Il presente contributo analizza la Roadmap pubblicata lo scorso dicembre con cui EBA, nel contesto dell’integrazione dei rischi ESG nel sistema delle banche e degli altri operatori del mercato, evidenzia la necessità di una interdipendenza tra S e G e di un approccio propulsivo al mercato.
1. L’approccio della roadmap sull’integrazione dei rischi ESG e suoi limiti
A tre anni di distanza dal EBA Action Plan on Sustainable Finance, l’Autorità Europea di regolamentazione e vigilanza bancaria ha indicato, a dicembre 2022, la sua road map per l’integrazione dei rischi ESG, nel complesso quadro normativo, bancario e non, che si sta delineando a livello europeo.
L’approccio seguito vede un ampliamento del raggio di azione dell’EBA su mandato della Commissione e non smentisce i razionali finora seguiti; un approccio definitorio largamente basato sull’emanazione di standard tecnici.
Ugualmente, come anche si osserverà, l’approccio resta tarato sull’integrazione dei rischi, più che sulla propulsione del mercato (o della parte sana di questo).
Ancora, l’essere ancorati ad un approccio definitorio e su standards tecnici, ci pare scontare l’ importante limite della sua rigidità, contraria allo stesso concetto di transizione: se questo limite, nella prospettiva della transizione ecologica, può essere in parte colmato individuando un punto di caduta su basi scientifiche; altrettanto non è invece predicabile per la transizione sociale, considerando che gli scenari, in questo campo, non hanno soglie di prevedibilità così sicure e scientificamente provate.
2. Le nuove aree di intervento dell’approccio olistico di EBA sui rischi ESG
Nel descrivere le nuove aree di intervento (otto), l’EBA dichiara di seguire un approccio olistico e, sicuramente, la necessità di un’uniformazione (e – soprattutto – semplificazione) normativa è urgente per gli operatori finanziari.
Le aree di intervento spaziano quindi dalla trasparenza, al risk management con applicazione di stress test, ad una rivisitazione dei requisiti prudenziali e di capitale minimo alla luce del rischio (solo) ambientale, al supporto nella definizione di standards e labels anche nell’ottica della prevenzione di greenwashing e, infine, nella modifica del quadro di reportistica di vigilanza e del monitoraggio del rischio ESG a livello sistemico.
3. Trasparenza e disclosure
Considerando il tema della trasparenza e della disclosure, l’EBA intende muoversi in due corretti e ambiziosi obiettivi: quello di estendere la disclosure quantitativa oltre i dati ambientali e quello di ampliare l’applicazione degli obblighi di trasparenza agli intermediari minori.
Si tratta, forse, della sfida più complessa se solo si pensa che sugli standards internazionali, l’Autorità dichiara di intervenire nei progetti di BCBS (Basel Committee on Banking Supervision), EFRAG (European Financial Reporting Advisory Group), ISSB (International Sustainability Standards, presso IFRS) e NGFS (Network of Central Banks and Supervisors for Greening the Financial System) e, oltre a ciò, di integrare la definizione degli standards della direttiva CSRD (Corporate Social Responsible Directive).
In linea generale, si dovrebbe rivedere l’equilibrio tra regolamentazione normativa (di livello primario e secondario) e standards (delle autorità) per evitare che l’ipertrofia normativa a cui oggi è esposto il sistema sia accompagnata da una ulteriore proliferazione di standards di mercato.
In un quadro “base” nel quale ad una direttiva segue un regolamento che poi viene integrato da standard tecnici dell’autorità di vigilanza, integrare in questi anche standards “di mercato”, non solo non semplifica la chiarezza normativa, ma aggrava il rischio di creare una barriera all’accesso al mercato da parte di soggetti meno strutturati (che non possono sopportare, nonostante il principio di proporzionalità, il costo di compliance).
Sul fronte degli interventi sulla SFRD (Regulation (EU) 2019/2088 Sustainability‐Related Disclosures In The Financial Services), l’EBA agirà su indicazione della Commissione per includere gas ed energia atomica nell’ambito della struttura informativa. Questo a seguito della modifica di luglio 2022 che, in modo molto contestato, ha incluso questi due settori nel perimetro del regolamento sulla Tassonomia.
Ulteriormente, e il punto merita di essere evidenziato, la Commissione ha invitato l’EBA a rivedere gli indicatori per la misurazione del principal adverse impact (PAI) e, soprattutto, di modificare gli obiettivi di decarbonizzazione, oltre che analizzare e se i prodotti finanziari relativi a prodotti allineati al regolamento tassonomia sono sufficientemente trasparenti.
