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Rischio di mis-selling per il risparmiatore retail: strategie normative e prospettive in ambito europeo

11 Maggio 2022

Dario Colonnello, Ufficio studi, Consob

Di cosa si parla in questo articolo

Il rischio di mis-selling viene identificato come manifestazione dell’incongruenza del prodotto finanziario distribuito all’investitore finale, in quanto non corrispondente al profilo di rischio, alle esigenze e alle aspettative del cliente. Il fenomeno testé descritto costituisce la premessa per un approfondimento relativo alla politica di livello europeo adottata per contrastarlo e attenuarlo. Pertanto, viene fornita una panoramica relativa non solo alle regole che disciplinano l’esercizio di servizi e attività di investimento – adeguatezza, appropriatezza e il più recente regime di product governance –, ma che non dimentica il ruolo proattivo dell’Esma. Note conclusive vengono riservate alle necessarie misure di rafforzamento e innovazione dell’attuale sistema regolatorio, a fronte dell’accresciuta complessità dei prodotti e di un persistente sviluppo tecnologico.

Mis-selling risk is identified as the expression of the financial product inconsistency with the final investor, given that it is not correspondent with client’s risk profile, needs and expectations. The described phenomenon represents the premise for a focus on European stage policy adopted in order to counter and lessen mis-selling risk. Therefore, an overview on the rules – suitability, appropriateness and the most recent product governance regime – which regulate the provision of financial services and activities is offered, but the proactive role of Esma is not forgotten. Concluding remarks are aimed to the necessary reinforcing and innovative  measures addressed to the regulatory current system, in the face of the growing products complexity and persistent technological development.


Sommario[*]: 1. Introduzione, 2. Il rischio di mis-selling nel rapporto tra risparmiatore retail ed intermediario, 3. Il sistema MiFID, 3.1. Regole volte ad arginare i fenomeni di mis-selling connessi all’asimmetria informativa ed alla relazione tra cliente ed intermediario, 3.2. Regole di appropriatezza e di adeguatezza, 3.3. Regole disciplinanti la progettazione e la distribuzione dei prodotti finanziari, 4. Segue: attività svolte dall’Esma per dare concreta applicazione alle previsioni della disciplina MiFID finalizzate al contenimento del rischio di mis-selling, 4.1. Valutazione di appropriatezza, 4.2. Valutazione di adeguatezza, 4.3. Product Governance, 5. I limiti della disciplina eurounitaria nel contenimento del rischio di mis-selling, 6. Conclusioni

 

1. Introduzione

Uno dei principali motivi per i quali i risparmiatori sono restii nell’investire le proprie disponibilità in prodotti finanziari è rappresentato dal rischio di mis-selling, ovvero dal rischio di commettere errori di valutazione in ordine alla scelta delle soluzioni che meglio rispondano alle proprie esigenze[1]. Come sarà chiarito più compiutamente nel corso della trattazione, tale rischio è tipicamente collegato alla presenza di asimmetrie informative, di costi di transazione e della differente possibilità di accesso ai mercati finanziari, fattori che pongono le imprese di investimento in una posizione di vantaggio rispetto ai propri clienti.

Diretta conseguenza è che i risparmiatori preferiscono detenere le proprie disponibilità in forma liquida nel conto corrente. In tal caso, il risparmiatore oltre alla perdita di potere d’acquisto delle somme depositate determinata dall’inflazione – fenomeno sempre più rilevante alla luce dei più recenti sviluppi degli scenari geo-politici -, subisce anche una perdita non immediatamente percepibile, rappresentata dal costo-opportunità di impiegare tali somme in investimenti remunerativi. Al fine di limitare tali costi, i risparmiatori più attivi prediligono piuttosto investire “nel mattone”.

In proposito, da recenti statistiche diffuse da Consob risulta che in Italia l’ammontare dei risparmi detenuti in forma liquida o, comunque caratterizzati da elevati livelli di liquidabilità, è rilevantissima[2]; inoltre, l’investimento immobiliare continua a rappresentare una delle tipologie di investimento preferite dagli italiani[3].

Il rischio di mis-selling, però, determina dei costi non solo per il risparmiatore, ma anche per il sistema finanziario ed economico nel suo complesso. Tale rischio è difatti una delle principali cause delle difficoltà di canalizzazione delle risorse finanziarie detenute dai singoli verso impieghi nell’economia reale. Il sistema finanziario risente negativamente degli effetti negativi del mis-selling proprio perché le ingenti disponibilità finanziare in possesso dei risparmiatori retail potrebbero essere investite nell’economia reale – attraverso l’acquisto di prodotti finanziari – in progetti di crescita economica e occupazionale delle aziende emittenti e, dunque, dell’economia nel suo complesso.

Il tema è di tale rilievo che tanto a livello europeo quanto nazionale sono state attivate diverse iniziative finalizzate ad incrementare la partecipazione dei risparmiatori retail ai mercati finanziari. A livello europeo, la Capital Markets Union (di seguito anche “CMU) è stata concepita proprio per conseguire tale finalità[4]; la Commissione ha peraltro avviato una vera e propria retail investment strategy[5]. A livello nazionale, poi, il recente Libro Verde “La competitività dei mercati finanziari italiani a supporto della crescita” promosso dal MEF ha l’obiettivo di individuare potenziali interventi tesi a migliorare il quadro normativo e regolamentare applicabile agli emittenti per rendere l’accesso e la permanenza delle imprese sui mercati dei capitali, senza al contempo ridurre i presìdi a tutela degli investitori e dell’integrità dei mercati[6].

Al fine di affrontare compiutamente la tematica, nel prosieguo si offrirà dapprima un’analisi economia del fenomeno. Successivamente sarà analizzato il tema sotto il profilo normativo, con specifico riferimento alla disciplina MiFID[7], per chiarire quali soluzioni sono state adottate dal legislatore europeo per arginarne l’impatto del rischio di mis-selling. Infine, si tenterà di individuare le lacune del sistema attuale e le possibili prospettive.

2. Il rischio di mis-selling nel rapporto tra risparmiatore retail ed intermediario

Il rischio di mis-selling si verifica tipicamente nel rapporto tra risparmiatore retail ed intermediari, dato che questi ultimi rappresentano il principale canale attraverso cui i primi acquistano i prodotti finanziari che compongono il loro portafoglio[8]. In questo specifico caso, il mis-selling si manifesta quando i prodotti finanziari commercializzati dall’intermediario non corrispondono al profilo di rischio, alle esigenze o alle aspettative del cliente[9].

La teoria economica aiuta a comprendere le ragioni alla base di tale fenomeno. In particolare, i motivi per cui si verifica il mis-selling sono stati puntualmente analizzati dalla agency theory: un agente che non è esposto alle conseguenze della propria negligenza (ad esempio perché percepisce come basso il rischio di perdere i propri clienti) può essere tentato di abusare della propria posizione ed essere disposto a vendere prodotti finanziari a clienti ai quali non avrebbe dovuto proporli[10].

Risulta utile identificare prioritariamente le circostanze che determinano fenomeni di mis-selling, per poi individuare più puntualmente le modalità che consentono di prevenirlo.

Alcuni studi mostrano che la natura e il tipo di mis-selling dipendono da una pluralità di fattori, tra cui: le caratteristiche individuali dell’investitore, il tipo ed il livello di rischio di prodotto offerto, le modalità attraverso cui il prodotto viene venduto, così come il livello di responsabilità degli intermediari finanziari nei confronti dei loro clienti[11].

Secondo altri contributi, il mis-selling è anche dovuto alla presenza di conflitti di interesse tra intermediario e cliente, conflitti che si sostanziano più propriamente in una inadeguata rappresentazione delle informazioni, nella previsione di eccessivi elementi di complessità dei prodotti finanziari proposti e nella prestazione di una consulenza non personalizzata[12].

I conflitti di interesse tra intermediari e clienti dovuti all’errata rappresentazione delle informazioni, sono connessi anche alla circostanza secondo cui i primi tendono ad utilizzare a proprio vantaggio l’analfabetismo finanziario dei secondi. Alcuni autori evidenziano che una delle principali cause dei fenomeni di mis-selling è rappresentata dalle asimmetrie informative associate all’analfabetizzazione finanziaria dei risparmiatori retail. Sebbene la corretta stima del livello di alfabetizzazione finanziaria sia di per sé complicata, appare alquanto ovvio che l’alfabetizzazione finanziaria di molti clienti al dettaglio è inferiore, a volte anche di molto, rispetto a quella dei prestatori di servizi di investimento e dei loro dipendenti: è proprio questo divario che determina l’asimmetria informativa alla base dei fenomeni di mis-selling[13].

L’asimmetria informativa è peraltro dovuta al fatto che gli intermediari hanno più potere di negoziazione, in quanto possono, in un certo senso, “imporre” la forma e la formulazione del contratto che dovrà essere firmato dal cliente. Tuttavia, l’asimmetria di informazioni tra il venditore e l’acquirente sussiste anche per quanto riguarda la conoscenza dei meccanismi contenuti nel contratto e, spesso, la comprensione dello strumento finanziario stesso e dei suoi rischi. Di certo, la possibilità di disporre di informazioni asimmetriche e aggiuntive può essere utilizzata dall’intermediario per trarne un vantaggio[14].

Con specifico riferimento alla commercializzazione di uno strumento finanziario, alcuni autori sostengono che l’errata presentazione di informazioni è attuata attraverso l’occultamento o, in casi estremi, la falsificazione di aspetti che, ove fossero noti al cliente, avrebbero potuto interrompere o alterare significativamente il processo di scelta di un determinato prodotto finanziario. L’errata presentazione di informazioni implica una consulenza distorta o, nei casi limite, addirittura fraudolenta[15].

