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Rivalutazione (e riallineamento) dei beni d’impresa. Focus sul settore immobiliare.

7 Aprile 2022

Enrico Pauletti, Partner, Di Tanno Associati

Di cosa si parla in questo articolo

Tra le norme emergenziali adottate per fronteggiare la crisi economica indotta dalla pandemia da Covid-19 hanno certamente assunto rilievo centrale quelle che hanno ammesso le possibilità per le imprese di rivalutare i beni aziendali nonché di riallinearne il valore fiscale a quello contabile a condizioni particolarmente vantaggiose sia in termini economici che di flessibilità delle scelte. La misura particolarmente contenuta dell’imposta sostitutiva necessaria per il riconoscimento fiscale dei maggiori valori (3% o addirittura 0% per alberghi e terme) e la possibilità di rivalutare/riallineare singoli “beni” e non necessariamente intere “categorie omogenee”, hanno reso particolarmente interessante l’opportunità, tanto da provocare una adesione massiccia da parte dei contribuenti.

Ciò ha riguardato, in particolare, il settore immobiliare che ha, così, colto l’occasione per rafforzare il patrimonio contabile e il relativo valore fiscale.

La vasta adesione all’opportunità nonché la specificità delle previsioni per i settori alberghiero e termale, tuttavia, hanno messo in luce peculiarità e difficoltà interpretative che i precedenti provvedimenti di rivalutazione non avevano fatto emergere, nonostante l’impianto normativo, fondato su un comune rinvio alle norme base della Legge n. 342/2000 e relativi decreti attuativi, sia rimasto sostanzialmente lo stesso.

Le problematiche emerse sono state affrontare dall’Agenzia delle entrate con la Circolare n. 6/E del 1° marzo 2022 e con talune risposte a interpello pubblicate il successivo 14 marzo, che hanno fornito importanti chiarimenti in merito alla disciplina della rivalutazione e del riallineamento recate in termini generali dall’art. 110 del D.L. n. 104/2020 convertito con modificazioni dalla legge n. 126/2020 (“Decreto Agosto”), nonché, per il solo settore alberghiero e termale, dall’art. 6-bis del D.L. n. 23/2020 convertito con modificazioni dalla legge n. 40/2020 (“Decreto Liquidità”).

Alcune delle posizioni espresse hanno modificato in modo sostanziale l’interpretazione in precedenza corrente tra i contribuenti, da un lato ampliando possibilità prima ritenute escluse dalla stessa prassi amministrativa (ancorché in fieri, essendo la bozza della circolare ancora “in consultazione”) e per altri versi limitando, con posizioni innovative, gli effetti di previsioni la cui applicazione meccanica avrebbe portato a un ampliamento degli effetti fiscali delle norme.

Due previsioni, in particolare, hanno rilevante impatto sulla fiscalità del mercato immobiliare. Le stesse meritano di essere commentate non solo per la loro notevole portata interpretativa, ma anche a causa delle incertezze che determinano rispetto alle modalità applicative che saranno necessarie per darvi attuazione alla luce dei comportamenti tenuti – in buona fede – dai contribuenti che si sono conformati al quadro interpretativo fino a quel punto consolidato. Ciò consegue, in particolare, al fatto che le istruzioni in questione sono state conosciute dai contribuenti quando il termine per emendare le originarie dichiarazioni, modificando le opzioni esercitate (possibile, in generale, fino al 28 febbraio), era ormai trascorso. Con l’effetto che le scelte operate in dichiarazione in virtù dell’interpretazione poi modificata necessitano ora di essere, per quanto possibile, corrette.

I chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate rilevanti per il mercato immobiliare – Il primo punto sul quale sono intervenuti chiarimenti innovativi (cfr. Circ. n. 6/E del 2022, parte II, § 1.1) riguarda il riconoscimento della possibilità per i proprietari degli immobili destinati alle attività alberghiere e terminali di fruire delle norme di rivalutazione/riallineamento “gratuiti” di cui all’art. 6-bis del Decreto Liquidità anche se non conducono direttamente l’attività alberghiera o termale, essendo questa esercitata dal locatario dell’immobile o dall’affittuario dell’azienda[1]. In linea di principio, tale chiarimento deve ritenersi valido a prescindere dall’(in)esistenza di eventuali rapporti di controllo tra locatore e locatario dell’immobile e dalla tipologia di attività imprenditoriale esercitata dal locatore[2].