Il riferimento al tema della decarbonizzazione, ad avviso di chi scrive, poteva essere l’occasione per approcciare in modo maggiormente articolato il trading dei certificati di carbonio che, ancora oggi, mostra la necessità di un’implementazione sia in termini di trasparenza sia in termini di incentivazione al mercato, valutando la possibilità di estensione al mercato retail.
Con riguardo, al tema degli investimenti allineati alla tassonomia, il punto era già stato trattato dalle tre autorità di vigilanza nelle Q&A del 17 novembre 2022. L’ampio spazio che in quest’ultimo documento è stato dedicato al tema (circa un terzo dell’intero documento) riflette l’estrema urgenza di una armonizzazione (e semplificazione) del quadro normativo europeo e della non coerenza di avere un sistema “binario” di qualificazione in termini di “green” o “social” degli investimenti.
Probabilmente, è lo stesso impianto della SFRD che andrebbe radicalmente modificato: da un lato (ed è il tentativo che adesso si sta facendo con l’attuazione della CSRD e del nuovo regolamento sui Green Bond) utilizzando un unico e condiviso set di dati per il reporting, dall’altro lato cercando di non penalizzare, in termini di oneri di compliance, gli investimenti light e deep green (ai sensi dell’articolo 8 e 9 del SFRD) rispetto agli investimenti non sostenibili, ad oggi tenuti ad una semplice dichiarazione di non prendere in considerazione i “fattori di sostenibilità”.
Tale impostazione, tra l’altro, tradisce anche lo spirito della SHRDII (shareholders Rights Directive II) che, comunque, impone a quasi tutti i partecipanti del mercato di declinare politiche di medio-lungo termine inclusive dei criteri ESG.
4. Cartolarizzazione
Di sicuro interesse, è il programmato intervento nel mercato delle cartolarizzazioni e la selezione come primo ambito di revisione regolamentare delle cartolarizzazioni con sottostante immobili e gli “auto-loans”: si tratta, infatti, di due macro aree trasversali al tema ambientale (riqualificazione del territorio e riduzione di GHG (GreenHouse Gas), rispettivamente) e sociale (acquisto delle case e dell’auto), che, soprattutto nel mercato distressed (NPL e UTP) possono davvero essere una spinta notevole per intervenire nei c.d. “fallimenti di mercato”.
L’auspicio, per il prossimo futuro, è che l’inclusione di criteri ESG possa avvenire anche nelle cartolarizzazioni su credito al consumo e nella gestione degli UTP su “crisi di società”: momento di forte interesse nell’attuale incertezza del quadro macroeconomico e che potrebbe portare all’attuazione degli obiettivi dell’Agenda ONU 2030 (1: sconfiggere la povertà e 8 lavoro e crescita economica).
Tuttavia, come si osserverà in finale, su questi ambiti l’EBA ha dichiarato prematuro un intervento radicale sul regolamento 2017/2042 (Regolamento Cartolarizzazione STS), cioè quelle “semplici, trasparenti e standardizzate).
5. Risk management e supervisione dei rischi ESG
Più chiari, e per un certo senso “dovuti”, sono gli interventi previsti dall’EBA nella proposta di modifica della Direttiva 2013/36/EU, in materia di accesso al mercato del credito, che incorporerà il tema della resilienza ai rischi ESG.
Del pari, in punto di attività di vigilanza, l’EBA preannuncia delle modifiche al sistema SREP (Supervisory Review and Evaluation Process) sia per le banche che per gli intermediari finanziari.
6. Rischi ESG: trattamento prudenziale delle esposizioni e stress test
Di particolare interesse sarà, anche, la revisione delle regole sulla ponderazione delle esposizioni e sui fondi minimi in modo da tener conto dei rischi ESG nella valutazione dell’esposizione complessiva delle banche.
Si tratta di un momento di sintesi, in sé logico alla luce degli interventi nelle altre aree, ma che in questo caso ha il pregio di associare al rischio ambientale quello sociale. In questa prospettiva, si spera che i fattori di sviluppo sociale siano ancorati anche quelli di una – per così dire – promozione dei livelli di education sociale sui temi ambientali, nella convinzione che la transizione climatica passi, in primo luogo, dall’adozione da parte della società di comportamenti ambientali corretti.
Un ulteriore punto che sarà interessante osservare è quello dell’approccio che si seguirà nella determinazione dell’esposizione ai rischi ESG. Questo è, infatti, strettamente collegato al successo e all’incisività (o all’insuccesso) delle politiche globali in tema di ambiente ed europee in punto di società: più velocemente si raggiungerà la resilienza climatica e sociale, meno stringenti saranno i requisiti prudenziali; di converso, nel caso di politiche di rinvio o poco efficaci, si rischia un una restrizione del credito (credit cruch) di origine ambientale.