Altri autori in proposito hanno osservato che gli intermediari tendono a commercializzare prodotti finanziari caratterizzati da alte commissioni ove non siano tenuti a palesare le commissioni di questi prodotti[16]. Al riguardo, altri ancora mostrano che le banche potrebbero approfittare del loro ruolo consulenziale anche per vendere ai clienti con bassi livelli di alfabetizzazione i titoli a bassa performance presenti nel proprio portafoglio di proprietà[17].

Il conflitto di interesse tra intermediari e clienti, poi, si manifesta in maniera particolarmente accentuata nel caso di commercializzazione di prodotti finanziari che presentano eccessivi elementi di complessità. In questo specifico caso, il mis-selling deriva dalla commercializzazione da parte degli intermediari finanziari di prodotti già progettati con elementi di complessità tali da essere difficilmente compresi da parte dell’investitore medio o che includono fattori di rischio che non forniscono particolari benefici al cliente[18]. In proposito, degli autori sostengono che alcuni intermediari finanziari, avendo contezza che i clienti devono sostenere costi di apprendimento per comprendere le caratteristiche del prodotto, scelgono strategicamente la complessità per estrarre rendite dai clienti che presentano un insufficiente livello di sofisticazione delle proprie conoscenze finanziarie[19].

In ogni caso, se l’intermediario non compie tutti gli sforzi necessari a conoscere in maniera approfondita la situazione finanziaria e personale di un cliente e, in particolare, l’inclinazione al rischio, la consulenza sui prodotti sarà inevitabilmente inadatta alle esigenze di quest’ultimo[20].

La consulenza personalizzata, pertanto, rappresenta un’ulteriore causa di mis-selling: intermediari e clienti sono in conflitto di interesse perché tale tipologia di consulenza è costosa per chi deve prestarla e, ove posta in essere in maniera corretta, potrebbe impattare negativamente sui margini commissionali e sulla redditività. Degli studi mostrano che alcuni intermediari tendono a essere reticenti nel fornire informazioni sui prodotti di concorrenti – magari più adatti alle esigenze del cliente -, al fine di favorire la commercializzazione dei propri prodotti[21].

Il rischio di mis-selling può infatti essere originato anche da azioni di marketing e di vendita aggressivi che fuorviano il cliente[22]. Taluni autori mostrano anche che i fenomeni di mis-selling tendono ad acuirsi in presenza di incentivi per la commercializzazione di uno specifico prodotto (ad esempio tramite bonus di vendita o pressioni commerciali): l’addetto al rapporto con il cliente sarà, in questo caso, tentato di raccomandare tale prodotto, anche ove non adatto al cliente[23].

Il mis-selling può anche comportare effetti che vanno al di là del rapporto tra intermediario e cliente, andando ad influenzare le relazioni tra gli stessi intermediari. Il mis-selling per certuni autori rappresenta un classico esempio di “gridlock”, consistente nel fatto che, sebbene un intermediario abbia piena contezza su come interagire con i propri clienti, può comunque porre in essere condotte rischiose ed eticamente discutibili per favorire i propri profitti a breve termine[24]. Quando tale atteggiamento è posto in essere anche da altri intermediari, in assenza di un’adeguata regolamentazione, l’intero sistema finanziario subirà perdite a causa delle diverse azioni rischiose poste in essere dai singoli intermediari[25].

Per i motivi enucleati in precedenza, è evidente che, per una pluralità di ragioni, il mis-selling di prodotti finanziari non è socialmente desiderabile. Di certo, un rapporto a lungo termine tra intermediario e cliente basato sulla fiducia sarebbe oltre che una risposta etica, anche nell’interesse generale del buon funzionamento del mercato[26]. Per evitare distorsioni nell’allocazione delle risorse finanziarie risulta in ogni modo necessario tutelare i risparmiatori, specie se retail, attraverso specifiche regolamentazioni.

Il paragrafo seguente affronterà più dettagliatamente la disciplina MiFID che, in ambito europeo, come accennato in precedenza, ha, tra l’altro, l’obbiettivo di limitare i fenomeni di mis-selling.

3. Il sistema MiFID

E’ stato osservato da taluni che è la presenza di frizioni tra imprese di investimento e clienti a giustificare la previsione di una regolamentazione speciale, quale quella del sistema MiFID, che ha come finalità precipua la protezione dei risparmiatori retail[27].

Il cosiddetto “pacchetto MiFID” ha una storia ormai quasi ventennale – la prima versione risale al 2004, poi aggiornata nel 2014 – e nasce con la finalità di migliorare la protezione dei clienti nei servizi di investimento e di incrementare la stabilità, favorire l’efficienza del sistema finanziario nel suo complesso e, soprattutto, per fornire una regolamentazione armonizzata per i servizi d’investimento negli Stati membri, volta a superare tutte le problematiche connesse all’elevata eterogeneità applicativa riscontrata nei diversi Paesi[28].

Già nella prima versione della MiFID erano previsti una serie di istituti disciplinanti l’informativa alla clientela e regole di comportamento a cui dovevano attenersi le imprese di investimento, tra cui, con riferimento al contenimento del rischio di mis-selling, spiccavano già la regola di adeguatezza e di appropriatezza.

Tuttavia, la profonda crisi economica e finanziaria verificatasi nel periodo post Lehman, negli anni successivi al 2007, ha fatto emergere i limiti della prima versione della MiFID e ha reso necessaria una revisione della disciplina.

Nel 2011, la Commissione europea ha quindi avviato un percorso volto a introdurre nuove regole per rafforzare ulteriormente la tutela del cliente, percorso che si è concluso nel 2014 con l’emanazione del pacchetto MiFID II, entrato in vigore nel 2018[29].

La MiFID II, più propriamente, mira ad affrontare le carenze riscontrate nella prima versione della MiFID, tenendo conto delle lezioni apprese durante la crisi finanziaria, sempre nell’ottica di garantire la massima tutela del risparmiatore[30].

In continuità con il previgente regime (MiFID I) gli obblighi degli intermediari sono gradati in ragione della categoria di appartenenza del cliente (ovvero retail, clienti professionali e controparti qualificate[31]). A tale specifico riguardo, una delle novità introdotte dalla MiFID II è rappresentata dai criteri più stringenti di riparto della clientela[32].

Più in dettaglio, poi, il capitolo 2 della MiFID II si concentra sulle condizioni operative per le imprese di investimento e comprende una serie di articoli relativi alla governance della relazione tra le imprese di investimento e i loro clienti, con la finalità di assicurare una consulenza quanto più possibile adeguata alle esigenze dei clienti[33].

La seconda versione della MiFID introduce quindi una pluralità di strumenti volti a tutelare i clienti, quali: regole di divulgazione alle banche; requisiti comportamentali alle imprese di investimento e ai loro dipendenti – disciplinando anche aspetti inerenti la retribuzione; requisiti relativi alla progettazione ed alla distribuzione dei prodotti finanziari.

Di seguito si discuteranno brevemente i diversi strumenti di tutela dell’investitore previsti dal regime MiFID II.

3.1 Regole volte ad arginare i fenomeni di mis-selling connessi all’asimmetria informativa ed alla relazione tra cliente ed intermediario

Come notato in precedenza, i conflitti di interesse tra intermediari e clienti dovuti all’errata rappresentazione delle informazioni, derivano dal fatto che i primi tendono ad utilizzare a proprio vantaggio l’analfabetismo finanziario dei secondi. La MiFID II mira pertanto a ridurre l’errata rappresentazione delle informazioni da parte delle imprese di investimento, attraverso la previsione di una serie di regole volte ad innalzare il livello di trasparenza dei prodotti finanziari e dei potenziali conflitti di interesse[34].

Queste regole sono in linea con l’obiettivo della Commissione Europea di creare un mercato europeo dei servizi finanziari al dettaglio[35]. A tal fine, tutti gli Stati membri sono chiamati ad implementare gli stessi requisiti di prodotto e le stesse regole di divulgazione per agevolare il confronto dei prodotti emessi nei diversi Paesi da parte dei clienti al dettaglio[36].

La crisi economica post Lehman ha messo in luce che i fenomeni di mis-selling erano anche collegati al fatto che coloro che si occupano dei rapporti con la clientela nella commercializzazione dei prodotti finanziari non hanno dedicato il necessario impegno per servire al meglio i clienti[37]. Pertanto, il sistema MiFID II ha previsto delle regole specifiche che vanno a disciplinare le modalità attraverso cui i consulenti devono relazionarsi con i clienti[38].

In ragione della possibile presenza di conflitti di interesse tra intermediario e cliente, i consulenti, come notato in precedenza, potrebbero essere tentati di commercializzare prodotti finanziari allo scopo di massimizzare il loro compenso (bonus) o, comunque, venire incontro alle indicazioni commerciali fornite dall’impresa di investimento[39]. Per prevenire tali comportamenti, la Direttiva MiFID II impone limiti rigorosi al compenso dei consulenti finanziari[40].

Infine, per prevenire eventuali conflitti di interesse, i consulenti indipendenti e i gestori di portafoglio non sono autorizzati ad accettare onorari, commissioni o qualsiasi altro beneficio da una terza parte in relazione al servizio prestato al cliente[41].