La seconda previsione (cfr. Risposta n. 106/2022) riguarda, invece, l’affermazione del fatto che, ai fini della normativa “de qua”, gli immobili possono alternativamente costituire un bene unico, ovvero la combinazione di due beni distinti (terreno e fabbricato) a seconda dalle modalità mediante le quali gli stessi sono stati rilevati in bilancio, nelle note allo stesso o nella contabilità e nelle scritture elementari.

In particolare, nel caso in cui gli immobili (tipicamente quelli diversi dagli immobili “cielo-terra”) siano stati correttamente rilevati, sulla base dei rilevanti principi contabili, in modo unitario (ossia, senza scorporare dal fabbricato la componente terreno) sia in bilancio che nella contabilità, gli stessi possono essere trattati unitariamente (1° quesito risolto dalla Risposta n. 106/2022); in tal caso la differenza riallineabile deve essere individuata sulla base del confronto tra valore contabile complessivo e valore fiscale complessivo del cespite e il maggior valore fiscale così riconosciuto deve essere ripartito tra le due componenti sulla base del criterio forfetario fiscale (semplificando, 80-20).

Laddove, invece, la contabilizzazione sia stata operata, in attuazione dei corretti principi contabili applicabili, rilevando distintamente le singole componenti (anche solo nelle note al bilancio o in contabilità), il che tipicamente accade per gli immobili c.d. “cielo-terra”,  allora terreno e fabbricato costituiscono beni distinti, e pertanto soggetti distintamente alle norme su rivalutazione o riallineamento (4° quesito); in tal caso però, e in ciò sta la parte più rilevante del chiarimento fornito, il riallineamento del (minor) valore fiscale del singolo bene rispetto al (maggior) valore contabile dello stesso incontra un limite massimo che non emerge direttamente dalle norme, ma da una loro interpretazione sistematica: tale riallineamento è possibile solo se, e nei limiti in cui, la somma dei valori fiscali delle due componenti (terreno e fabbricato) non eccede il valore corrente del bene immobile considerato unitariamente. Ne consegue che nei casi (in verità molto frequenti per i cespiti siti nei centri più importanti, in particolare nella città di Milano) in cui il valore corrente del terreno è molto più alto del suo valore fiscale, essendo questo determinato forfetariamente sulla base del criterio previsto dall’art. 36, comma 7, del D.L. n. 223/2006, il riallineamento di tale differenza sarà possibile solo se, e nei limiti in cui, la somma del valore riallineabile del terreno con il valore fiscale dell’altra componente (il fabbricato) non risulti eccedente il valore corrente dell’immobile inteso come bene unitario. Secondo l’Agenzia ciò deriverebbe dall’impianto logico della normativa sul riallineamento (che vuole ottenere l’adeguamento del valore fiscale a quello contabile, ma non vuole ammettere – ancorché a pagamento – il riconoscimento di valori superiori rispetto al valore corrente) e in particolare da fatto che il valore complessivo è quello che rileva in caso di vendita dei cespiti (a prescindere dalle componenti interne).

Un esempio può contribuire a chiarire la fattispecie.

Si consideri un immobile dal valore contabile di 100 e dal valore fiscale di 80, costituito da un terreno dal valore contabile di 60 e dal valore fiscale di 20 e da un fabbricato dal valore contabile di 40 e dal valore fiscale di 60.

