Il presente contributo analizza il tema delle riorganizzazioni societarie, interessante sia per profili connessi alla fiscalità della rivalutazione quote e cessione che ai profili connessi alle operazioni di LBO in particolare in tema di deduzione degli interessi.
Introduzione
L’Agenzia delle Entrate ha recentemente fornito interessanti indicazioni riguardo a due aspetti che assumono rilievo in ipotesi di riorganizzazioni societarie e, in generale, di acquisizioni di partecipazioni mediante ricorso ad indebitamento.
Nella Risposta n. 169 del 2024 (la “Risposta”), l’Agenzia delle Entrate è stata chiamata ad esprimersi in merito alla sussistenza di profili di abuso del diritto, di cui all’art. 10-bis della Legge n. 212/2000, in relazione ad una riorganizzazione societaria che si sarebbe realizzata mediante i seguenti passaggi.
- Tre soci persone fisiche partecipano una società operativa. A causa di dissidi interni, i soci decidono di procedere ad una riorganizzazione societaria che consenta l’uscita di un socio dalla compagine societaria e la prosecuzione dell’attività da parte degli altri due soci rimanenti. Questi ultimi intendono utilizzare il momento di riorganizzazione anche al fine di pianificare al meglio il passaggio generazionale dei rispettivi rami familiari.
- I soci interessati alla continuazione dell’attività operativa, conferiscono le partecipazioni da essi detenuti nella società operativa in nuove holding unipersonali.
- Sottoscrizione da parte delle holding unipersonali di finanziamenti bancari volti a sostenere l’acquisto della partecipazione del socio uscente.
- Rivalutazione, da parte del socio uscente della partecipazione nella società operativa, ai sensi dell’art. 5 della Legge n. 448/2001, finalizzata alla successiva cessione della partecipazione da parte del socio uscente a favore delle holding unipersonali.
- Rimborso dei finanziamenti bancari assunti dalle holding unipersonali utilizzando i dividendi distribuiti alle stesse da parte della società operativa.
Conferimento di partecipazioni in neutralità fiscale ai sensi dell’art. art. 177, comma 2-bis TUIR
Viene confermato che la costituzione, da parte di una persona fisica, di una società holding alla quale conferire un pacchetto partecipativo in regime di neutralità fiscale indotta, ai sensi dell’art. 177, comma 2-bis del DPR n. 917/1986 (“TUIR”), non conduce ad un vantaggio fiscale qualificabile come indebito ove finalizzata a consentire, come nel caso di specie, l’acquisizione del pacchetto partecipativo del socio uscente e delineare i presupposti della riorganizzazione societaria e del conseguente passaggio generazionale.
La legittimità del recesso “atipico”
Trova ulteriore conferma la linea interpretativa in base al quale il recesso “atipico” effettuato mediante cessione di partecipazioni – nel caso di specie rivalutate ai sensi dell’art. 5 della Legge n. 448/2001 – da parte del socio uscente costituisce condotta fisiologica e non integra dunque i presupposti del vantaggio fiscale indebito, in particolare quando funzionale alla fuoriuscita in via definitiva dalla compagine sociale del socio cedente e, nel caso di specie, accompagnata anche dalla cessazione dalla carica di amministratore (in precedenza rivestita dal socio uscente).
Per il socio uscente si configura quindi come atto produttivo di redditi diversi di natura finanziaria di cui all’art. 67, comma 1, lettera c-bis) del TUIR. Non sussistono, invece, i presupposti per una caratterizzazione dell’operazione come recesso “tipico” che si realizzerebbe mediante annullamento della partecipazione da parte della società operativa che darebbe luogo al conseguimento, da parte del socio uscente, di redditi di capitale di cui agli artt. 44, comma 1, lett. f) e 47, comma 7 del TUIR ed in relazione ai quali la rivalutazione l’incremento del valore fiscalmente riconosciuto della partecipazione non risulterebbe efficace[1].
