È attualmente all’esame delle competenti Commissioni di Camera e Senato lo schema di decreto legislativo (la Bozza) recante l’attuazione della Direttiva 2014/104/UE che regola le azioni per il risarcimento del danno antitrust (la Direttiva). La Bozza, approvata in via preliminare dal Consiglio dei Ministri il 27 ottobre 2016, dà attuazione alla delega contenuta nell’Art. 2, Legge 114/2015 (Legge di Delegazione Europea 2015), ed è accompagnata da una Relazione Illustrativa (la Relazione).
Le Commissioni parlamentari dovranno rilasciare i rispettivi pareri entro il 6 dicembre 2016. Successivamente, il testo verrà trasmesso nuovamente al Consiglio dei Ministri per l’approvazione finale che, secondo quando disposto dalla Direttiva, dovrà avvenire entro il 27 dicembre 2016.
La Bozza si caratterizza per un approccio minimalista, limitandosi per la maggior parte a recepire spesso letteralmente la Direttiva e a intervenire ove strettamente indispensabile. Il risultato è un testo che appare eccessivamente generico, lasciando ai giudici nazionali ampi spazi nell’interpretazione di istituti fortemente innovativi. Ciò potrebbe avere una ricaduta negativa sul funzionamento del private enforcement italiano, ostacolato dalle numerose incertezze interpretative che potrebbero ulteriormente complicare controversie già di per sé connotate da un elevato grado di complessità.
Di seguito, un primo commento alla Bozza, in attesa dell’approvazione da parte del Governo del provvedimento finale.
1. Adozione di un c.d. single regime
Le nuove norme si applicheranno alle violazioni della normativa antitrust europea (Artt. 101 e 102, TFUE), nonché della normativa antitrust nazionale (Artt. 2, 3 e 4, Legge 287/1990) sia che quest’ultima venga applicata “autonomamente”, sia “nello stesso caso e parallelamente al diritto della concorrenza dell’Unione” (Art. 1, lett. b, Bozza).
L’estensione della nuove norme alla normativa antitrust nazionale allorché applicata in via autonoma non è prescritta dalla Direttiva, ma si tratta di una scelta certamente opportuna e comunque richiesta dalla Legge di Delegazione Europea 2015. Una scelta diversa avrebbe portato ad un’ingiustificabile discriminazione delle azioni di danno basate esclusivamente sulla Legge 287/1990, nonché un ritorno alle eccezioni circa la normativa applicabile (italiana o europea) utilizzate in passato per contestare la competenza funzionale (Corte d’Appello o Tribunale). Nel nuovo contesto, tali eccezioni avrebbero avuto quale obbiettivo evitare l’applicazione di quelle norme dirette ad agevolare il soddisfacimento del diritto risarcitorio dell’attore.
Alcuni Stati membri (ad esempio la Spagna) sembrano intenzionati a estendere l’applicazione delle nuove regole ad altre fattispecie, quali ad esempio gli atti di concorrenza sleale. Nello stesso senso, sarebbe stato probabilmente opportuno che la Bozza avesse previsto la loro applicazione all’abuso di dipendenza economica (Art. 9, L. 192/1998), per cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha una competenza parallela a quella del giudice ordinario, e che spesso viene contestato dall’attore in via alternativa all’abuso di posizione dominante.
Ultima notazione: l’Art. 1, Legge 287/1990, viene modificato al fine di consentire l’applicazione, anche parallelamente, in relazione ad uno stesso caso, degli Artt. 101/102, TFUE (normativa antitrust europea) e degli Artt. 2/3 Legge 287/1990 (normativa antitrust italiana; Art. 17, Bozza).
2. Applicazione delle nuove regole alle azioni collettive
L’art. 1 della Bozza, recependo quanto stabilito dalla Legge di Delegazione Europea 2015, specifica che le nuove norme si applicano alle azioni collettive di cui all’Art. 140-bis, Codice del Consumo.