Ebbene, in questo caso, applicando “meccanicamente” le norme (ossia, ammettendo il riallineamento per l’intera differenza tra il minor valore fiscale e il maggior valore contabile di ciascuno dei distinti “beni” terreno e fabbricato) il risultato sarebbe il seguente:

APPLICAZIONE MECCANICA
Intero immobile Terreno Fabbricato Somma valori
Valore Contabile 100 60 40 100
Valore fiscale 80 20 60 80
Differenza riallineabile 20 40 0 40
Valore fiscale riallineato 100 60 60 120

 

In sostanza, il riallineamento dell’intera differenza relativa al terreno (40) darebbe luogo, sommando il nuovo valore fiscale del terreno stesso (60) a quello del fabbricato (60), a un nuovo valore fiscale complessivo dell’immobile (120) superiore al valore contabile dell’immobile considerato unitariamente (100).

Secondo l’interpretazione dell’Agenzia tale effetto non sarebbe coerente con la ratio della norma sul riallineamento la quale prevede che “il limite del valore contabile/economico trova applicazione anche nell’ipotesi dei beni immobili in esame, costituiti da “beni separabili” contabilmente, anche in considerazione del fatto che gli stessi sono ricondotti ad unità in sede di cessione (cfr. Circolare n. 11 del 16 febbraio 2007, par. 9.5)”. Conseguentemente l’Agenzia ritiene che “l’importo riallineabile va determinato sulla base della differenza tra il valore contabile complessivo e il valore fiscale complessivo, dato dalla somma dei valori degli elementi che lo compongono. Tale differenza costituisce il limite massimo dell’importo riallineabile, che dovrà essere attribuito ai due elementi sulla base della “capienza” che ciascuno di essi evidenzia alla luce dei dati contabili e fiscali di riferimento”.

Applicando tale principio all’esempio suddetto l’effetto sarebbe quindi il seguente:

SOLUZIONE INTERPRETATIVA
Intero immobile Terreno Fabbricato Somma valori
Valore Contabile 100 60 40 100
Valore fiscale 80 20 60 80
Differenza riallineabile 20 20 0 20
Valore fiscale riallineato 100 40 60 100

 

In sostanza, l’importo potenzialmente riallineabile per 40 (sulla base dell’interpretazione “meccanica” delle norme) incontra il limite massimo suddetto e si riduce, conseguentemente, a 20.

Risulta evidente che questa posizione interpretativa rappresenta un compromesso tra due distinte esigenze:

  1. quella di considerare separatamente anche ai fini della rivalutazione e del riallineamento le singole componenti (terreno e fabbricato) che costituiscono il bene complessivo, quali risultanti dall’impianto contabile, e
  2. quella di limitare l’effetto del riconoscimento fiscale di maggiori valori al valore contabile complessivo dell’immobile, considerato quindi unitariamente.

Si tratta di una posizione fortemente innovativa, che si pone in contrasto con l’applicazione piana (“meccanica”) delle norme rilevanti quale fino ad ora seguita in relazione alle precedenti norme di rivalutazione, e che renderà certamente necessarie operazioni di adeguamento della misura degli importi per i quali si è chiesto il riallineamento nella dichiarazione dei redditi presentata per il 2020 e della conseguente imposta sostitutiva liquidata; importi che – in relazione ai singoli beni considerati ai fini del riallineamento[3] – dovranno essere ridotti per considerare il limite massimo suddetto la cui conoscenza è sopravvenuta rispetto alla dichiarazioni presentate.

L’esigenza di correzione delle dichiarazioni presentate alla luce dei chiarimenti sopravvenuti – Se il termine per presentare una dichiarazione c.d. “tardiva” (i.e., quella presentata entro 90 giorni dalla scadenza del termine ordinario, ai sensi dell’art. 2, comma 7, del DPR n. 322/1998, e quindi il 28 febbraio 2022) fosse stato ancora pendente al momento della pubblicazione delle istruzioni dell’Agenzia, non ci sarebbero problemi. In tal caso, si sarebbe potuto, semplicemente, presentare una nuova dichiarazione dei redditi interamente sostitutiva della precedente nella quale (i) esercitare l’opzione per la rivalutazione “speciale” ex art. 6-bis anziché quella “generale” ex l’art. 110 (con riguardo al primo profilo), nonché ridurre l’importo indicato in dichiarazione sia per valore da riallineare, sia per imposte sostitutiva dovuta (con riguardo al secondo profilo). Diversamente, essendo tale termine trascorso, si pone la questione di come sia possibile rimediare e, in particolare, se a tal fine si possa provvedere mediante la presentazione di una dichiarazione “integrativa” c.d. “a favore”, ai sensi dell’art. 2, comma 8, DPR n. 322/1998, nella quale ridurre gli importi suddetti (valore da riallineare e imposta sostitutiva).

