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Attualità

Ritorno al timing europeo per il phase-in della riserva di conservazione del capitale

21 Settembre 2016

Margherita Gagliardi

Le nuove regole di supervisione finanziaria europea hanno definito un quadro giuridico omogeneo, nel cui ambito – per quanto qui rileva – l’Italia aveva esercitato una delle discrezionalità concesse dalla Direttiva 36/2013/UE (Capital Requirements Directive 4, CRD 4) e dal Regolamento UE n. 575/2013 (Capital Requirements Regulation, CRR).

É appena il caso di far presente che l’articolo 129 della CRD 4 dispone che “gli Stati membri impongono agli enti di detenere, in aggiunta al capitale primario di classe 1, detenuto per soddisfare i requisiti in materia di fondi propri imposti dall’articolo 92 del regolamento (UE) n. 575/2013, una riserva di conservazione del capitale costituita da capitale primario di classe 1 pari al 2,5 % dell’importo complessivo della loro esposizione al rischio […]” e che il successivo articolo 160 individua il periodo di introduzione graduale di tale buffer dal 1° gennaio 2016 al 31 dicembre 2018, stabilendone i relativi livelli [1] e specificando che “gli Stati membri possono imporre un periodo transitorio più breve e applicare quindi la riserva di conservazione del capitale a decorrere dal 31 dicembre 2013. [2]

Non a caso la precedente opzione della Banca d’Italia (che oggi s’abbandona) tentava di programmare una tempestiva politica di gestione dei fondi propri in grado di orientare l’industria bancaria italiana verso parametri prudenti, tali cioè da contenere l’espansione degli attivi sin dall’avvio del periodo transitorio previsto per l’entrata in vigore delle regole previste dall’accordo di Basilea 3.[3]

Da qui la scelta di un buffer (nella misura del 2,5%) che consentiva l’immediata applicazione dei criteri disciplinari e contabili preposti alla configurazione del patrimonio di vigilanza (o fondi propri); buffer ritenuto coerente con le contingenti esigenze degli enti creditizi e con le prospettive di evoluzione del sistema bancario.

Tuttavia, al presente, sono tali prospettive che sembrano aver destato l’interesse della Banca d’Italia per un diverso (più graduale) percorso regolamentare di avvicinamento a Basilea 3.[4]

Il documento in consultazione, infatti, propone una disciplina che – nel riferimento alle indicazioni del regolatore europeo – recupera nella sua interezza i tempi di transizione prefigurati dalla CRD 4 (e che – come detto – la Banca d’Italia aveva tentato di anticipare).

È quindi a fini di vigilanza che l’autorità di regolazione nazionale prende atto del ritardo con cui il mercato bancario sta rispondendo alle recenti indicazioni normative dettate dal Comitato di Basilea; mercato che non sembra aver anticipato l’applicazione dei più stringenti parametri di adeguatezza patrimoniale.

Ciò assume maggior rilievo se si tiene conto degli effetti che la richiesta di una eccessiva patrimonializzazione genera a livello macroeconomico (e quindi la significativa esigenza che una improvvisa limitazione operativa può decretare sulla sana e prudente gestione delle banche).

In altri termini, nel passaggio da Basilea 2 a Basilea 3, quel che é certo é la necessità di ridurre l’operatività qualora non si riescano a incrementare i fondi propri permanentemente destinati a sostenere l’attività bancaria; e, in tale contesto, l’incremento della riserva di conservazione del capitale ha un effetto restrittivo sull’offerta di credito (da parte degli intermediari vigilati).

Da qui, il peculiare rilievo della disciplina posta in consultazione dal documento della Banca d’Italia del 13 settembre, contenente “Modifiche alle disposizioni di vigilanza per le banche e per le SIM (in materia di) disciplina della riserva di conservazione del capitale”.

A tal proposito, peraltro, si fa presente che la Banca d’Italia, nel ricondurre la disciplina transitoria a quanto previsto in via ordinaria dalla CRD 4, ha esplicitamente significato che l’implementazione del Single Supervisory Mechanism (SSM) ha reso “preminente l’esigenza di minimizzare le differenze” rispetto ad ogni eventuale positivo effetto riveniente dalle “divergenze derivanti dall’esercizio delle discrezionalità nazionali”. A ciò si aggiunga la considerazione che la Banca Centrale Europea ha esercitato a livello europeo le discrezionalità esistenti nella CRD 4, nel CRR e nei connessi atti delegati (ovviamente direttamente applicabili solo alle banche sottoposte al suo diretto controllo).[5]

In definitiva, sembra che, nella ricerca di linee di avvicinamento tra i paesi dell’Unione Economica Monetaria, la Banca d’Italia torni indietro sui suoi passi al fine di allineare le condizioni di concorrenza tra le banche europee, rinunciando ad un parametro disciplinare (e a una tempistica di adozione dello stesso) che risultava preordinata a una rapida messa in sicurezza del capitale.[6]



[1] In particolare, la norma sul phasing-in dispone che per il periodo dal 1 gennaio 2016 al 31 dicembre 2016 la riserva di conservazione del capitale è composta di capitale primario di classe 1 pari allo 0,625 % dell’ammontare complessivo delle esposizioni ponderate per il rischio dell’ente; per il periodo dal 1 gennaio 2017 al 31 dicembre 2017 da capitale primario di classe 1 pari all’1,25 % dell’ammontare complessivo delle esposizioni ponderate per il rischio dell’ente; per il periodo dal 1 gennaio 2018 al 31 dicembre 2018 da capitale primario di classe 1 pari all’1,875 % dell’ammontare complessivo delle esposizioni ponderate per il rischio dell’ente. La norma stabilisce, inoltre, per gli enti l’obbligo di presentare un piano di conservazione del capitale e specifici limiti alle distribuzioni, come meglio specificato agli articoli 141 e 142 della medesima direttiva.

[2] Significativa al riguardo l’opzione del regolatore europeo che già nell’ambito della direttiva 86/635/CEE aveva proceduto ad una prima autonoma ricognizione disciplinare del regime di trasparenza dei conti annuali e consolidati della banche, cui corrispondeva l’attribuzione all’autorità di supervisione nazionale del compito di procedere alla definizione degli elementi essenziali per redigere il quadro di bilancio. Cfr. Lemma-Troisi, I bilanci bancari, in Aa. Vv., Manuale di diritto bancario e finanziario, a cura di Capriglione, Padova 2015, p. 428 ss.

[3] Cfr. Banca d’Italia, Bollettino di Vigilanza n. 12, dicembre 2013, nel quale al par. 4.1 l’Autorità chiarisce le modalità di implementazione per la riserva di conservazione del capitale.

[4] Nello specifico deve farsi riferimento ai dati pubblicati dalla Banca d’Italia nel Rapporto sulla stabilità finanziaria, 1/2016, p. 30 ss.

[5] Cfr. Guida della BCE sulle opzioni e sulle discrezionalità previste dal diritto dell’Unione, Marzo 2016.

[6] Cfr. Picozza, Il diritto pubblico dell’economia nell’integrazione europea, Roma 1996, p. 83 ss. per un’analisi del più generale problema della tutela della concorrenza nell’attuazione a livello nazionale delle norme di diritto europeo.


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