La Bozza sembra invece escludere la possibilità di ulteriori meccanismi di ricorso collettivo, ma non è chiaro se si tratti di una scelta consapevole. La Direttiva, infatti, nella definizione di «azione per il risarcimento del danno» include tra i soggetti legittimati ad agire “la persona che ha rilevato la (…) domanda” del danneggiato (Art 2, n. 4), così facendo implicito riferimento a quegli istituti utilizzati ad esempio in Germania e nei Paesi Bassi che consentono a una società veicolo di agire in nome proprio dopo aver acquistato i claim dalle imprese vittime di illeciti antitrust. La definizione di «azione per il risarcimento del danno» non è però tra quelle ricomprese nella Bozza in quanto, secondo la Relazione, rientra tra quei “istituti e concetti giuridici chiaramente declinati nell’ordinamento giuridico”, così indirettamente escludendo la possibilità (peraltro già tendenzialmente esclusa) di aggregare claims attraverso strumenti alternativi all’azione di classe come già disciplinata dall’Art. 140-bis, Codice del Consumo.
3. L’esibizione delle prove
Gli Artt. 3-6 della Bozza dedicati all’esibizione delle prove riproducono con poche modifiche gli Artt. 5-8 della Direttiva. Si tratta di norme di primaria importanza nell’ambito della riforma in quanto hanno l’obbiettivo di superare l’asimmetria informativa considerata il principale ostacolo per l’ottenimento del risarcimento del danno da parte delle vittime di illeciti antitrust.
In via preliminare, si osserva che la Bozza fa opportunamente riferimento alla nozione di “esibizione” piuttosto che di “divulgazione” delle prove, termine quest’ultimo usato nella traduzione italiana della Direttiva ma sconosciuto nel nostro ordinamento.
3.1 Ordine di esibizione: le categorie di prova, la protezione delle informazioni riservate e del legal privilege
La nuova disciplina introduce la possibilità di ottenere l’esibizione di “categorie” di prova che la Relazione riconosce essere un istituto estraneo al diritto processuale interno. Per tale motivo la Bozza si preoccupa di circoscriverne l’ambito, precisando che “la categoria di prove è individuata mediante il riferimento a caratteristiche comuni dei suoi elementi costitutivi come la natura, il periodo durante il quale sono stati formati, l’oggetto o il contenuto degli elementi di prova di cui è richiesta l’esibizione e che rientrano nella stessa categoria” (Art. 3.2, Bozza). Si tratta della medesima definizione contenuta nel considerando n. 16 della Direttiva che, come chiarito nella Relazione, ha l’obbiettivo di contemperare l’interesse a superare la posizione di debolezza informativa in cui versa l’attore con l’esigenza di evitare un’utilizzazione esplorativa dell’ordine di esibizione attraverso il riferimento alla nozione delle categorie di prova.
Il ruolo del giudice nella fase dell’esibizione non è del tutto chiaro: la richiesta deve provenire dalle parti, ma poi sembra che sia il giudice a dover individuare gli elementi di prova ovvero le categorie di prova oggetto dell’ordine di esibizione. Non viene specificato se il giudice possa intervenire soltanto in senso limitativo, oppure estensivo rispetto alla richiesta proveniente dalle parti. In gioco vi è naturalmente il rispetto del principio dispositivo. A questo proposito, proprio sulla base della Direttiva, la Corte di Cassazione ha auspicato “un’interpretazione estensiva delle condizioni stabilite dal codice di rito in tema di esibizione di documenti, richiesta di informazioni (…) e, soprattutto, di consulenza tecnica d’ufficio, per l’esercizio, anche d’ufficio, dei poteri di indagine, acquisizione e valutazione di dati e informazioni utili per ricostruire la fattispecie anticoncorrenziale denunciata” (Corte di Cassazione 4 giugno 2015, n. 11564, Comi e altri c. Cargerst).