3.2 Regole di appropriatezza e di adeguatezza

Con lo scopo di tenere in debita considerazione le specifiche caratteristiche ed esigenze degli investitori, la disciplina MiFID prevede che un ruolo fondamentale nel processo di vendita è svolto dai dipendenti degli intermediari finanziari, il cui dovere è, tra gli altri, quello di condurre i test di appropriatezza e appropriatezza: tali valutazioni rappresentano le principali regole volte al contenimento del rischio di mis-selling[42].

Numerose sono le differenze tra le due valutazioni. La regola di “appropriatezza” si applica nel caso di prestazione di servizi d’investimento diversi dalla gestione di portafoglio e dalla consulenza e fa esclusivo riferimento al livello di conoscenza ed esperienza del cliente. L’esito della verifica di appropriatezza, inoltre, non è bloccante: l’intermediario può operare anche nel caso di accertata inappropriatezza o di impossibilità di formulare il giudizio di appropriatezza per carenza di informazioni acquisite dal cliente. In tale specifica evenienza, sussiste pur sempre l’obbligo da parte dell’intermediario di informare il cliente di tale evenienza[43].

La regola di adeguatezza si applica invece ai servizi di consulenza e di gestione di portafoglio e differische dalla regola di appropriatezza perché fa riferimento ad una pluralità di parametri (tra cui conoscenza, esperienza, tolleranza al rischio, orizzonte temporale, capacità di sostenere le perdite)[44]. In alcuni orientamenti emanati nel corso del 2018, l’ESMA ha puntualizzato che essa attiene all’“intero processo di raccolta delle informazioni relative a un cliente e la successiva valutazione da parte dell’impresa sull’adeguatezza di un determinato prodotto d’investimento per detto cliente, in base anche alla solida conoscenza, da parte dell’impresa, dei prodotti che può raccomandare o nei quali può investire per conto del cliente[45].

Per garantire una sempre migliore tutela agli investitori, nella seconda versione della MiFID II tale valutazione assume maggiore rilevanza rispetto a quanto accadesse nella previgente normativa[46]. Per tale motivo, il legislatore ha introdotto ulteriori strumenti, ovvero: introduzione di ulteriori elementi – quali tolleranza al rischio e capacità di sostenere perdite da parte – da considerare nella profilatura del cliente; predisposizione di specifici report di adeguatezza delle raccomandazioni fornite; valutazione di adeguatezza periodica[47].

A livello nazionale, la rilevanza di tale regola per la tutela del risparmiatore è comprovata da alcune recenti indagini della Consob, dalle quali emerge che circa l’80% delle operazioni realizzate dai clienti per il tramite degli intermediari hanno avuto ad oggetto la valutazione di adeguatezza[48].

Per quanto di specifico interesse per il presente lavoro, una delle principali innovazioni introdotte dalla seconda versione della MiFID è che il legislatore ha fatto venir meno la possibilità di ottenere dal cliente il consenso per la realizzazione di un’operazione non adeguata[49]. In tal modo, l’ottenimento di un risultato negativo del test rende difficoltoso l’accesso a prodotti finanziari complessi da parte dei risparmiatori retail[50].

Nel regime MiFID II per ridurre i rischi di mis-selling sono peraltro previste una serie di prescrizioni aventi ad oggetto l’informativa che l’intermediario è tenuto a fornire al cliente[51]. Relativamente alla valutazione dell’adeguatezza, le informazioni che devono essere fornite dall’intermediario sono finalizzate, da un lato, a far comprendere meglio al cliente gli scopi della normativa e, dall’altro, ad accrescere la responsabilità da parte del cliente nel delicato passaggio della compilazione del questionario di profilatura, in modo da fornire in tale sede dati precisi e sufficienti a delinearne il relativo profilo[52]. La portata delle informazioni “necessarie” può in ogni caso variare e deve tener conto delle caratteristiche dei servizi di consulenza o di gestione del portafoglio, del tipo e delle caratteristiche dei prodotti di investimento e delle caratteristiche dei clienti[53].

Le novità introdotte dal regime della MiFID II denotano, dunque, una marcata volontà del legislatore di offrire una sempre maggiore tutela del cliente, specie retail, dal rischio di mis-selling attraverso la regola di adeguatezza[54]. Nel complesso, il sistema MiFID esclude l’applicazione della soluzione giurisprudenziale che preferisce la responsabilità dell’intermediario all’invalidità del contratto in caso di mis-selling per inadeguatezza; nel nuovo regime, in altri termini, la nullità consegue alla violazione della norma imperativa di protezione[55].

La crescente rilevanza della regola di adeguatezza è peraltro confermata anche nei punti di contatto tra le discipline MiFID II e BRRD2, essendo espressamente prevista anche in caso di distribuzione alla clientela retail di titoli di debito subordinati[56].

3.3. Regole disciplinanti la progettazione e la distribuzione dei prodotti finanziari

Come notato in precedenza, le imprese di investimento possono utilizzare a proprio beneficio la complessità degli strumenti finanziari per estrarre vantaggi dai costi correlati alla difficoltà cognitiva che i clienti sopportano nel comprendere a pieno le caratteristiche del prodotto. Ne consegue, quindi, che la stessa fase di progettazione, oltre che di distribuzione, dei prodotti finanziari, può determinare circostanze da cui gli intermediari possono avvantaggiarsi.

Al fine di porre rimedio a tali possibili casi di abuso, la MiFID II ha introdotto la disciplina in materia di product governance, contente specifiche regole che anticipano la tutela dell’investitore alla fase che precede la stessa immissione sul mercato di un prodotto finanziario[57]. In altri termini, i prodotti devono essere concepiti e strutturati in ragione delle specifiche caratteristiche del target market di riferimento[58].

Il regime maggiormente restrittivo previsto dalla seconda versione della MiFID è volto a superare i limiti delle regole di adeguatezza e appropriatezza, così come disciplinate dalla previgente disciplina MiFID. E’ di tutta evidenza, infatti, che tali regole non sono state in grado di evitare casi, talvolta clamorosi, di mis-selling[59].

L’obiettivo ultimo delle norme disciplinanti gli obblighi di product governance è pertanto quello di ridurre il rischio che possano essere indirizzati prodotti e servizi non adeguati a specifiche fasce di clienti[60].

In ogni caso, la valutazione di adeguatezza si pone su un diverso piano rispetto alla disciplina della product governance. Una volta accertata l’appartenenza al target market effettivo, il distributore è tenuto a verificare in concreto l’adeguatezza del prodotto rispetto alle esigenze del cliente. La valutazione di adeguatezza, quindi, si soddisfa andando oltre la generica appartenenza del cliente al target dei soggetti per cui il prodotto è stato creato; in tal modo, l’intermediario dovrebbe anche minimizzare le asimmetrie informative e le criticità derivanti da una alfabetizzazione finanziaria inadeguata da parte del cliente[61].

Il legislatore ha comunque previsto che le sole regole di product governance potrebbero non essere sufficienti ad evitare fenomeni di mis-selling; a tal fine, la disciplina MiFID II ha attribuito alle Autorità di Vigilanza competenti specifici poteri di product intervention, che costituiscono un rimedio estremo in caso di fallimento delle altre forme di tutela. Ricorrendo a tali poteri, infatti, alcuni prodotti possono essere vietati o essere sottoposti a standard e requisiti definiti dall’Autorità stessa[62].

Quindi, se la prima versione della MiFID si concentra principalmente sulla divulgazione, la seconda versione, per attenuare il rischio di mis-selling, interviene anche nella progettazione del prodotto, ovvero la fase nella quale il manufactor potrebbe includere elementi di complessità a proprio ed esclusivo vantaggio.

Sinora sono stati passati in rassegna le principali innovazioni introdotte dal legislatore nella seconda versione della MiFID per contrastare il rischio di mis-selling.

Eppure, per poter conseguire i risultati sperati, è anche necessario che le regole vengano poi applicate uniformemente in ambito unionale[63].

L’applicazione della disciplina MiFID, ad oggi, è ancora lontana da una piena armonizzazione nei singoli Stati Membri e, di conseguenza, anche la tutela dal rischio di mis-selling non è omogena a livello europeo[64].

Il prossimo paragrafo affronterà specificamente l’aspetto applicativo da parte dell’ESMA, ovvero l’Autorità europea preposta.

4. Segue: attività svolte dall’Esma per dare concreta applicazione alle previsioni della disciplina MiFID finalizzate al contenimento del rischio di mis-selling

L’Unione Europea è costituita da una pluralità di Stati Membri che differiscono tra loro per tanti aspetti tra cui lingua, cultura, storia, approccio giuridico e, di conseguenza, per livello applicativo della normativa.

In ambito europeo, ESMA ed Autorità nazionali sono chiamate a favorire la massima armonizzazione nei diversi Stati Membri nella concreta applicazione alla disciplina eurounitaria. Per quanto di rilievo per il presente lavoro, il loro compito è anche creare le condizioni volte a contenere il rischio di mis-selling, con l’obiettivo ultimo di innalzare la fiducia riposta dai risparmiatori, specie retail, e di incentivarne la partecipazione al mercato finanziario[65].

Uno dei principali limiti in ambito europeo e nazionale nell’assicurare un’omogenea tutela del risparmiatore retail dal rischio di mis-selling è tuttavia rappresentato tanto dalla presenza di numerosi soggetti coinvolti (Legislatore europeo, Legislatore nazionale, ESMA e Autorità nazionali competenti) quanto dall’elevato livello di stratificazione normativa a livello europeo e nazionale; tali elementi determinano la presenza di un sistema di governance a dir poco articolato e caratterizzato da più livelli[66].