L’emendabilità delle dichiarazioni fiscali per la parte in cui contengono l’esercizio di opzioni – A questo proposito, rileva considerare che proprio la Circolare n. 6/E dello scorso 1° marzo 2022 ha dedicato la sua intera III Parte a chiarimenti di tipo procedurale nei quali, sostanzialmente, ha ribadito che:

  1. l’opzione per il riallineamento “de quo” rappresenta una scelta dispositiva (“manifestazione di volontà”) che si perfeziona mediante indicazione nella dichiarazione dei redditi dell’importo dei maggiori valori di cui si chiede il riallineamento, nonché dell’importo della relativa imposta sostitutiva (§ 1), restando irrilevante a tali fini il pagamento dell’imposta sostitutiva (che potrà essere recuperata mediante iscrizione nei ruoli esattoriali, se non correttamente versata);
  2. la scelta dispositiva (esercizio dell’opzione) effettuata nella dichiarazione può essere modificata solo con successive dichiarazioni “correttive” che intervengano a sostituire quella originaria entro il termine ordinario o al più entro i 90 giorni successivi, ai sensi dell’art. 2, comma 7, del DPR n. 322/1998, mediante dichiarazione c.d. “tardiva” (§ 2). In tal modo viene implicitamente ribadito che l’opzione esercitata non può invece essere revocata, né modificata (e men che meno effettuata per la prima volta) con dichiarazioni modificative di quella iniziale presentate oltre i 90 giorni dal termine ordinario (c.d. “rettificative”).

Tali posizioni dell’Agenzia delle Entrate devono, tuttavia, essere integrate dal consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui le “opzioni”, al pari di qualsiasi altra “manifestazione di volontà” negoziale, possono essere “rettificate” se viziate (oltre che da dolo e violenza, anche) da errore, a condizione – tuttavia – che questo possieda i requisiti della “rilevanza” e dell’“essenzialità” e che sia conosciuto o conoscibile da parte dell’Amministrazione finanziaria. L’opzione integra infatti “esercizio di un potere discrezionale di scelta nell’“an” e nel “quando” riconducibile ad una tipica manifestazione di autonomia negoziale del soggetto che è diretta ad incidere sulla obbligazione tributaria e sul conseguente effetto vincolante di assoggettamento alla imposta, e dunque eventuali errori della volontà espressa dal contribuente assumono rilevanza soltanto ove sussistano i requisiti di essenzialità e riconoscibilità ex art. 1428 c.c., norma che trova applicazione, ai sensi dell’art. 1324 c.c., anche agli atti negoziali unilaterali diretti ad un destinatario determinato” (cfr. ex multis, Cass. n. 9777/1993, n. 2732/1997, n. 11102/1998, n. 7294/2012, n. 19410/2015, n. 18180 del 2015, n. 883/2016, n. 10239/2017; n. 31237/2019, n. 40862/2021).

Su queste basi, la giurisprudenza di legittimità ha, anche di recente, ritenuto possibile esercitare in sede di dichiarazione “integrativa” un’opzione non esercitata nella dichiarazione ordinaria in ragione dell’assenza di tempestivi chiarimenti ufficiali da parte dell’Agenzia delle Entrate ritenendo che “La mancata immediata fruizione del beneficio fiscale nel relativo anno di imposta non può dirsi imputabile ad una scelta discrezionale della società ma all’incertezza interpretativa relativa alla cumulabilità delle agevolazioni…” e ancora “è circostanza pacifica ed incontestata tra le parti la sussistenza di un errore ingenerato alla contribuente da una indubbia difficoltà interpretativa della norma di riferimento (…), essendosi il disconoscimento dell’AF basato su un dato meramente formale di mancato rispetto del termine annuale; difficoltà interpretativa che aveva reso opportuna e necessaria la diramazione di una risoluzione a chiarimenti dell’AF che, pur di segno contrario all’agire della contribuente, non vincolano i terzi ma solamente l’agire della p.a.” (Cass. n. 15982/2020 e n. 40862/2021).