Come richiesto dalla Direttiva, l’Art. 3.4 della Bozza attribuisce il potere al giudice di proteggere le informazioni riservate contenute nella documentazione oggetto di esibizione. Quanto alle misure a disposizione del giudice, la Bozza riproduce testualmente il considerando n. 17 della Direttiva, specificando che esse includono “l’obbligo del segreto, la possibilità di non rendere visibili le parti riservate di un documento, la conduzione di audizioni a porte chiuse, la limitazione del numero di persone autorizzate a prendere visione delle prove, il conferimento ad esperti dell’incarico di redigere sintesi delle informazioni in forma aggregata o in altra forma non riservata” (Art. 3.4, Bozza). Si tratta di un elenco non esaustivo, né la Bozza si preoccupa di introdurre i criteri e una procedura attraverso cui il giudice possa individuare lo strumento maggiormente adeguato salvaguardare la riservatezza delle informazioni. La conseguenza sarà una probabile disomogeneità delle procedure e misure che verranno adottate dai singoli giudici, il cui regime di autonoma impugnabilità è un’ulteriore questione che rimane irrisolta.
L’ultimo periodo dell’Art. 3.4 della Bozza contiene la definizione di informazioni riservate, riproponendo quella contenuta nell’Art. 13, DPR 217/1998, che disciplina le istruttorie avanti all’AGCM (“informazioni riservate di carattere personale, commerciale, industriale e finanziario relative a persone ed imprese, nonché i segreti commerciali”; Art. 3.4, Bozza).
L’art. 3.6 della Bozza protegge la “riservatezza delle comunicazioni tra avvocati incaricati di assistere la parte e il cliente stesso”. Non è chiaro il significato dell’inciso “incaricati di assistere la parte”. Se fosse limitato all’incarico di assistere la parte nel giudizio nell’ambito del quale si chiede l’esibizione del documento, si tratterebbe di un’indebita limitazione del legal privilege che dovrebbe proteggere la corrispondenza tra l’avvocato esterno e il cliente indipendentemente dal conferimento dell’incarico per l’assistenza nel giudizio. Sembrerebbe invece confermata la possibilità di ottenere l’esibizione della corrispondenza intercorsa tra avvocato interno e le altre funzioni aziendali di una società che ha sede in una giurisdizione (ad esempio nel Regno Unito) nella quale tale corrispondenza sarebbe coperta da legal privilege ai sensi del proprio diritto nazionale.
3.2. Esibizione delle informazioni contente nel fascicolo di un’autorità antitrust
L’Art. 4 della Bozza, che disciplina l’esibizione delle prove contenute nel fascicolo di un’autorità antitrust, ripropone – così come la Direttiva – le c.d. black list (prove che non possono mai essere utilizzate in giudizio), grey list (prove che possono essere esibite solo dopo la definizione del procedimento davanti all’autorità antitrust) e white list (prove di cui può essere concessa l’esibizione in qualsiasi momento), introducendo un’ipotesi di sospensione facoltativa (non prevista dalla Direttiva) nel caso di prove che rientrino nella grey list (Art. 4.8, Bozza).
Anche in considerazione dei requisiti della richiesta di esibizione (la richiesta deve essere formulata “in modo specifico quanto alla natura, all’oggetto o al contenuto dei documenti … contenuti nel fascicolo…; Art. 4.3, lett. a), l’attore dovrebbe poter entrare in possesso dell’indice del fascicolo istruttorio prima della sua formulazione. Alcuni documenti rilevanti per l’azione di danno antitrust potrebbero infatti non essere stati neppure menzionati nella decisione di infrazione (si pensi ai documenti relativi agli effetti restrittivi, che poi l’autorità antitrust non abbia voluto approfondire non essendo un elemento necessario per la contestazione dell’infrazione, ad esempio in un caso di cartello). La Bozza però non interviene sulle scadenze processuali: l’attore deve dunque formulare la propria richiesta di esibizione con le memorie ex. art. 183, comma sesto, c.p.c. in un momento in cui presumibilmente non è ancora entrato in possesso dell’indice del fascicolo istruttorio. Stando così le cose, l’attore dovrebbe valutare se, prima di iniziare l’azione di danno, non sia opportuno effettuare un accesso agli atti amministrativi chiedendo all’AGCM copia dell’indice del fascicolo istruttorio.
