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Giurisprudenza

Risoluzione del concordato preventivo: il garante è litisconsorte necessario

27 Gennaio 2020

Francesca Gaveglio, dottoressa di ricerca in diritto d’impresa presso l’Università Bocconi e avvocato presso Fivelex Studio Legale

Cassazione Civile, Sez. I, 30 settembre 2019, n. 24441 – Pres. Didone, Rel. Terrusi

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Nella sentenza in esame la Cassazione ha affrontato la questione se i garanti del concordato preventivo siano da ritenersi litisconsorti necessari nel procedimento di risoluzione dello stesso e conseguente dichiarazione di fallimento.

L’art. 186 l.f. richiama, per quanto compatibile, l’art. 137 l.f., il quale – nell’attuale formulazione, successiva alle modifiche apportate con il decreto correttivo n. 169 del 2007 – stabilisce che al procedimento per la risoluzione del concordato «è chiamato a partecipare anche l’eventuale garante».

La Suprema Corte ha anzitutto dato conto dell’orientamento formatosi anteriormente al decreto correttivo, che escludeva che il terzo garante – avendo diritto di opporsi alla pronuncia di risoluzione quale soggetto interessato ai sensi degli artt. 18 e 186 l.f., e di essere perciò previamente sentito a norma dell’art. 137 l.f. – potesse considerarsi parte (in senso formale) del procedimento volto alla dichiarazione di fallimento a seguito della pronuncia di risoluzione del concordato preventivo, evidenziando «come gli effetti della sentenza dichiarativa di fallimento fossero, nei confronti del fideiussore, diversi da quelli prodotti nei confronti dell’imprenditore in stato di insolvenza, consistendo giustappunto nel rendere permanente la garanzia offerta per l’ammissione alla procedura di concordato». Il predetto orientamento faceva leva sulla formulazione del precetto normativo, che si limitava ad onerare il tribunale della semplice convocazione dei fideiussori, al fine di assicurare la loro possibile comparizione e consentire loro l’esercizio del diritto di difesa, senza implicare l’acquisto, da parte di costoro, della qualità di parte necessaria del procedimento.

Per contro – ritiene la Cassazione – l’attuale formulazione dell’art. 137 l.f. «concretizza l’esercizio di un dovere di chiamata in giudizio … funzionale a consentire al soggetto di diventare parte (vera e propria) del giudizio»: la modifica del testo della norma apportata dal decreto correttivo, pertanto, non è «solo lessicale, essendo sintomatica invece della scelta del legislatore di rafforzare le guarentigie del garante, predisponendo la necessaria partecipazione al procedimento».

Ai fini della predetta interpretazione, è decisivo – ancor prima che il criterio logico, in ragione del fatto che i garanti subiscono gli effetti della decisione di risoluzione, rimanendo comunque tenuti a eseguire la prestazione nei confronti dei creditori concordatari – il criterio letterale, atteso che è lo stesso legislatore ad aver annoverato i garanti tra le parti necessarie del procedimento di risoluzione, avendo impiegato una formulazione dell’art. 137 l.f. «identica a quella di altre previsioni identificative – nell’ordinamento – di fattispecie litisconsortili» (e.g. art. 144 del codice delle assicurazioni private, che prevede un’ipotesi di litisconsorzio necessario processuale tra assicuratore e responsabile del danno). E’, pertanto, la stessa lettera della legge a rendere incontestabile che «il decreto correttivo del 2007 abbia inteso trasporre l’applicazione dell’istituto del litisconsorzio necessario al procedimento de quo, coinvolgendo in questo, oltre al debitore, anche i garanti».

La Suprema Corte ha quindi enunciato il seguente principio di diritto: «in tema di risoluzione e annullamento del concordato preventivo, l’attuale testo della L. Fall., art. 137, cui rinvia l’art. 186 stessa legge, postulando che al procedimento sia chiamato a partecipare anche l’eventuale garante, include il garante accanto al debitore tra i soggetti del processo, così da concretizzare una fattispecie di litisconsorzio necessario processuale».

 

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