La Corte di Cassazione ha ritenuto infondate le censure mosse nei confronti della sentenza della Corte d’Appello di Bari nella parte in cui individuava un obbligo in capo alla società debitrice in concordato preventivo di attivarsi, in caso di inerzia dell’organo della procedura deputato alla dismissione del cespite e a prescindere dall’avvenuta nomina di un commissario liquidatore, per perfezionare il trasferimento di un terreno previsto nel contesto della proposta di concordato preventivo con cessione dei beni, pena la risoluzione dello stesso concordato preventivo ex art. 186 l.fall..
Ad avviso della Suprema Corte, infatti, anche a seguito delle modifiche apportate dal d.lgs. 169/2007 all’art. 186 l.fall., resta attuale il principio per cui il concordato preventivo con cessione dei beni – salva espressa previsione di totale ed immediata liberazione del debitore – debba essere risolto ove emerga che esso sia venuto meno alla sua naturale funzione.
Nonostante la vigente formulazione abbia inteso uniformare la disciplina in materia con quella prevista in tema di concordato fallimentare, rendendo così applicabili, in coerenza con l’accentuata natura privatistica del concordato preventivo, i principi generali in materia di inadempimento contrattuale, la natura del concordato preventivo impedisce una traslazione integrale in seno alla procedura concordataria delle categorie proprie dell’inadempimento contrattuale.
Ricorda, infatti, la Corte di Cassazione che il concordato preventivo non è qualificabile come contratto a prestazioni corrispettive, trattandosi, invece, di un istituto caratterizzato da una natura negoziale contemperata da una disciplina che persegue interessi pubblicistici. Pertanto, la non imputabilità dell’inadempimento non rileva ai fini della risoluzione del concordato preventivo poiché l’art. 186 l. fall. intende valorizzare il mancato avveramento secondo una logica diversa da quella di cui all’art. 1218 c.c., che individua nell’inadempimento una fonte di responsabilità a carico della parte inadempiente.
Risulta, viceversa, necessario verificare la prospettiva oggettiva dell’impossibilità di soddisfare i creditori nella misura proposta valorizzando l’inadempimento nella sua dimensione e consistenza, piuttosto che l’aspetto soggettivo dell’ascrivibilità di un simile infruttuoso risultato al debitore e dei profili di colpa a questi imputabili.
In conclusione, secondo la Corte di legittimità, ad assumere primaria rilevanza per la risoluzione del concordato preventivo ex art. 186 l.fall. è, dunque, il mancato raggiungimento del risultato satisfattivo a cui il concordato preventivo era mirato, a prescindere dalle cause di un simile insuccesso.