La Direttiva richiede agli Stati membri di consentire alle autorità antitrust nazionali (si presume trattarsi dell’autorità antitrust che ha emesso la decisione su cui è basata l’azione di danno) di poter presentare, anche d’ufficio, le proprie osservazioni al giudice nazionale cui è richiesto l’ordine di divulgazione (Art. 6.11). Il meccanismo introdotto dalla Bozza prevede un obbligo in capo al giudice di informare l’autorità interessata “disponendo la trasmissione degli atti che ritiene al fine rilevanti”. Le osservazioni dell’autorità “sono inserite nel fascicolo d’ufficio a norma dell’articolo 96 delle disposizioni attuazioni del codice di procedura civile” (Art. 4.7, Bozza). Vi sono diversi profili di cui non è chiaro il funzionamento. In particolare: (i) se sia il giudice con l’ausilio della cancelleria ovvero le parti a dover provvedere alla trasmissione degli atti all’autorità antitrust; (ii) quale sia la tempistica entro cui l’autorità antitrust può rilasciare il proprio parere; (iii) se il giudice può decidere sull’istanza di esibizione prima di aver ricevuto il parere; (iv) se il giudice abbia un obbligo di motivazione in caso decida discostarsi dal parere dell’autorità antitrust; (v) se la decisione del giudice sia autonomamente impugnabile. Si aggiunga poi che, nel caso l’autorità antitrust interessata sia diversa dall’AGCM, sarà necessario predisporre la traduzione degli atti: non è chiaro in tal caso chi sia la parte su cui grava l’onere e i relativi costi.
L’Art. 5.1 della Bozza regola congiuntamente l’ammissibilità delle prove di cui alla c.d. black list e grey list “comunque ottenute”, limitandosi a richiamare l’applicabilità degli “stessi limiti” stabiliti nel precedente Art. 4. Per maggiore chiarezza, sarebbe preferibile mantenere la distinzione tra black list e grey list così come nella Direttiva, precisando che le prove di cui alla black list sono sempre e comunque non ammissibili.
Nel successivo Art. 5.2, la Bozza prevede il divieto di cessione di documentazione ottenuta attraverso l’accesso al fascicolo istruttorio. Come noto, nella generalità degli ordinamenti nazionali degli Stati membri l’accesso al fascicolo è consentito in diversa misura ai destinatari della comunicazione delle risultanze istruttorie e ai soggetti intervenienti. La previsione in esame vuole impedire la commercializzazione di documenti ottenuti per altre finalità ai soggetti interessati ad intraprendere azioni di risarcimento del danno
3.3. Le sanzioni
Infine, l’Art. 6 della Bozza fissa una sanzione pecuniaria da Euro 15.000 ad Euro 150.000 a favore della Cassa delle Ammende nel caso di rifiuto di rispettare l’ordine di esibizione, distruzione di prove rilevanti, violazione delle misure per la protezione delle informazioni riservate, produzione in giudizio di prove facenti parte della black list o grey list (prima della conclusione del procedimento avanti all’autorità antitrust). Come previsto dalla Direttiva, anche i rappresentanti legali possono essere destinatari delle sanzioni (non viene specificato se in solido con la parte ovvero se possono essere destinatari di un’autonoma e distinta sanzione).
Tra le ulteriori conseguenze negative, la Bozza non ha incluso l’ordine di pagamento delle spese previsto invece dalla Direttiva, ma il giudice potrà comunque provvedervi ai sensi dell’art. 96, c.p.c.
4. Efficacia probatoria delle decisioni delle autorità antitrust
Uno degli elementi caratterizzanti (e più discussi) della Direttiva è l’efficacia vincolante delle decisioni dell’autorità antitrust nell’ambito dei giudizi promossi avanti ai giudici nazionali del medesimo Stato di appartenenza dell’autorità. Alcuni legislatori, ad esempio quello spagnolo, stanno considerando di estendere tale efficacia probatoria (che dunque non ammette prova contraria) anche alle decisioni di autorità antitrust nazionali di Stati membri diversi rispetto a quello di appartenenza del giudice.
