imposizione a titolo di ritenuta da operarsi ad opera della società».

Le circostanze ricostruite nel corso dei precedenti gradi di giudizio consentono infatti di affermare che il credito da trattamento di fine mandato spettante agli eredi dell’amministratore, pur non essendo stato materialmente incassato, sia stato da essi comunque “utilizzato” a mezzo della rinuncia stessa e sia dunque soggetto, in forza del principio sopra richiamato, alla relativa tassazione.

Diversamente argomentando, sottolinea la Corte, «si permetterebbe alla società di beneficiare di accantonamenti fiscalmente dedotti nel corso dei singoli periodi di imposta che non scontano alcuna imposizione fiscale, nonostante producano l’effetto ultimo di incrementare il costo della partecipazione».

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