Nell’alveo della necessità di avere un approccio “granulare” e aggiornato con l’andamento del quadro economico sociale, è sicuramente da condividere l’approccio di definire degli stress test che, rispetto a norme fisse, possano meglio definire la corretta esposizione ai rischi ESG.
In sé, poi, il rischio di “governance” trova una più corretta allocazione nel quadro normativo, che sul piano regolamentare e di ponderazione delle esposizioni.
7. Standards, Labels & Greenwashing
In tema di standards e labels, l’EBA conferma l’approccio timido seguito in materia di cartolarizzazioni, raccomandando, in ogni caso, l’estensione del futuro EU Green Bond Standard).
Ugualmente attendista è la posizione dell’Autorità nell’implementazione di regole per finanziamenti e mutui “green”. Tale approccio costituisce il principale elemento di criticità dell’approccio di Vigilanza e, in generale, delle tendenze normative: quello di non prendere in adeguata considerazione i fattori “propulsivi” del mercato e, per altro verso, di non considerare la stretta interdipendenza tra fattori sociali e ambientali. Una normativa propulsiva dei mutui verdi, infatti, avrebbe avuto un effetto positivo su molti fronti: miglioramento dell’impatto ambientale delle città, accrescimento della consapevolezza ecologica dei cittadini e, quindi, attenuazione del rischio finanziario per le banche.
Sul green washing, dopo un esame del fenomeno, l’EBA si riserva le sue valutazioni sulla congruità dell’assetto normativo nella prevenzione del fenomeno.
8. Conclusioni sulla road map sui rischi ESG
In via conclusiva, la road map disegnata dall’EBA conferma come ci si trovi in una “terra di mezzo” dove con una regolamentazione ipertrofica non si incentiva il mercato e si rischia di non sanzionare efficacemente le condotte non virtuose.
La causa principale di questo mancato coordinamento risiede, oggettivamente, nella stratificazione normativa con il quale il tema della sostenibilità è stato affrontato dalla legislazione europea. Da un lato, si è proceduto per “gradi”: normando, dapprima e parzialmente, su alcuni aspetti della lotta al cambiamento climatico (principalmente la riduzione di gas serra) e rinviando al futuro sia gli altri aspetti dello stesso tema (acqua, biodiversità, suolo etc.) sia gli aspetti sociali e di governance, dall’altro lato (e fin dall’inizio) non si è creato il necessario legame tra “economia reale” e mondo finanziario, lasciando (ancora oggi) un gap tra i criteri di rendicontazione non finanziaria delle grandi aziende tenute alla Non Financial Directive (Direttiva 2014/95/UE) e quelli degli operatori del mercato (tale vuoto dovrebbe essere coperto dall’attuazione della nuova direttiva CSRD).
Si assiste, paradossalmente, quasi ad una normazione d’urgenza che, tuttavia, resta tradita dai tempi di attuazione delle regolamentazioni (spesso rinviate in attesa dell’emanazione di standard tecnici) e da alcune scelte politiche timide o di controtendenza (inclusione di gas ed energia atomica nella tassonomia green).
L’auspicio è che l’azione di vigilanza possa essere di supporto alla creazione di un quadro normativo più semplice e chiaro, soprattutto nell’ottica di una consistente riduzione degli oneri di compliance, se non per i profili capaci effettivamente di generare un impatto positivo.
Ulteriormente, la speranza è che le autorità di vigilanza possano accelerare il processo di definizione del quadro normativo generale, soprattutto in punto di estrapolazione di dati e flussi informativi che, pur cercando una omogeneità nella valutazione, non si risolvano in una semplice standarizzazione, incapace – in sé – di raccogliere le specificità del mercato, delle aree geografiche e dei singoli operatori.
In questo senso, andrebbe valorizzata l’esperienza degli SDG Standards, prodotti in seno alle NU (in particolare quelli per le imprese) capaci di introdurre regole semplici e, il più possibile, di applicazione universale. Nel quadro delineato in seno alle Nazioni Unite si è assistito, dapprima, ad una chiara definizione dei principi e, quindi a valle, alla creazione di standard capaci di disciplinare l’intero settore di riferimento. Questi ultimi, sulla base di una normazione per principi, sono risultanti facilmente adottabili dalle imprese e dagli operatori finanziari (ad oggi, il private equity e i bond issuers) con una capacità di adattamento ai framework normativi di altri paesi.