Il legislatore italiano intende invece adottare un atteggiamento prudente. Innanzitutto, la Bozza all’Art. 7.1. si preoccupa di limitare l’efficacia vincolante di una decisione dell’AGCM, che “riguarda la natura della violazione e la sua portata materiale, personale, temporale e territoriale, ma non il nesso di causalità e l’esistenza del danno”. Si tratta di una preoccupazione opportuna già riflessa nella giurisprudenza nazionale più attenta (v. Tribunale di Milano, 27.12.2013, n. 16319, Brennercom c. Telecom), che tiene conto del fatto che elementi non necessari per la contestazione dell’illecito da parte di un’autorità antitrust (si pensi agli effetti delle restrizioni in un caso di cartello) e rispetto a cui vi è spesso un limitato contraddittorio, assumono invece primaria importanza in un’azione di danno antitrust. Sarebbe forse opportuno, per evitare incertezze interpretative, chiarire che l’efficacia vincolante non copre sia l’esistenza, sia la quantificazione del danno anche considerando la prassi recente dell’AGCM di calcolare (spesso con precisione) gli effetti anticoncorrenziali delle violazioni antitrust.
La Bozza introduce poi una precisazione non richiesta dalla Direttiva, e cioè che il “sindacato del giudice del ricorso comporta la verifica diretta dei fatti posti a fondamento della decisione impugnata e si estende anche ai profili tecnici che non presentano un oggettivo margine di opinabilità, il cui esame sia necessario per giudicare la legittimità della decisione medesima”. Si tratta esattamente del sindacato giurisdizionale in concreto esercitato dal giudice amministrativo, la cui adeguatezza è stata confermata nella nota sentenza della Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 20.01.2014, n. 1013, Acea c. AGCM e altri. L’inciso sembra dettato dalla preoccupazione circa una possibile questione di legittimità costituzionale della nuova previsione con particolare riguardo all’art. 101.2 della Costituzione (“I giudici sono soggetti soltanto alla legge”).
Sul punto la Relazione sembra voler prevedere un’ulteriore limitazione riferita alla vincolatività delle decisioni dell’AGCM non impugnate, e su cui pertanto non è intervenuto il sindacato giurisdizionale richiamato dall’art. 7.1 della Bozza. Secondo la Relazione, il giudice in tal caso non sarebbe vincolato dalla decisione allorché si trovi “di fronte ad una evidente illegittimità” e ciò sarebbe “conforme all’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che sancisce il diritto dell’individuo ad un giudice indipendente”. Tale limitazione non appare però riflessa nel testo della Bozza. Rimane inoltre oscura la nozione di “evidente legittimità”, in presenza della quale il giudice potrebbe discostarsi dalla decisione dell’autorità antitrust rischiando di fatto di creare un diverso regime probatorio per le decisioni impugnate rispetto a quelle in cui non è intervenuto il sindacato del giudice amministrativo.
Nel successivo art. 7.2, coerentemente con la Direttiva, la Bozza attribuisce alle decisioni definitive di autorità nazionali di altri Stati membri valore di semplice prova “valutabile insieme ad altre prove”. Anche in tal caso la Bozza si preoccupa di circoscrivere l’ambito di accertamento alla “natura della violazione” e alla “portata materiale, personale, temporale e territoriale”, dimenticandosi però di escludere espressamente il nesso di causa e l’esistenza del danno.
5. Termine di prescrizione
La Direttiva richiede agli Stati membri di stabilire un termine di prescrizione di “almeno cinque anni”. La Bozza fissa tale termine in cinque anni dal momento che, spiega la Relazione, le azioni di risarcimento del danno riguardano la “responsabilità extracontrattuale”. Si tratta in effetti dell’interpretazione più diffusa (peraltro sostenuta dalla Corte di Giustizia; v. sentenza 23.10.2014, causa C‑302/13 – flyLAL‑Lithuanian Airlines), ma non unanime. L’affermazione della natura contrattuale dell’azione può peraltro avere rilievo non soltanto con riferimento alla durata dei termini di prescrizione, ma altresì alla ripartizione dell’onere della prova così come sulla possibilità di invocare l’applicazione delle clausole attributive della giurisdizione (noto in tal senso il contrasto tra High Court e Court of Appeal inglesi nel caso Jet Fuel, in cui il giudice dell’appello ha affermato la propria carenza di giurisdizione in quanto la natura extracontrattuale dell’azione non rendeva invocabile la Jurisdiction Clause pattuita nel contratto che regolava i rapporti tra il partecipante il cartello e l’impresa che aveva pagato il sovrapprezzo anticoncorrenziale).