Per comprendere meglio cosa si è fatto in ambito europeo per favorire una omogenea applicazione della disciplina, appare senz’altro utile approfondire le attività poste in essere dall’ESMA. L’autorità europea si è difatti prodotta in uno sforzo volto ad indagare le modalità applicative da parte delle Autorità di Vigilanza nazionali delle misure cardine del sistema MiFID finalizzate al contrasto dei fenomeni di mis-selling. Le attività hanno avuto ad oggetto prima la valutazione di appropriatezza ed il regime di execution only, poi la valutazione appropriatezza e, infine, la disciplina della product governance; si offrirà di seguito una sintesi di tali attività.

4.1 Valutazione di appropriatezza

Come notato in precedenza, i requisiti di appropriatezza costituiscono un fondamentale presidio di protezione degli investitori dal rischio di mis-selling nella fornitura di servizi di investimento diversi dalla consulenza o dalla gestione del portafoglio.

In proposito, l’ESMA ha condotto nel 2019 un’Azione Comune di Vigilanza (di seguito anche “Common Supervisory Action” o “CSA”). Da tale azione di vigilanza è emersa la necessità di una maggiore convergenza in ambito europeo con riferimento alle modalità applicative della verifica dell’appropriatezza e delle esenzioni previste dalla disciplina dell’execution-only[67].

Conclusa la CSA, l’ESMA ha avviato una consultazione volta a raccogliere le opinioni dei soggetti interessati in ordine all’emanazione degli orientamenti relativi alla tematica della valutazione di appropriatezza e dell’execution only[68].

Tenendo conto delle osservazioni emerse in fase di consultazione, l’Autorità europea ha quindi pubblicato ad inizio del 2022 la relazione finale sulle sue linee guida aventi ad oggetto alcuni aspetti dei requisiti di appropriatezza e di execution only della MiFID II[69].

Gli orientamenti saranno tradotti nelle lingue ufficiali dell’UE e pubblicati sul sito istituzionale dell’ESMA. Entro due mesi dalla pubblicazione delle traduzioni, le Autorità nazionali competenti dovranno poi comunicare all’ESMA se sono già conformi o intendono conformarsi agli orientamenti; decorsi sei mesi dalla data di pubblicazione delle traduzioni sul sito web dell’ESMA, troveranno quindi effettiva applicazione[70].

4.2 Valutazione di adeguatezza

Oltre alla valutazione di appropriatezza, l’ESMA in più occasioni ha affrontato la materia inerente la valutazione di adeguatezza che, come discusso in precedenza, rappresenta il principale presidio del sistema MiFID ai fini del contenimento del rischio di mis-selling.

Già nel 2016, quindi prima dell’entrata in vigore della MiFID II, è stata realizzata una peer review, cui ha poi fatto seguito nel 2018 un follow up. Nel report relativo a tale follow up, l’ESMA ha reso noto che le Autorità di Vigilanza nazionali avevano affinato – rispetto a quanto rilevato in occasione della peer review del 2016 – le prassi di vigilanza e si erano mostrate più attente nella supervisione dei requisiti di adeguatezza[71].

Nel 2020 è stata inoltre avviata una Common Supervisory Action, nel cui report – pubblicato nel luglio 2021 – si rende noto che la gran parte delle Autorità di vigilanza nazionali aveva riscontrato prassi applicative eterogenee nell’esecuzione dei test di adeguatezza da parte dei soggetti vigilati[72].

Nel complesso, gli esiti della CSA hanno mostrato una persistente frammentazione applicativa a livello europeo[73].

Tale aspetto costituirà un aspetto su cui l’Autorità europea continuerà a sorvegliare e rappresenterà un aspetto saliente della revisione delle linee guida ESMA del 2018 relative alla regola di adeguatezza che saranno emanate una volta conclusa la consultazione avviata nel mese di gennaio 2022[74]. L’ESMA attraverso la nuova formulazione delle linee guida si propone di ridurre il rischio di mis-selling, con considerevoli ricadute concrete per tutti gli attori coinvolti (risparmiatori ed intermediari), e, al contempo, favorire una sempre maggiore convergenza delle prassi di vigilanza delle Autority di Vigilanza competenti[75].

Nella recente consultazione dell’ESMA, inoltre, è di tutta evidenza che i fattori di sostenibilità divengono un aspetto basilare della valutazione di adeguatezza. L’intermediario è difatti tenuto a richiedere al cliente informazioni relative alle proprie preferenze in tema di sostenibilità e, tra gli strumenti finanziari adeguati, è tenuto a indicare quelli che rispondano maggiormente alle preferenze espresse. Il testo della consultazione resta tuttavia piuttosto vago in ordine alla natura della valutazione sui requisiti di sostenibilità e, inoltre, su come tale valutazione si vada poi ad inserire nell’ambito della valutazione di adeguatezza[76].

Gli orientamenti comunque non individuano chiaramente quale possa rappresentare la regola generale da seguire in assenza di titoli adeguati che rispondano alle preferenze espresse dal cliente in materia di sostenibilità[77].

E’ di certo auspicabile che l’Autorità Europea nel futuro chiarisca se, nel caso di una valutazione di adeguatezza multivariata o “di portafoglio”, il cliente sia tenuto anche ad indicare la percentuale minima di investimenti sostenibili del proprio portafoglio[78].

4.3 Product Governance

Come notato in precedenza, la seconda versione della MiFID, sempre nell’ottica di ridurre i rischi di mis-selling, ha introdotto la disciplina in materia di product governance. Con specifico riferimento a tale tematica, l’ESMA, nel 2018, a ridosso dell’entrata in vigore della seconda versione della MiFID, aveva pubblicato delle linee guida[79] e, più di recente, ha aggiornato le Q&A su tale aspetto[80].

L’Autorità europea ha, in ultimo, avviato nel corso del 2021 un’azione di vigilanza comune (CSA) con le Autorità nazionali competenti avente ad oggetto l’applicazione delle regole di product governance in ambito europeo. La CSA, allo stato in corso di svolgimento, ha lo scopo di consentire all’ESMA ed alle Autorità di vigilanza nazionali di valutare i progressi compiuti dai produttori e dai distributori di prodotti finanziari nell’applicazione dei requisiti previsti dalla disciplina in materia di governo di prodotto.

L’ESMA ritiene che l’azione di vigilanza comune sia utile a condividere le prassi di vigilanza tra le Autorità Nazionali competenti e contribuirà a garantire un’attuazione e un’applicazione della disciplina della product governance coerente con la normativa vigente. Ciò ha lo scopo ultimo di migliorare il livello di tutela degli investitori, che costituisce uno degli obiettivi prioritari dell’Autorità Europea.

Ad esito delle risultanze emerse in occasione della CSA avviata nel 2021, potrebbero poi essere oggetto di revisione tanto gli orientamenti in materia di product governance del 2018 che le Q&A[81].

5. I limiti della disciplina eurounitaria nel contenimento del rischio di mis-selling

Dalla trattazione precedente, emerge che MiFID rappresenta una disciplina fondamentale in ambito europeo per tutelare i risparmiatori retail dal rischio di mis-selling[82]. Per raggiungere tale obbiettivo, sono stati tuttavia imposti significativi costi diretti e indiretti, oltre a considerevoli oneri amministrativi a carico degli intermediari operanti nell’Unione[83].

MiFID II richiede infatti alle imprese di investimento di adempiere ad una pluralità di obblighi (aventi ad oggetto, tra l’altro, requisiti organizzativi, regole di comportamento dei dipendenti, requisiti dei prodotti, regole di divulgazione), caratterizzati da elevati costi di conformità che le imprese di investimento potrebbero aver difficoltà a recuperare[84].

In merito, una delle possibili conseguenze indesiderate della MiFID II potrebbe essere connessa al fatto che i bassi ricavi e gli alti costi di conformità porterebbero alcuni intermediari ad escludere dalla consulenza finanziaria la clientela caratterizzata da bassa marginalità[85].

Come notato in precedenza, altro onere imposto dalla MiFID II alle imprese di investimento è rappresentato dall’informativa da fornire al cliente in ordine ai costi addebitati o ai rischi associati ad un prodotto finanziario o ad una strategia di investimento[86]. Tali obblighi si propongono di tutelare i clienti, specie se retail, da comportamenti opportunistici posti in essere dai dipendenti delle banche e dai consulenti indipendenti[87]. Tuttavia, in considerazione degli oggettivi limiti di tempo che si riscontrano nella prestazione della consulenza su base individuale, risulta difficoltoso per il consulente informare il cliente in ordine alle proprietà rilevanti di ciascun prodotto finanziario, soprattutto nel caso in cui il cliente disponesse di una limitata conoscenza dei prodotti finanziari e dei relativi rischi[88].

E qui viene alla luce un ulteriore limite dell’impianto MiFID, ovvero la mancata previsione di esplicite distinzioni tra segmenti di clienti per livelli differenziati di alfabetizzazione finanziaria ai fini della determinazione della tipologia di consulenza e del livello di tutela di cui necessitano[89].

In merito, è condivisibile l’opinione di chi sostiene che applicare le stesse regole per tutti i clienti, senza tenere in debito conto l’eterogeneità della loro alfabetizzazione finanziaria, non contribuisce a migliorare il livello qualitativo della consulenza offerta e determina maggiori costi per l’attività bancaria al dettaglio, favorendo, per tale via, fenomeni di mis-selling[90].

Alcuni autori hanno più puntualmente analizzato l’impatto della disciplina MiFID in termini di tutela del risparmiatore, rilevando che gli elevati costi diretti e indiretti della seconda versione della MiFID sono accompagnati da benefici che, in diversi casi, sono stati valutati come limitati[91].