La sussistenza della finalità di disinvestimento in via definitiva da parte del socio uscente esclude, in linea di principio, la configurabilità di abuso del diritto e, dunque, una eventuale riqualificazione del recesso come “tipico”. In presenza di uscita definitiva sia dalla compagine sociale che dalla governance della società e di effettivo spossessamento di partecipazioni che escono dalla disponibilità del soggetto cedente[2], il principio poc’anzi enunciato dovrebbe valere sia nel caso in cui la cessione della partecipazione avvenga a favore di uno o più soci della società ceduta oppure a favore di soggetti terzi e anche nelle ipotesi in cui le partecipazioni siano cedute nel contesto di una operazione di acquisto di azioni proprie da parte della società[3].
Queste conclusioni rimangono valide anche nel caso in cui il socio uscente abbia preventivamente rivalutato la partecipazione ceduta ed il recesso “atipico”, sia realizzato mediante acquisto di azioni proprie da parte della società partecipata e sia in presenza di un effettivo spossessamento[4]. Rimarrebbero, invece, esposte a una possibile censura le ipotesi di acquisto di azioni proprie “circolari mediante cessione di azioni a se stessi” nelle quali la cessione non realizza un effettivo disinvestimento, in quanto il socio cedente persona fisica continua a possedere la partecipazione ceduta per il tramite di una partecipazione nella società cessionaria, tipicamente, quando il cessionario è una società su cui il cedente è in grado di esercitare direttamente o indirettamente un sostanziale controllo[5].
Le conclusioni dovrebbero rimanere valide anche a prescindere dalla presenza o meno di riserve distribuibili in capo alla società oggetto di cessione, che non dovrebbe di per sé rappresentare elemento dirimente nella valutazione di profili di abuso del diritto. Tuttavia, va rilevato che l’assenza di riserve distribuibili e di liquidità in capo alla società oggetto di cessione sembra aver supportato le conclusioni raggiunte nella Risposta, posto che, tale circostanza, non renderebbe immediatamente possibile il recesso “tipico” da parte del socio uscente e potrebbe aver contribuito a superare un precedente restrittivo dell’Agenzia delle Entrate in una fattispecie con molti aspetti di similitudine rispetto a quella qui in commento[6].
Il chiarimento conferma un atteggiamento di progressiva apertura in relazione alla legittimità delle operazioni di conferimento di partecipazioni in realizzo controllato da parte di alcuni soci connesse a fattispecie di recesso “atipico” mediante cessione delle partecipazioni previamente rivalutate[7]. Tale approccio non può che essere accolto con favore tenuto conto della prospettata messa a sistema della rivalutazione di partecipazioni[8] e della funzionalità che questa assume nelle riorganizzazioni di gruppi societari realizzate nella prospettiva dell’avvicendamento tra soci, di passaggio generazionale ed anche di ingresso di nuovi investitori.
La deducibilità degli interessi passivi e il principio della simmetria di trattamento fiscale
Ulteriore aspetto di interesse trattato nella Risposta è rappresentato dai chiarimenti offerti in relazione alla deducibilità degli interessi passivi derivanti dai finanziamenti assunti dalle società holding unipersonali al fine dell’acquisizione della partecipazione del socio uscente.
L’Agenzia delle Entrate conclude nel senso della deducibilità di tali interessi passivi evocando il principio di simmetria di trattamento fiscale tra, da una parte, gli interessi passivi che sono corrisposti dalle società finanziate e, dall’altra parte, gli interessi attivi che sono conseguiti dagli istituti di credito finanziatori.
La sussistenza di uno speculare trattamento fiscale escluderebbe la presenza di vantaggi fiscali, ai fini IRES e ai fini IRAP, in capo ai soggetti coinvolti. Tale affermazione rimarrebbe valida anche nelle ipotesi in cui la società acquirente la partecipazione dovesse aderire, unitamente alla società oggetto di acquisizione, al regime della tassazione di gruppo di cui agli artt. 117 e ss. del TUIR. Nel contesto del consolidato fiscale non potrebbe pertanto ritenersi indebita la deduzione degli interessi passivi a fronte dell’utilizzo del ROL della società acquisita, che supera la temporanea indeducibilità degli stessi in capo alla holding a fronte dell’incapienza del ROL di quest’ultima.