Nessun dubbio può, invece, esistere sulla possibilità di correggere mediante presentazione di dichiarazioni “rettificative” eventuali errori commessi nella dichiarazione originaria in relazione ai “fatti” costituitivi, modificativi o estintivi dell’obbligazione tributaria, tanto che questi siano sfavorevoli per il contribuente (in quanto importanti un maggior obbligo di pagamento, eventualmente assistito da interessi e sanzioni) quanto che siano, invece, ad esso favorevoli (in quanto comportanti un diritto di credito o di rimborso o  comunque l’esposizione di un minor debito)[4]. In tal caso, infatti, la dichiarazione dei redditi non assolve alla funzione di “manifestazione di volontà”, ma di “dichiarazione di scienza”, la cui emendabilità è sempre riconosciuta, con l’unico limite dell’esaurimento del rapporto giuridico d’imposta, normalmente per effetto della definitività dello stesso per decorso del termine di decadenza per l’accertamento[5].

Spunti sulla possibilità di modificare le dichiarazioni già presentate per adeguarsi ai nuovi chiarimenti proposti dall’Agenzia delle entrate anche mediante dichiarazioni “rettificative” – In ragione di quanto precede, appare fondato ritenere che l’opzione mal esercitata (o addirittura non esercitata) nella dichiarazione, anche “tardiva” (i.e., entro i 90 giorni), relativa al corretto periodo d’imposta, deve poter essere corretta (o esercitata per le prima volta) anche in sede di dichiarazione “integrativa” nei casi in cui sia chiaro e non discutibile che l’errore realizzato deriva dalla “oscurità” (obiettiva incertezza) dell’interpretazione esistente al tempo dell’originaria dichiarazione e solo successivamente sia stato chiarito da pronunciamenti di prassi dell’Agenzia delle Entrate (la cui emanazione è subordinata ex lege all’esistenza di condizioni di obiettiva incertezza)[6].

Ciò vale per l’esercizio delle opzioni inizialmente non esercitate o per la revoca delle opzioni esercitate in dichiarazione. E dovrebbe, quindi, costituire valida base normativa per consentire ai proprietari di immobili a destinazione alberghiera (che non siano anche i conduttori dell’attività) di revocare l’opzione esercitata per l’applicazione della rivalutazione “generale” ex art. 110 del Decreto Agosto e di esercitare al suo posto l’opzione per la rivalutazione speciale prevista dall’art. 6-bis del Decreto Liquidità.  Tale facoltà, peraltro, dovrebbe essere legittima anche se nessuna opzione fosse stata esercitata in precedenza per aver ritenuto l’onere del 3% non conveniente rispetto alla diversa scelta della rivalutazione gratuita[7]. Dirimente al riguardo ci sembra essere la circostanza per cui il comportamento tenuto (opzione per l’art. 110) era ritenuta l’unica possibilità ammessa dalle istruzioni (ancorché in itinere) della prassi erariale al momento di presentazione della dichiarazione, mentre la possibilità del secondo e più vantaggioso comportamento (opzione per l’art. 6-bis) è stata resa nota solo dopo la scadenza dei 90 giorni per la presentazione di dichiarazioni “tardive

Ciò posto, a maggior ragione tale possibilità di “correzione” deve riconoscersi nel caso in cui l’opzione è stata esercitata nella dichiarazione chiedendo il riconoscimento di valori superiori rispetto a quelli per i quali l’interpretazione emersa da ultimo sui beni “separati” (terreno e fabbricato) afferma invece l’esistenza di un limite massimo (dato dal valore contabile/corrente) del bene bene unitario.