Nel loro contributo è stato peraltro evidenziato che i clienti degli intermediari hanno mostrato di essere generalmente insoddisfatti delle regole imposte dall’aggiornamento del sistema MiFID, principalmente in relazione alla maggiore quantità di tempo richiesta per attuarle; inoltre, la più elevata disponibilità di informazioni non ha portato a decisioni più consapevoli, viceversa ha determinato un sovraccarico informativo accompagnato, a volte, da incertezze applicative[92].

Tali autori, poi, sottolineano che il maggior grado di standardizzazione ha comportato una minore flessibilità ed ha ridotto la personalizzazione consentita; dalle loro analisi emerge che sono proprio i clienti al dettaglio meno abbienti (ovvero coloro che necessitano di un più elevato livello di protezione) ad essere maggiormente colpiti dall’impatto negativo degli obblighi normativi[93].

Anche se alcuni singoli elementi (come i rapporti di adeguatezza) hanno ricevuto nelle indagini degli autori un feedback prevalentemente positivo da parte dei clienti, gli aggiornamenti del sistema MiFID finalizzati a migliorare la tutela dei risparmiatori si sono rivelati, alla prova dei fatti, talvolta non in linea con le finalità iniziali (prima tra tutte quella di favorire decisioni più informate da parte dei risparmiatori)[94].

Tali problematiche hanno nel complesso fatto sì che i clienti tendano ad affidarsi al loro consulente in misura sempre maggiore ed a non essere interessati a ulteriori informazioni[95]. Inoltre, un numero via via crescente di clienti si sta progressivamente ritirando dai mercati dei capitali o avrebbe comunque intenzione di farlo[96].

Quindi, sebbene il sistema MiFID riveste un ruolo chiave nel progetto di Unione dei Mercati dei Capitali, il relativo impatto, ove non opportunamente ritarato in futuro, potrebbe non centrare l’obiettivo di ampliare l’ammontare delle risorse finanziarie provenienti dai risparmiatori retail. Tale aspetto è di vitale importanza per l’economia europea, per le aziende che operano nel mercato unico e, più in generale, per il benessere dei cittadini dell’Unione[97]. Ciò è tanto più vero prospetticamente, in considerazione della rilevanza assunta dai prodotti finanziari del mercato dei capitali (in particolare, dalle azioni e dalle obbligazioni) nell’ambito della previdenza pensionistica privata[98].

Per superare queste ed altre problematiche della disciplina vigente, la Commissione Europea, come accennato, sta implementando una retail investment strategy, con la finalità di potenziare il quadro complessivo delle regole europee in tema di protezione degli investitori[99].

Tra le diverse attività poste in essere nell’ambito di tale strategia, di particolare rilievo per il presente lavoro sono le consultazioni avviate dalla Commissione nel corso degli ultimi mesi.

Una consultazione pubblica è stata posta in essere nel 2021, ad esito della quale molte parti interessate, dal lato dell’industria e dei consumatori, hanno chiesto di semplificare, migliorare, automatizzare e standardizzare le modalità attraverso cui sono determinati i profili degli investitori. Alcuni partecipanti hanno anche fatto presente la necessità di prestare una maggiore attenzione alla composizione complessiva del portafoglio degli investitori piuttosto che riferire le valutazioni ai singoli prodotti[100].

In ragione delle risposte pervenute, è dunque emerso che le valutazioni di adeguatezza e di appropriatezza necessitano di una revisione. La Commissione sta al momento valutando diversi modi per migliorare i relativi regimi con l’obbiettivo di superare le problematiche sopra discusse. A tal fine, ha anche avviato un’ulteriore consultazione, con lo scopo di esplorare la fattibilità di una nuova valutazione rivolta ai risparmiatori al dettaglio[101].

Dalla lettura del testo della recente consultazione, parrebbe intenzione della Commissione Europea di prevedere una sorta di portabilità del profilo e dell’asset allocation dei clienti tra i diversi intermediari. Si aprirebbe quindi la via per omogeneizzare la profilatura della clientela anche attraverso forme di standardizzazione dei questionari di profilatura.

Saranno di sicuro interesse gli esiti della consultazione per comprendere a pieno quali potrebbero essere le future evoluzioni delle valutazioni di adeguatezza e di appropriatezza, ovvero le principali architravi della disciplina MiFID ai fini del contenimento del rischio di mis-selling.

6. Conclusioni

Nei paragrafi precedenti è stato notato che il rischio di mis-selling è uno dei principali motivi per cui i risparmiatori retail preferiscono detenere le proprie disponibilità sotto forma liquida (generalmente nei propri conti correnti) o piuttosto investite in prodotti finanziari caratterizzati da basso rischio, in alternativa all’intramontabile investimento immobiliare.

Ciò, come discusso, comporta perdite generalizzate per tutti gli attori in campo, ovvero i risparmiatori (in termini di minori guadagni conseguibili), gli intermediari (in termini di mancate commissioni) e gli emittenti (in termini di maggiori costi che sostengono per reperire le risorse finanziarie di cui necessitano per porre in essere i propri investimenti produttivi). Naturale conseguenza è che l’economia, nel suo complesso, ne risenta negativamente in termini di minore produttività e competitività.

Proprio in ragione di tali motivazioni, il legislatore eurounitario da svariati anni sta ponendo in essere una serie di iniziative volte a creare una vera e propria Unione dei Mercati di Capitali a livello europeo. Numerose misure sono finalizzate a mitigare il rischio di mis-selling in cui incorre il risparmiatore retail, con l’obiettivo ultimo di agevolare l’afflusso dei risparmi privati nell’economia reale.

In tale ambito, il sistema MiFID riveste un ruolo fondamentale, in quanto prevede una serie di prescrizioni volte a contenere il rischio di mis-selling; tali prescrizioni, con specifico riferimento alle imprese di investimento, interessano le diverse fasi del processo produttivo e distributivo dei prodotti finanziari. Il pacchetto MiFID, infatti, disciplina, tra l’altro, la fase di genesi del prodotto da parte del manufactor, la fase di successiva distribuzione da parte del distributor, e, a partire dalla seconda versione, ove ne ricorrano le condizioni, prevede anche poteri in capo alle autorità di vigilanza finalizzati a limitare o vietare del tutto la distribuzione di specifici prodotti.

Nel corso della trattazione è stato più volte evidenziato che tanto c’è ancora da fare. L’Unione Europea è, come noto, composta da una pluralità di Stati Membri che differiscono tra loro per tanti aspetti tra cui la lingua, la cultura, la storia, l’approccio giuridico e, di conseguenza, anche il livello applicativo della normativa. Per tale motivo, uno dei principali limiti del sistema MiFID (sia nella prima che, più limitatamente, nella seconda versione) è rappresentato dalla difforme applicazione della normativa nei diversi Paesi. Ciò determina anche livelli non omogenei di tutela del risparmiatore retail e, per quanto rileva in questa sede, diversi livelli di attenuazione del rischio di mis-selling nei singoli Stati Membri, con tutte le conseguenze che ciò comporta.

Al fine di favorire una maggiore uniformità applicativa della disciplina eurounitaria, un ruolo fondamentale è svolto, a livello europeo, dall’ESMA e, a livello nazionale, dalle Autorità di Vigilanza nazionali competenti.

Nel corso degli ultimi anni, l’ESMA si è prodotta in un considerevole sforzo volto ad approfondire le modalità applicative delle misure cardine del sistema MiFID da parte delle Autorità di Vigilanza nazionali mediante mirate attività (tra cui alcune CSA che hanno dapprima interessato la valutazione di appropriatezza e il regime di execution only, poi la valutazione di adeguatezza e, più recentemente, la disciplina della product governance). Attraverso tali attività l’ESMA ha individuato difformità applicative, cui intende porre rimedio anche mediante l’aggiornamento di alcuni orientamenti.

L’attività posta in essere dall’ESMA mette chiaramente in luce che l’attenuazione del rischio di mis-selling a livello europeo richiede ancora ulteriori sforzi e che le misure cardine – ovvero le tradizionali valutazioni di appropriatezza ed adeguatezza, unitariamente alla più recente disciplina della product governance – necessitano di una revisione per poter conseguire al meglio le finalità per le quali sono state introdotte.

Di certo, quanto rilevato dall’ESMA sarà utile ai fini della futura revisione del sistema MiFID, una revisione che dovrà necessariamente considerare che il contesto attuale è in costante mutazione ed evoluzione.

E’ da condividere la posizione di chi sostiene che la riorganizzazione delle regole della seconda versione della MiFID dovrebbe tendere a individuare il giusto equilibrio tra gli interessi contrastanti delle banche e dei clienti, ovvero favorire da un lato la tutela dei clienti retail e, prevedere, dall’altro, misure che non determinino costi eccessivi per le imprese di investimento[102].

Per favorire la massima partecipazione dei risparmiatori retail al finanziamento dei progetti imprenditoriali, occorrerà individuare soluzioni adeguate ad una realtà sempre più digitale, caratterizzata da repentini cambiamenti ambientali e climatici, minata da venti di guerra e da una pandemia tuttora non conclusa. In tal senso, come notato, assume particolare rilievo la retail investment strategy della Commissione Europea.

In parallelo a tali misure, al fine di prevenire sul nascere i fenomeni di mis-selling, è fondamentale che le Istituzioni nazionali ed europee nei prossimi anni continuino a investire per favorire l’alfabetizzazione finanziaria dei cittadini, e, quindi, per incentivare i risparmiatori ad assumere un ruolo maggiormente attivo nell’interazione con le imprese di investimento[103].