Inoltre, la circostanza che le holding unipersonali rimborsino i finanziamenti attraverso i flussi di cassa provenienti dai dividendi che la stessa società distribuirà non comporta un vantaggio fiscale indebito[9].
La conclusione nel senso della deducibilità degli interessi passivi nelle circostanze qui considerate – deducibilità degli interessi passivi da finanziamento contratto per l’acquisto della partecipazione anche per il tramite di adesione al consolidato fiscale – paiono allineati ai principi espressi dall’Agenzia delle Entrate in relazione alle operazioni di leverage buy out per le quali il vantaggio fiscale derivante dal debt push down appare il fisiologico epilogo dell’acquisizione mediante indebitamento[10].
Il principio di simmetria nel trattamento fiscale evocato nella Risposta presenta elementi di novità e potrebbe porsi quale (ulteriore) canone interpretativo per supportare la deducibilità degli interessi passivi a fronte dei non univoci orientamenti sia relativi alla necessità di una valutazione circa l’inerenza degli interessi passivi che in merito alle ipotesi di leveraged buy out con reinvestimento da parte dei soci cedenti.
Come noto infatti gli orientamenti circa la deducibilità degli interessi passivi si muovono tra la linea interpretativa che sostiene la tesi della deducibilità degli stessi, senza alcun giudizio sulla inerenza, purché nei limiti quantitativi riconosciuti dall’art. 96 del TUIR[11], e la linea interpretativa che, invece, ritiene l’inerenza un requisito “immanente” cui rimangono soggetti anche gli interessi passivi[12]. Con riferimento all’operazione di leverged buy out, taluni orientamenti affermano la possibilità di un sindacato di legittimità nei casi di reinvestimento da parte dei medesimi soggetti che, direttamente o indirettamente, controllano la società oggetto di acquisizione[13].
Il principio della simmetria fiscale, potrebbe dunque risultare di ausilio agli interpreti per dirimere i dubbi relativi alla deducibilità degli interessi passivi e superare le incertezze in relazioni ai sopracitati aspetti. La presenza di un trattamento fiscale speculare in capo al finanziato ed al finanziatore potrebbe, in effetti, essere elemento utile a concludere nel senso della deducibilità degli interessi passivi a prescindere da qualsiasi valutazione in merito alla loro inerenza. D’altro canto, l’assenza di un trattamento fiscale speculare – che potrebbe aversi, ad esempio, perché gli interessi passivi sono corrisposti a un ente creditizio non residente in Italia oppure a un OICR residente in Italia o, ancora a un veicolo di cartolarizzazione residente in Italia – non potrebbe assumere autonoma rilevanza ai fini di concludere per la deducibilità o meno degli interessi passivi. Sarà interessante osservare se tale principio sarà accolto come di carattere generale e, nel caso, valutare gli sviluppi circa la sua effettiva portata.
[1] Circolare Agenzia delle Entrate n. 16 del 2005.
[2] Le fattispecie ricondotte all’abuso del diritto sono tipicamente quelle di acquisto di partecipazioni che siano “circolari mediante cessione di azioni a se stessi” e nelle quali, in sostanza: (a) il socio cedente è una persona fisica che ha precedentemente rivalutato la partecipazione; e, inoltre (b) la cessione non realizza un effettivo disinvestimento in quanto il socio cedente fisica continua a possedere la partecipazione ceduta per il tramite di una partecipazione nella società cessionaria. La censura è originata, in tali casi, dalla constatazione che gli atti posti in essere non determinano una modificazione significativa dell’assetto giuridico economico preesistente del contribuente.
[3] Secondo gli orientamenti dell’Agenzia delle Entrate (tra le altre, Circolare Ministeriale n. 24 del 1992 e, più di recente, Risposta a interpello della DRE Veneto n. 907-830/2021) e dei più significativi arresti giurisprudenziali, l’assimilazione dell’acquisto di azioni proprie all’ipotesi di recesso “tipico” del socio dovrebbe essere confinato a quelle situazioni: (a) in cui vi sia ab origine la finalità di ridurre il patrimonio netto per effetto dell’annullamento delle azioni proprie formalizzato dall’assemblea; oppure (b) qualora si sia in presenza di fattispecie riconducibili ad ipotesi in cui risulta assente la volontà di effettivo spossessamento da parte del cedente. Per la rilevanza di genuine logiche di mercato per il raggiungimento di un obiettivo economico si veda Risposta n. 537 del 2019.