La Bozza ha poi preso atto dell’errore di traduzione nella versione italiana della Direttiva nel punto in cui prevede che il periodo di sospensione del termine di prescrizione in caso di istruttoria di un’autorità antitrust “non può protrarsi oltre un anno dal momento in cui la decisione relativa a una violazione è divenuta definitiva o dopo che il procedimento si è chiuso in altro modo” (Art. 10.4). In realtà la Direttiva ha inteso introdurre un termine minimo del protrarsi della sospensione (nella versione inglese si legge “The suspension shall end at the earliest one year after…”). La Bozza ha scelto comunque di mantenere il termine di un anno in quanto, secondo la Relazione, “deve ritenersi congruo”.
6. Responsabilità in solido
L’art. 9 della Bozza conferma l’esistenza di un vincolo di solidarietà tra le imprese che hanno cagionato un danno attraverso la medesima violazione della normativa antitrust facendo espresso richiamo all’art. 2055, cod. civ. Si tratta peraltro di un principio già affermato dalla giurisprudenza nazionale (v. Corte di Appello di Roma, 31.03.2008, n. 1337, International Broker c. La Raffineria di Roma e altre). Inoltre, la Bozza recepisce le medesime limitazioni al vincolo di solidarietà stabilite dalla Direttiva, che si prevede saranno fonte di notevoli incertezze applicative.
Innanzitutto, la Bozza esclude dal vincolo di solidarietà le PMI nel caso in cui “la quota nel mercato rilevante è rimasta inferiore al cinque per cento e per il tempo in cui si è protratta la violazione del diritto della concorrenza” (Art. 9.1). L’applicazione di tale norma richiede valutazioni complesse, per di più basate su informazioni spesso non pubblicamente disponibili, che riguardano la definizione del mercato rilevante del prodotto e geografico, nonché la determinazione della quota di mercato di quella PMI che intenda evitare la responsabilità solidale.
Ulteriore condizione aggiuntiva che la PMI deve soddisfare è il fatto che “l’applicazione delle ordinarie regole in materia di responsabilità solidale determinerebbe un pregiudizio irreparabile per la sua solidità economica e la totale perdita di valore delle sue attività” (Art. 9.1). Anche in tal caso la Bozza riproduce il testo della Direttiva senza fornire indicazioni su quali siano le condizioni al ricorrere delle quali la PMI possa lamentare un “pregiudizio irreparabile” (peraltro in un momento del processo in cui non è ancora noto a quanto ammonti il danno rispetto a cui la PMI potrebbe essere responsabile in via solidale). Nella normativa antitrust una nozione simile è contenuta nel par. 35 degli Orientamenti della Commissione Europea per il calcolo delle ammende in caso di infrazioni antitrust (ovvero del par. 31 delle corrispondenti Linee Guida adottate dall’AGCM), che prevede la possibilità di non imposizione ovvero riduzione della sanzione amministrativa in considerazione della limitata capacità contributiva dell’impresa. In tale valutazione si tiene però conto della capacità patrimoniale/finanziaria dei soggetti controllanti la società direttamente coinvolta nell’istruttoria, profilo che non sembra possa rilevare nell’ambito di un’azione di risarcimento del danno.