Sarà poi necessario che le inarrestabili rivoluzioni tecnologiche (quali, a titolo di esempio, quelle rappresentate da crypto-valute e crypto-asset, intelligenza artificiale, metaversi) siano efficacemente disciplinate al fine di rappresentare in ambito europeo una vera opportunità per favorire l’incontro tra le contrapposte esigenze dei risparmiatori retail, in cerca di rendimenti, e le imprese, alla ricerca di risorse finanziari a costi contenuti.

In tal senso, le evoluzioni della disciplina MiFID, oltre ad integrarsi con le altre normative attualmente in gestazione o revisione in ambito europeo, dovranno far sì che i presidi attuali volti al contrasto ai fenomeni di mis-selling siano aggiornati e semplificati. In tal modo, i risparmiatori retail usufruendo di un miglior livello di tutela, saranno incentivati ad una maggiore partecipazione al mercato dei capitali.

E’, questo, un aspetto chiave per accrescere la competitività del sistema finanziario e dell’economia europea, nell’interesse di tutti, cittadini e imprese.

 

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[*]  Le idee e le opinioni espresse in questo articolo sono da attribuire unicamente all’autore e non coinvolgono l’istituzione di appartenenza (Consob).

[1] Franke G., Mosk T. e Schnebel E., Fair Retail Banking: How to Prevent Mis-selling by Banks, White Paper No. 39 SAFE: Sustainable Architecture for Finance in Europe Konstanzer Online-Publikations-System (KOPS), Goethe University, 2016, reperibile all’indirizzo http://nbn-resolving.de/urn:nbn:de:bsz:352-0-424172, pag. 4.

[2] CONSOB, Rapporto sulle scelte di investimento delle famiglie italiane, 2021, pag. 10.

[3] Ivi, pag. 89.

[4] Uno degli obiettivi della CMU è proprio incentivare gli investitori retail alla maggiore partecipazione ai mercati dei capitali, attraverso una serie di misure volte ad incrementarne il livello di fiducia. Si veda al riguardo il libro verde della Commissione Europea sulla Capital Market Union, 2015, pag. 21.

[5] Per maggiori dettagli, si veda https://ec.europa.eu/info/consultations/finance-2022-suitability-appropriateness-assessments_en.

[6] Per ulteriori dettagli, si veda https://www.dt.mef.gov.it/it/dipartimento/consultazioni_pubbliche/consultazione_libro_verde.html.

[7] Come sarà meglio chiarito nel corso della trattazione, la disciplina MiFID è centrale in tale progetto, dato che la tutela del risparmiatore, perseguita anche attraverso una serie di misure volte al contenimento del rischio di mis-selling, è fondamentale per favorire l’incontro tra le contrapposte esigenze delle unità in deficit (ovvero le imprese) e delle unità in surplus (i risparmiatori) di risorse finanziarie. Per ulteriori dettagli si veda il libro verde della Commissione Europea sulla Capital Market Union, 2015, pag. 21.

[8] Per maggiori dettagli si veda Consob, op. cit., pag. 38 e ss..

[9] Martysz C. B. e Rakowski J. P., Misselling consumer awareness study – Circumstances surrounding the occurence of misselling, https://doi.org/10.2478/ijme-2021-0007, International Journal of Management and Economics, vol. 57, issue 2, 121-137, 2021, pag. 123.

[10] Ivi, pag. 126.

[11] Ivi, pag. 123.

[12] Franke G., Mosk T. e Schnebel E., op. cit., p. 4.

[13] Franke G., Mosk T. e Schnebel E., op. cit., pag. 4.

[14] Martysz C. B. e Rakowski J. P., op. cit., pag. 124.

[15] Franke G., Mosk T. e Schnebel E., op. cit., p. 5.

[16] Tale considerazione sarebbe alla base dell’introduzione nella disciplina MiFID II dell’obbligo di rappresentazione dei costi. Si veda Anagol, S., Cole, S., S. Sarkar (2013): Understanding the Advice of Commissions-Motivated Agents: Evidence from the Indian Life Insurance Market, Harvard Business School, Working Paper 12-055, pag. 31.

[17] Fecht, F., A. Hackethal, Y. Karabulut (2013): Is proprietary trading detrimental to retail investors? Discussion paper, Deutsche Bundesbank No 42/2013, pag. 21.

[18] Franke G., Mosk T. e Schnebel E., op. cit., p. 6.

[19] Carlin, B. e G. Manso, Obfuscation, Learning, and the Evolution of Investor Sophistication, Review of Financial Studies 24, 754-785, 2011, pag. 25 e 26.

[20] Franke G., Mosk T. e Schnebel E., op. cit., p. 6.

[21] Bolton, P., X. Freixas, J. Shapiro, Conflicts of interest, information provision and competition in the financial services industry, Journal of Financial Economics 85, 297-331, 2007,pag. 317.

[22] Ciò tipicamente si verifica nel caso di pressioni sulla tempistiche della vendita diretta, ad esempio sollecitando la firma della documentazione, o online, come nel caso di conto alla rovescia dell’orologio fino alla fine della promozione. Martysz C. B. e Rakowski J. P., op. cit., pag. 125.

[23] Inderst, R. and M. Ottaviani, 2009: (Mis)selling through Agents, American Economic Review 99(3), 883-908, pag. 902.

[24] Ibidem.

[25] Ibidem.

[26] Ibidem.

[27] Franke G., Mosk T. e Schnebel E., op. cit., pag. 4.

[28] Ivi, pag. 7.

[29] Il pacchetto è composto da una pluralità di fonti, tra cui spiccano la Direttiva 2014/65/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014 (di seguito anche “Direttiva MiFID II”) ed il Regolamento (UE) n. 600/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014. Al riguardo, una disamina approfondita è offerta da Franke G., Mosk T. e Schnebel E., op. cit., pag. 7.

[30] Il considerando 4 della Direttiva 2014/65/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014 (anche “MiFID II”) prevede sul punto che “l’evoluzione dei mercati finanziari ha evidenziato la necessità di rafforzare il quadro per la regolamentazione dei mercati degli strumenti finanziari … al fine di aumentare la trasparenza, tutelare meglio gli investitori, rafforzare la fiducia”. Per una disamina maggiormente dettagliata del tema si veda D. BUSCH, “Stricter conduct of business rules for investment firm” e ss., reperibile all’indirizzo http://www.papers.ssrn.com, 2017, pag. 1.

[31] Clienti professionali e Controparti qualificate si caratterizzano per gli elevati requisiti di esperienza richiesti per poter essere classificati in tali categorie. Si veda Busch D., op. cit., pag. 7 e ss..

[32] Al fine di limitare i margini di discrezionalità interpretativa dell’intermediario, la classificazione prevede dei parametri oggettivi e non avviene più mediante semplice autocertificazione del cliente. A tal proposito, R. Motroni, in “La classificazione della clientela nella normativa dei mercati degli strumenti finanziari”, GIURETA, Rivista di Diritto dell’Economia, dei Trasporti e dell’Ambiente, Vol. XIII, 2015, pag. 438, sostiene che “l’obbligo di classificazione della clientela ha creato [ … ] un sistema di «ascensori» che consente al cliente di scegliere – mediante una semplice manifestazione di volontà (informata) – la propria categoria di riferimento iniziale e di modificarla anche in costanza di rapporto passando da una più tutelata a un’altra meno tutelata e viceversa. In tale ipotesi diviene rilevante anche la volontà dell’intermediario, il quale è tenuto a prendere tutte le misure ragionevoli possibili per accertarsi che il cliente (retail), che chiede di essere considerato «professionale», abbia tutti i requisiti richiesti dalla MiFID 2 e a prestare il proprio assenso per iscritto a tale variazione”.

[33] Franke G., Mosk T. e Schnebel E., op. cit., pag. 7.

[34] In tal senso, la Direttiva MiFID II obbliga le imprese di investimento a soddisfare i requisiti di informazione sui prodotti e sui relativi costi (24.4 e 24.5) ed a informare il cliente in ordine alla natura ed alle fonti dei conflitti di interesse (art. 23.2 e 23.3), a tutte le spese e commissioni connesse (24.9), ai costi ed ai rischi nel caso di commercializzazione di pacchetti di prodotti finanziari (24.11) e, infine, alla politica di esecuzione (27.5). Franke G., Mosk T. e Schnebel E., op. cit., p. 9.

[35] Si veda Commissione Europea, op. cit., pag. 21 e Franke G., Mosk T. e Schnebel E., op. cit., p. 9.

[36] Franke G., Mosk T. e Schnebel E., op. cit., p. 9.

[37] Ivi, p. 7.

[38] Ad esempio, i consulenti dovrebbero disporre delle conoscenze e competenze necessarie per adempiere ai loro obblighi (art. 25.1), dovrebbero ottenere informazioni sulla conoscenza, l’esperienza e gli obiettivi di investimento del cliente (art. 25.2), avvertire i clienti dei potenziali rischi (art. 24.4 e 24.5) e riferire ai clienti sull’adeguatezza e l’appropriatezza dei prodotti finanziari commercializzati (art. 25.6).

[39] Franke G., Mosk T. e Schnebel E., op. cit., p. 8.

[40] L’articolo 24.10 difatti dispone che “l’impresa di investimento che fornisce servizi di investimento ai clienti evita di remunerare o valutare le prestazioni del proprio personale secondo modalità incompatibili con il suo dovere di agire nel migliore interesse dei clienti. In particolare non adotta disposizioni in materia di remunerazione, target di vendita o d’altro tipo che potrebbero incentivare il personale a raccomandare ai clienti al dettaglio un particolare strumento finanziario, se l’impresa di investimento può offrire uno strumento differente, più adatto alle esigenze del cliente”.