[4] Risposta a interpello n. 242 del 2000 nella quale l’Agenzia delle Entrate ha affermato che “la cessione delle partecipazioni, previamente rivalutate, detenute dai soci uscenti appare operazione fisiologica per la fuoriuscita definitiva dalla compagine sociale di Alfa da parte dei soci uscenti, non integrando perciò alcun vantaggio fiscale indebito. In relazione alla fattispecie prospettata, è infatti nella libera scelta dei soci uscenti recedere dalla società mediante il recesso atipico. Non integrandosi per i suddetti soci uscenti alcun vantaggio fiscale indebito, non si procederà all’esame degli ulteriori requisiti previsti dall’art. 10-bis della legge n. 212 del 2000 per individuare una condotta abusiva”.
[5] Si veda Ordinanza della Corte di Cassazione n. 24839 del 2020 dove si evidenzia l’assenza di abuso del diritto in caso di vendita di azioni rivalutate da soci persone fisiche a una società terza e si sono ritenute censurabili unicamente le operazioni in cui la cessione delle partecipazioni rivalutate avvenga a “beneficio di se stesso”, ossia le operazioni “circolari”. Si vedano Principio di Diritto n. 20 del 2019 e Risposte a interpello n. 4 del 2021, n. 341 del 2019 e n. 242 del 2020.
[6] Cfr. Risposta n. 341 del 2019 in relazione ad una fattispecie nella quale la società le cui partecipazioni erano oggetto di cessione da parte del socio uscente avrebbe avuto risorse finanziarie disponibili per procedere autonomamente alla realizzazione di un recesso “tipico” e, ad esito della riorganizzazione, sarebbe stata utilizzata dai soci acquirenti per pagare il prezzo di acquisto della partecipazione nella società stessa.
[7] Risposta n. 4 del 2023.
[8] Contemplata dalla Legge n. 111 del 2023 di riforma fiscale e dal DDL di Bilancio 2025.
[9] In tal senso anche la Risposta n. 4 del 2023.
[10] Circolare Agenzia delle Entrate n. 6/E del 2016 relativa alle operazioni di levereged buy out nella quale si afferma che “Le operazioni di MLBO vedono nella fusione (anche inversa) il logico epilogo dell’acquisizione mediante indebitamento, necessario anche a garantire il rientro, per i creditori, dell’esposizione debitoria. Di fatto, la struttura scelta, rispondendo a finalità extra-fiscali, riconosciute dal Codice Civile e, spesso, imposte dai finanziatori terzi, difficilmente potrebbe essere considerata finalizzata essenzialmente al conseguimento di indebiti vantaggi fiscali.”
[11] Cassazione n. 19430 del 2018, n. 27637 del 2021, n. 23872 del 2020, n. 20189 del 2022, e Ordinanze n. 5332 del 2017, n. 17875 del 2022.
[12] Cassazione n. 24930 del 2011, n. 27786 del 2018, n. 18904 del 2018, n. 450 del 2018. Ordinanze n. 28740 del 2022, n. 3170 del 2018, n. 24930 del 2011, n. 28740 del 2022, n. 3170 del 2018.
[13] Circolare Agenzia delle Entrate n. 6/E del 2016 nella quale il caso in cui all’effettuazione dell’operazione di LBO abbiano concorso i medesimi soggetti che, direttamente o indirettamente, controllano la società target viene citato come fattispecie potenzialmente censurabile ai sensi dell’art. 10-bis della Legge n. 212 del 2000. Si veda al proposito anche la Corte di Cassazione n. 6623 del 2022 in merito alle “operazioni di LBO/MLBO che non si risolvano in un mutamento significativo del profilo partecipativo di riferimento”.