Altra deroga all’art. 2055, cod. civ. riguarda gli immunity applicant che sono responsabili soltanto per i danni cagionati ai propri “acquirenti o fornitori diretti o indiretti”, salvo nel caso in cui i soggetti danneggiati “non possono ottenere l’integrale risarcimento del danno dalle altre imprese coinvolte nella stessa violazione del diritto della concorrenza” (Bozza, Art. 9.3). Sul punto la Relazione spiega che “la norma volutamente non declina le modalità dalle quali deve emergere tale infruttuosa richiesta”, limitandosi ad affermare che “sarà … onere del danneggiato che agisce nei confronti del beneficiario allegare la fondatezza del suo diritto e sarà quindi il beneficiario dell’immunità, se del caso, ad opporre la sua carenza di legittimazione passiva”. Rimane irrisolta la questione di quali siano i fatti sufficienti per dimostrare l’impossibilità di ottenere “l’integrale risarcimento del danno”. L’unica indicazione proveniente dalla Relazione è la non necessarietà dell’esercizio di “un’infruttuosa fase esecutiva … nei confronti di soggetti con patrimonio palesemente incapiente”.
La medesima incertezza riguarda il termine a partire dal quale inizia a decorrere la prescrizione nei confronti dell’immunity applicant. Qui la Direttiva vuole evitare che la necessità di agire prima contro i non beneficiari dell’immunità possa compromettere il diritto al pieno risarcimento, anche in considerazione del fatto che l’immunity applicant finisce spesso per essere la proverbiale la deep pocket non essendo stato destinatario delle spesso gravose sanzioni amministrative. Per tale motivo la Direttiva chiede agli Stati membri di prevedere un termine di prescrizione “ragionevole e sufficiente” per consentire ai soggetti danneggiati di agire anche contro l’immunity applicant. La soluzione proposta dalla Bozza è che il termine di prescrizione inizi “a decorrere da quando risulta accertato che [i soggetti danneggiati]non possono ottenere l’integrale risarcimento del danno dalle altre imprese coinvolte nella stessa violazione del diritto della concorrenza” (Art. 9.4). L’esatta individuazione del dies a quo costituisce dunque un accertamento tutt’altro che agevole, ma che probabilmente sarà di rado oggetto di controversia. Con l’attuale formulazione la Bozza introduce infatti un’ipotesi di interruzione (e non di sospensione): sembra infatti di comprendere che i 5 anni per intentare l’azione contro l’immunity applicant cominciano a decorrere ex novo dal momento in cui il soggetto danneggiato dimostri l’impossibilità di ottenere il risarcimento dagli altri partecipanti all’infrazione.
Una seconda protezione viene garantita all’immunity applicant nell’ambito delle azioni di regresso: ai sensi dell’Art. 9.4 della Bozza “il regresso contro il beneficiario dell’immunità da parte di colui che ha risarcito il danno non può superare la misura del danno che lo stesso beneficiario dell’immunità ha causato ai propri acquirenti o fornitori diretti o indiretti”.
Sempre nell’ambito delle azioni di regresso, la Direttiva prevede un’ulteriore protezione nei confronti dei “soggetti diversi degli acquirenti o fornitori diretti o indiretti degli autori della violazione”, rispetto ai quali l’importo del contributo dell’immunity applicant è limitato alla “responsabilità relativa” per il danno cagionato (Art. 11.6). In tal caso i soggetti danneggiati sono tipicamente coloro che hanno acquistato a prezzo maggiorato dai non partecipanti al cartello per effetto del c.d. umbrella effect. La Bozza sul punto si è limitata opportunamente a far riferimento all’art. 2055, secondo comma, cod. civ.
7. Passing on: complessità relative alla sua determinazione e concentrazione delle controversie presso le Sezioni Specializzate di Milano, Roma e Napoli
La Bozza agli artt. 10-13 recepisce quasi letteralmente le corrispondenti norme della Direttiva in tema di c.d. “passing-on”. Come noto, si tratta di un altro elemento caratterizzante della riforma europea che sul punto ribadisce principi già affermati più volte dalle Corti italiane: la possibilità per il convenuto di eccepire il trasferimento a valle del prezzo a valle (si veda da ultimo, Tribunale di Milano, 27.06.2016, n. 7970, Swiss International Airlines c. SEA), così come la legittimità ad agire degli acquirenti indiretti a cui il sovrapprezzo sia stato trasferito (v. Corte di Appello di Roma, 31.03.2008, n. 1337, International Broker c. La Raffineria di Roma e altre).