[41] La Direttiva MiFID II disciplina tali obblighi agli art. 24.7 e 24.8.

[42] Artt. 54-55 del Regolamento delegato UE n. 2017/565 della Commissione del 25 aprile 2016.

[43] Per una disamina più approfondita sul punto si veda Annunziata F., la disciplina del mercato mobiliare, Giapicchelli, edizione XI, 2021, pp. 158 e ss. e Annunziata F., Il recepimento di MiFID II: uno sguardo di insieme tra continuità e discontinuità, Rivista delle Società, fasc. 4, 1 AGOSTO 2018, pag. 1115.

[44] Si veda Annunziata F., la disciplina del mercato mobiliare, 2021, op. cit., pag. 160.

[45] Si veda ESMA, “Orientamenti su alcuni aspetti dei requisiti di adeguatezza della MiFID II”, 35-43-1163, 6 novembre 2018, par. 6.

[46] Si esprime in tal senso Rabitti M., “Prodotti finanziari tra regole di condotta e di organizzazione. I limiti di MiFID II”, Rivista di diritto bancario – supplemento fascicolo I, 2020, Trento, pag. 155.

[47] Tali previsioni si rinvengono nell’art. 25 della Direttiva MiFID II”. Per una disamina più dettagliata delle innovazioni introdotte dalla seconda versione della MiFID, si veda Annunziata F., 2018, op. cit., pag. 1115.

[48] Si veda Consob, op. cit., pag. 38.

[49] In merito, la MIFID II ha peraltro introdotto all’art. 25 la “dichiarazione di adeguatezza”, in cui sono sintetizzate le informazioni circa la consulenza prestata e le ragioni per cui essa corrisponda alle caratteristiche del cliente; in caso di controversia con l’intermediario tale dichiarazione può anche assumere un rilievo determinante sul piano probatorio. Si veda sul punto anche Rabitti M., op. cit., pag. 156.

[50] Martysz C. B. e Rakowski J. P., op. cit., pag. 123.

[51] Le previsioni relative agli obblighi informativi si rinvengono nell’art. 24 della Direttiva MiFID II.

[52] Tali tematiche, sono state peraltro affrontate dall’ESMA in alcuni orientamenti del 2016 (Orientamenti sulla valutazione delle conoscenze e competenze, ESMA/2015/1886 reperibile all’indirizzo https://www.esma.europa.eu/sites/default/files/library/2015-1886_it.pdf), e del 2018 (Orientamenti su alcuni aspetti dei requisiti di adeguatezza della MiFID II, del 06/11/2018, ESMA35-43-1163 reperibile all’indirizzo http://www.consob.it/documents/46180/46181/es ma35_43_1163.pdf/0594badd-e955-4338-9b41- b3104da0fbf2).

[53] Nel seconda versione della MiFID, particolare rilevo è assunto dalle informazioni precontrattuali, con l’obiettivo di favorire decisioni consapervoli da parte dei clienti. Alcuni autori sostengono che tali previsioni innalzano il livello di tutela della clientela, quanto meno per la quantità di informazione offerta. Si esprime in tal senso Rabitti M., op. cit., pp. 154 e ss..

[54] Sul punto Della Negra F., I rimedi per la violazione di regole di condotta MIFID II: una riflessione di diritto UE, Banca Borsa Titoli di Credito, fasc. 5, 1 ottobre 2020, pag. 716, sostiene che “sotto il profilo civilistico, la distinzione che appare centrale nel modello regolatorio della MiFID II (e prima ancora della MiFID I) è quella tra regola di adeguatezza, la cui violazione è sanzionata dal divieto per l’intermediario di raccomandare strumenti o servizi inadeguati, e le altre regole di condotta (obblighi informativi, obbligo di appropriatezza, obblighi organizzativi, obblighi di product governance), rispetto alle quali la MiFID II prevede soltanto conseguenze sul piano ‘pubblicistico’ (misure di vigilanza o sanzionatorie)”.

[55] Così Rabitti M., op. cit., pag. 157.

[56] Al riguardo, ESMA in “Questions and Answer on MiFID II and MiFIR investor protection and intermediaries topics”, 18 febbraio 2020 – 35-42-349 -, Answer 3, chiarisce che, dall’entrata in vigore di BRRD2 (e, in particolare, dell’art. 44 c. 1 della Direttiva UE 2019/879 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 20 maggio 2019), la valutazione di adeguatezza va condotta, indipendentemente dal tipo di servizio prestato, anche al di fuori dal self placement. Sul tema si veda anche Sciarrone Alibrandi A. e Malvagna U., “Self-placement di titoli bancari tra vincoli patrimoniali e tutela dell’investitore”, in Banca borsa e titoli di credito, 2019, I, pag.153.

[57] Diversi articoli della Direttiva MiFID II affrontano il tema. Secondo la direttiva, le imprese di investimento sono tenute a mantenere, gestire e rivedere il processo di approvazione di ogni prodotto finanziario. Il processo di approvazione del prodotto dovrebbe specificare un mercato target di clienti finali e garantire che tutti i rischi rilevanti per il mercato target identificato siano valutati. Inoltre, un’impresa di investimento dovrebbe rivedere regolarmente gli strumenti finanziari che offre (art. 16.3). Le imprese di investimento devono garantire che i prodotti finanziari siano progettati per soddisfare le esigenze di un mercato target identificato di clienti finali (art. 24.2) e fornire informazioni in una forma comprensibile e standardizzata (art. 24.5). La Direttiva MiFID II richiede inoltre che le imprese di investimento riferiscano periodicamente ai clienti su come la loro consulenza soddisfi le preferenze, gli obiettivi e altre caratteristiche del cliente (art. 25.6). I requisiti per l’approvazione di nuovi prodotti e le regole di reporting sull’adeguatezza prevedono dunque dei limiti alle imprese di investimento nello sviluppo di prodotti troppo complessi. Si veda sul punto Perrone A., “Servizi di investimento e tutela dell’investitore”, Banca Borsa Titoli di Credito, Giuffrè Francis Lefebrve, 2019, I, pag. 6-9.

[58] Una disamina dettagliata della tematica è offerta da Busch D., “Product Governance and Product Intervention under MiFID II/MiFIR”, in Busch D. e Ferrarini G., “Regulation of the EU Financial Markets. MiFID II and MiFIR”, Oxford University Press , 2016, pag. 253 e ss..

[59] Si veda Annunziata F., 2018, op. cit., pag. 1115.

A tal riguardo, nel documento del 2013 da parte delle tre ESA (EBA-ESMA-EIOPA, reperibile all’indirizzo internet https://www.eba.europa.eu/sites/default/documents/files/documents/10180/15736/57274c46-0be0-4db2-ad32congiunto) sono riportate in appendice l’elencazione dei più evidenti casi di mis-selling di prodotti finanziari emersi nel contesto della crisi finanziaria a livello europeo. All’epoca della redazione del documento, per la realtà italiana fu identificato come emblematico il caso degli strumenti derivati (si veda pag. 6).

Successivamente, nel contesto delle note crisi bancarie, è emerso il caso delle obbligazioni bancarie, in particolare subordinate; per una disamina più dettagliata del tema dell’’autocollocamento degli strumenti finanziari si veda Sciarrone Alibrandi A. e Malvagna U., op. cit., pag. 153 e ss..

[60] A tal proposito, il considerando n. 15 della Direttiva delegata MiFID II (Direttiva Delegata (UE) 2017/593 della Commissione Europea del 7 aprile 2016), prevede che “al fine di evitare e ridurre sin dall’inizio potenziali rischi di mancato rispetto delle regole di protezione degli investitori, le imprese di investimento che producono e distribuiscono strumenti finanziari dovrebbero adempiere agli obblighi di governance dei prodotti”.

[61] Si veda artt. 24 e 25 MIFID II e Rabitti M., op. cit., pag. 157.

[62] Il loro esercizio è comunque subordinato alla ricorrenza dei motivi di cui all’art. 42, paragrafo 2, Regolamento (UE) n. 600/2014. Una disamina dettagliata della tematica è offerta da Busch D., 2016, op. cit., pag. 266 e ss.. Un interessante contributo è anche offerto da Annunziata F., 2018, op. cit., pp. 1116 e ss. e Annunziata F., 2021, op. cit., pp. 168 e ss..

[63] In proposito, anche il menzionato libro verde del MEF, sottolinea che “il buon funzionamento di un’economia di mercato non dipende solo dall’adeguatezza del quadro regolamentare. Accanto a norme chiare e di qualità è altrettanto essenziale che i mercati finanziari possano beneficiare di un sistema giudiziario e di enforcement amministrativo che sia efficiente ed efficace”. Si veda in proposito il testo del libro verde disponibile all’indirizzo https://www.dt.mef.gov.it/it/dipartimento/consultazioni_pubbliche/consultazione_libro_verde.html, pag. 21.

[64] Una disamina approfondita del tema è offerta da Comana M. et al., “The MiFID II Framework”, Springer Nature Switzerland AG, 2019 (https://doi.org/10.1007/978-3-030-12504-2_7) e da Wallinga M., EU Investor Protection Regulation and Liability for Investment Losses, Studies in European Economic Law and Regulation, 2020.

