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La violazione dell’obbligo, rilevante ex art. 1173 c.c., di offerta pubblica di acquisto della totalità delle azioni di una società quotata in un mercato regolamentato da parte di chi, in conseguenza di acquisti azionari, sia venuto a detenere un partecipazione superiore al trenta per cento del capitale sociale, fa sorgere in capo agli azionisti, ai quali l’offerta avrebbe dovuto essere rivolta, il diritto al risarcimento del danno patrimoniale, ex art. 1218 c.c., ove essi dimostrino di aver perso una possibilità di guadagno a causa della mancata promozione dell’offerta.
Le sanzioni restitutorie (della sterilizzazione del voto e dell’obbligo di rivendita entro l’anno delle azioni eccedenti), non elidono il danno subito dagli azionisti di minoranza con la perdita della possibilità di beneficiare del maggior prezzo di vendita delle loro azioni.
La sentenza della Corte di Cassazione n. 2665 del 10 febbraio 2016 (Presidente e Relatore: Nappi) si occupa dei profili risarcitori derivanti dal mancato rispetto di lanciare un’offerta pubblica di acquisto obbligatoria ai sensi del TUF.
La questione è ben nota e riguarda un famoso gruppo assicurativo, il controllo del quale era stato acquisito di concerto da alcune società, senza aver effettuato l’offerta pubblico di acquisto totalitaria prevista dalla legge.
Gli azionisti di minoranza, pertanto, hanno fatto richiesta di risarcimento danni, per la lesione dei propri diritti (per non aver potuto usufruire del “premio di maggioranza” che sarebbe derivato dall’OPA).
La Suprema Corte ha ritenuto fondato il ricorso, confermando il proprio indirizzo secondo il quale le conseguenze previste dal TUF (sterilizzazione del voto ed obbligo di rivendita delle azioni acquisiste in violazione delle previsioni in materia di OPA) non fanno venir meno il danno subito dagli azionisti di minoranza, impossibilitati ad avvantaggiarsi della vendita delle proprie azioni ad un prezzo incrementato del “premio di maggioranza”. Questi ultimi pertanto si sono visti negare la possibilità di exit dalla società allo stesso prezzo pagato dal soggetto che abbia acquisito il controllo della società stessa.
Ergo, la violazione dell’obbligo di offerta pubblica di acquisto della totalità delle azioni di una società quotata in un mercato regolamentato da parte di chi sia venuto a detenere un partecipazione superiore al trenta per cento del capitale sociale, fa sorgere in capo agli azionisti, ai quali l’offerta avrebbe dovuto essere rivolta, un vero e proprio diritto al risarcimento del danno patrimoniale, ex art. 1218 c.c., ove questi ultimi dimostrino di aver perso una possibilità di guadagno a causa della mancata promozione dell’offerta.
Né rileva se il controllo perseguito dagli scalatori della società sia effettivamente ottenuto; rileva che, se fosse stato adempiuto l’obbligo di offerta pubblica, gli altri soci avrebbero avuto una vantaggiosa occasione di disinvestimento. Infatti, l’obbligo di lanciare un’OPA sorge de iure non appena venga superata la citata soglia del 30% del capitale sociale della società scalata.
In sintesi, la Corte è chiara ed inequivocabile: al verificarsi dei presupposti di legge, il lancio dell’OPA è tipicamente un obbligo e non un mero onere; a tale obbligo corrisponde un diritto al risarcimento danni nei confronti degli azionisti di minoranza (soggetto all’ordinario onere della prova della relativa perdita di chance di guadagno e del relativo nesso causale). I rimedi previsti dal TUF non eliminano tale diritto, ma sono complementari ad esso.