Come noto, i profili di potenziale criticità relativi al passing-on sono essenzialmente due. Il primo riguarda le complessità legate alla dimostrazione circa l’avvenuto trasferimento di tutto o di parte del sovrapprezzo anticoncorrenziale, nonché della sua quantificazione. Sul punto l’art. 16 della Direttiva incarica la Commissione europea di emanare linee guida per i giudici nazionali. A tal proposito, in data 25 ottobre 2016 la Commissione europea ha pubblicato il Final Report “Study on the Passing-on of Overchages”, che contiene tra l’altro una check list composta da 39 domande che i giudici dovrebbero utilizzare per affrontare e risolvere correttamente le varie questioni relative al passing-on .
La seconda riguarda il coordinamento delle azioni tra acquirenti che si trovano a livelli diversi della catena commerciale. La soluzione proposta dalla Bozza è concentrare la competenza per le azioni di danno antitrust avanti alle sezioni specializzate in materia di impresa di Milano, Roma e Napoli. Si tratta certamente di una soluzione che risolverà almeno in parte il problema (oltre probabilmente a favorire un’interpretazione uniforme delle nuove norme), ma che poco potrà fare allorquando il coordinamento debba avvenire con azioni incardinate avanti a giudici di altri Stati membri.
8. Quantificazione del danno
La Bozza recepisce la norma sulla quantificazione del danno, strutturando la sua formulazione sulla base dell’art. 2056, cod. civ. (“il risarcimento del danno …. si deve determinare secondo le disposizioni degli articoli 1223, 1226 e 1227 del codice civile”), e introducendo una presunzione circa la sua sussistenza a favore della vittima in caso di cartello.
La Bozza non recepisce invece la Direttiva nel punto in cui chiede agli Stati membri di attribuire ai giudici nazionali il potere di stimare l’ammontare del danno allorché sia “praticamente impossibile o eccessivamente difficile quantificare con esattezza il danno subito sulla base delle prove disponibili”. La Relazione afferma che ciò non è necessario, in quanto già l’art. 1226, cod. civ. attribuisce al giudice la possibilità di procedere ad una valutazione equitativa del danno.
Viene altresì recepita la disposizione che autorizza le autorità garanti della concorrenza (inclusa la Commissione europea), se richieste dal giudice nazionale, a prestare assistenza riguardo alla determinazione quantitativa del danno. La Direttiva prevede la possibilità per l’autorità richiesta di rifiutarsi nel caso non “consideri appropriata tale assistenza” (art. 17.3). La Bozza precisa che tale appropriatezza va valutata “in relazione alle esigenze di salvaguardare l’efficacia dell’applicazione a livello pubblicistico del diritto alla concorrenza” (art. 14.3).
9. Conclusioni
Da una prima disamina della Bozza emerge una precisa scelta di politica legislativa diretta a garantire un ampio spazio interpretativo ai giudici. Il mantenimento di una certa flessibilità nell’applicazione di istituti di nuova introduzione è certamente opportuna, ma allo stesso tempo può divenire fonte di notevole incertezza.
D’altra parte la scelta del modello ideale è un compito certamente difficile. Tutti gli Stati membri ne sono chiamati e la maggior parte di essi ha ritenuto di coinvolgere gli stakeholder attraverso consultazioni pubbliche. Si tratta di un metodo certamente opportuno allorquando, come nel caso di specie, le scelte sono tante e di non facile soluzione.
Non rimane ora che aspettare il testo finale, sapendo che il private enforcement italiano si troverà a competere con quello degli altri Stati membri, in un contesto nel quale le regole attributive della giurisdizione, così come interpretate in varie sentenze della Corte di Giustizia, permettono un’ampia opportunità di forum shopping per gli attori alla ricerca della giurisdizione a loro più favorevole.