[65] Ed è proprio la fiducia, difatti, il prerequisito necessario affinché il mercato funzioni correttamente, creando le idonee condizioni affinchè le unità in surplus, ovvero i risparmiatori, mettano a disposizione le proprie disponibilità finanziarie a favore delle unità in deficit, ovvero gli emittenti dei prodotti finanziari.

[66] Per approfondimenti sul tema, si veda M. Wallinga, op. cit., pag. 176.

La Corte di Giustizia Europea in alcune recenti sentenze ha peraltro contribuito ad incrementare il livello di complessità, in quanto sembrerebbe aver messo in discussione la natura e la portata della soft law comunitaria e il ruolo dei regolatori nazionali ed europei. Si veda la sentenza della Corte di Giustizia Europea del 15 luglio 2021 relativa alla causa 911/19 – Fédération Bancaire Française v. Autorité de contrôle prudentiel et de résolution. Un interessante contributo in merito è offerto da Annunziata F., The Remains of the Day: EU Financial Agencies, Soft Law and the Relics of Meroni (November 19, 2021), European Banking Institute Working Paper Series 2021 – n. 106, 2021, pag. 4 e ss..

[67] In proposito, la MiFID II ha ridotto rispetto al sistema previgente l’ambito di applicazione dell’execution only, regime in cui non è prevista valutazione di congruità del prodotto finanziario al profilo del cliente. Per ulteriori dettagli, si veda https://www.esma.europa.eu/press-news/esma-news/esma-launches-common-supervisory-action-ncas-MiFID-ii-appropriateness-rules.

[68] Per ulteriori dettagli, si veda https://www.esma.europa.eu/press-news/esma-news/esma-consults-appropriateness-and-execution-only-under-MiFID-ii.

[69] Le linee guida hanno la finalità di promuovere la convergenza nell’applicazione e, oltre a coprire diversi aspetti del processo, chiariscono alcuni requisiti correlati.

[70] Per ulteriori dettagli, si veda https://www.esma.europa.eu/press-news/esma-news/esma-publishes-guidance-appropriateness-and-execution-only-requirements-under.

[71] In tale occasione l’ESMA ha tra le altre cose puntualizzato che è fondamentale che le Autorità nazionali competenti pongano in essere un’attività di vigilanza che conduca a risultati omogenei nei diversi Paesi europei. Si veda ESMA 42-111- 4653, 2018, Follow-up Report to the Peer Review on MiFID Suitability Requirements, pag. 5.

[72] Per ulteriori dettagli si veda ESMA, 35-43-2748, Results of the 2020 Common Supervisory Action (CSA) on MiFID II suitability requirements, 2021, pag. 4 e 5.

[73] Sono state evidenziate in particolare carenze e aree di miglioramento per alcuni nuovi requisiti della MiFID II, quali l’obbligo di considerare i costi e i benefici degli swtich, il costo e la complessità dei prodotti equivalenti ed i report di adeguatezza. ESMA 35-43-2748, pag. 2.

[74] L’ESMA prevede di concludere la consultazione nel corso del 2° trimestre 2022; la relazione finale e le linee guida definitive dovrebbero invece essere pubblicate nel 3° trimestre 2022. ESMA, 35-43-2998, Consultation Paper on Guidelines on certain aspects of the MiFID II suitability requirements, pubblicato nel gennaio 2022, pag. 5 e 14, reperibile all’indirizzo https://www.esma.europa.eu/press-news/esma-news/esma-consults-review-MiFID-ii-suitability-guidelines.

[75] ESMA, Consultation Paper on Guidelines on certain aspects of the MiFID II suitability requirements, pubblicato nel gennaio del 2022, pag. 19 e 20, reperibile all’indirizzo https://www.esma.europa.eu/press-news/esma-news/esma-consults-review-MiFID-ii-suitability-guidelines.

[76] In particolare, non risulta chiaro dalla lettura del testo se sussista o meno una preminenza gerarchica tra la valutazione di adeguatezza e la valutazione di sostenibilità. Ai sensi dell’orientamento di supporto n. 79, è previsto che si svolga prioritariamenre il test di adeguatezza; solo successivamente, tra i titoli risultati adeguati, andrebbero individuati quelli maggiormente aderenti alle preferenze espresse in materia di sostenibilità da parte dell’investitore. Il sustainability assessment sarebbe dunque una valutazione separata, ancorché formalmente ricondotta alla valutazione di adeguatezza e, comunque, subordinata al buon esito di quest’ultima. Al riguardo, una più puntuale ricostruzione è offerta da Abate D. D. e Bonardi F., L’introduzione del sustainability assessment nella valutazione di adeguatezza: la consultazione dell’ESMA, Diritto bancario, 2022, reperibile all’indirizzo https://www.dirittobancario.it/art/lintroduzione-del-sustainability-assessment-nella-valutazione-di-adeguatezza-la-consultazione-dellesma/#.

[77] Alcuni suggeriscono che eventuali stalli potrebbero eventualmente essere superati consentendo al cliente, per ciascuna raccomandazione, di modificare le preferenze espresse in tema di sostenibilità, riportando tale evenienza nella dichiarazione di adeguatezza resa dall’intermediario al cliente in riferimento a ciascuna raccomandazione fornita. Tuttavia, a tale modalità operativa si potrebbe ricorrere solo eccezionalmente. Si veda Abate D. D. e Bonardi F., op. cit..

[78] Abate D. D. e Bonardi F., op. cit..

[79] ESMA 35-43-620, Orientamenti sugli obblighi di governance dei prodotti ai sensi della MiFID II del 05/02/2018.

[80] ESMA35-43-349, Questito 16 delle Questions and Answers On MiFID II and MiFIR investor protection and intermediaries topics, aggiornato in ultimo il 19 November 2021.

[81] Per ulteriori dettagli si rimanda alle informazioni fornite dall’Esma all’indirizzo https://www.esma.europa.eu/press-news/esma-news/esma-launches-common-supervisory-action-ncas-MiFID-ii-product-governance-rules.

[82] Si esprimono in tal senso Franke G., Mosk T. e Schnebel E., op. cit., pag. 9.

[83] In particolare, come notato nei paragrafi precedenti, i requisiti imposti dagli artt. 23 e 24 relativi alla documentazione ed alla divulgazione incrementano notevolmente i costi che le imprese di investimento sono tenuti a sostenere.

[84] Franke G., Mosk T. e Schnebel E., op. cit., pag. 10.

[85] La riduzione degli introiti è diretta conseguenza del divieto di addebitare commissioni connesse alla transazione, che, a sua volta, comporta che le imprese di investimento dovrebbero far pagare ai clienti una specifica commissione per la consulenza erogata. L’esperienza del Regno Unito è chiarificatrice sul punto, in quanto mostra che una regolamentazione che non valuti adeguatamente le esigenze dei diversi attori di mercato, può potenzialmente condurre all’esclusione della fascia di clientela retail caratterizzata da bassa marginalità nella consulenza personalizzata e, per tale via, può paradossalmente addirittura favorire fenomeni di mis-selling. La Retail Distribution Review, in vigore dal 2013, vieta difatti la consulenza basata sulle commissioni. Tuttavia è stato riscontrato che, a seguito dell’entrata in vigore di tale disciplina, le banche tendono ad offrire una limitata consulenza personale ai clienti al dettaglio con un patrimonio ridotto e, piuttosto, indirizzano a tale fascia di clientela specifiche campagne commerciali aventi ad oggetto prodotti standardizzati; la consulenza aggiuntiva è offerta invece via web. Si veda per ulteriori dettagli Franke G., Mosk T. e Schnebel E., op. cit., pag. 9.

[86] Ivi, pag. 10.

[87] Come notato in precedenza, le imprese di investimento sono fisologicamente caratterizzate da un livello di conoscenze finanziarie più sofisticato rispetto a quello dei clienti. Ivi, pag. 25.

[88] Ivi, pag. 10.

[89] Ibidem.

[90] Ibidem.

[91] Paul S., Schröder, N. e Schumacher S., MiFID II/MiFIR/PRIIPs Regulation Impact Study: Effectiveness and Efficiency of New Regulations in the Context of Investor and Consumer Protection, 2019, pag. 1. L’analisi si è concentrata sul rapporto tra costi e benefici, ovvero se gli oneri derivanti dalla nuova regolamentazione siano compensati in misura sufficiente dai maggiori benefici. Gli autori hanno seguito un approccio di ricerca qualitativo/empirico, basato su un questionario somministrato ad un campione di 153 banche e 2.852 clienti.

[92] Ibidem.

[93] Ivi, pag. 25.

[94] Ibidem.

[95] Ivi, pag. 1.

[96] Ivi, pag. 25.

[97] Ibidem.

[98] Ivi, pag. 25.

[99] Con tale strategia la Commissione intende porre in essere una serie di azioni volte a far sì che l’Unione divenga un luogo ancora più sicuro per gli individui per risparmiare e investire a lungo termine, con l’obiettivo ultimo di incrementare la partecipazione degli investitori al dettaglio ai mercati dei capitali. Per maggiori dettagli, si veda https://ec.europa.eu/info/consultations/finance-2022-suitability-appropriateness-assessments_en.

[100] Il report di tale consultazione è disponibile all’indirizzo https://ec.europa.eu/info/law/better-regulation/have-your-say/initiatives/12755-Retail-Investment-Strategy/public-consultation_en.

[101] Per maggiori dettagli, si veda https://ec.europa.eu/info/consultations/finance-2022-suitability-appropriateness-assessments_en.

[102] Franke G., Mosk T. e Schnebel E., op. cit., pag. 25.

[103] Ivi, pag. 26.

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