Ebbene, in questa diversa situazione, non pare potersi discutere che l’opzione è stata esercitata (sia pure in modo cumulativo) per i beni considerati (terreno e fabbricato considerati separatamente) e che, in relazione a tale opzione, è stata tuttavia mal quantificato (per eccesso) l’importo dei maggiori valori riallineabili e, quindi, l’imposta sostitutiva dovuta a tale importo corrispondente.

Riprendendo l’esempio sopra indicato, l’importo dal valore da riallineare non sarebbe pari a 40, come indicato in dichiarazione, ma a 20 e l’imposta sostitutiva (3%) non sarebbe pari a 1,2, ma a 0,6.

In sostanza, in questo caso è stato commesso un errore nella individuazione dell’importo riallineabile. Si tratta, tuttavia, di un errore che non riguarda la volontà di esercitare l’opzione, ma la quantificazione degli effetti (necessari) dell’opzione esercitata, che per effetto della risposta n. 106/2022 si è appreso non possa eccedere l’importo corrispondente alla differenza tra valore fiscale e valore contabile dell’immobile unitariamente considerato.

Non sembra quindi potersi dubitare che tale “errore” non incide sulla manifestazione di volontà, ma si sostanzia invece in un errore sulla corretta liquidazione dell’imposta dovuta, risolvendosi quindi in un errore “sul fatto”, del quale non paiono sussistere ragioni per negarsi l’emendabilità, mediante presentazione di una dichiarazione “integrativa a favore” entro il termine di decadenza dell’azione di accertamento. Ciò è tanto più vero nel caso di specie laddove si consideri che il riallineamento deve essere (necessariamente) effettuato per tutta la differenza tra valore fiscale e valore civile, non essendo ammesso un riallineamento solo parziale, ma certamente non può essere effettuato per un importo superiore rispetto a quello riallineabile, come accaduto nel caso di specie.

L’opportunità di una presa di posizione espressa – Su entrambe le questioni sopra indicate è opportuna una espressa presa di posizione da parte dell’Agenzia delle entrate allo scopo di prevenire possibili ulteriori controversie in una materia, quella della emendabilità delle dichiarazioni per la parte in cui recano l’esercizio di opzioni, oggetto di interpretazioni tendenzialmente restrittive dell’Amministrazione finanziaria[8]. Consentire l’emendabilità della dichiarazione nelle ipotesi descritte rappresenterebbe una linea interpretativa, oltre che di buon senso, anche rispettosa del principio di collaborazione e buona fede, che secondo il dettato dell’art. 10 della Legge n. 212/2000 deve sempre informare i rapporti con il contribuente.

D’altronde, la necessità di prevedere espressamente misure che consentano ai contribuenti di modificare le opzioni esercitate in relazione alla normativa sulla rivalutazione/riallineamento in ragione dei cambiamenti intervenuti (in quel caso sul piano normativo) dopo l’entrata in vigore delle norme e la realizzazione dei conseguenti adempimenti fiscali (in termini di pagamento delle imposte o di presentazione delle relative dichiarazioni) è ben presente allo stesso legislatore fiscale che, con l’art. 1, comma 624, della Legge n. 234/2022 (Legge di Bilancio per il 2022) ha previsto la possibilità per i contribuenti “revocare, anche parzialmente l’applicazione della disciplina” dell’art. 110 del Decreto Agosto.

Tale previsione è certamente pensata per consentire ai contribuenti che avessero già optato per la rivalutazione o il riallineamento dell’ “avviamento” o delle altre “attività immateriali” secondo le previsioni in vigore al momento degli adempimenti di tener conto delle forti limitazioni introdotte con la Legge di Bilancio che hanno pesantemente cambiato le valutazioni di convenienza; nulla vieta, tuttavia, che il veicolo previsto (Provvedimento Direttoriale) possa essere utilizzato per fornire anche chiarimenti che non necessitano di una modifica normativa (delegata), ma semplicemente di una espressa presa di posizione sul piano interpretativo, già nei poteri dell’amministrazione. L’identità della materia trattata come anche dell’esigenza di ripristinare la certezza del diritto e la tutela dell’affidamento dovrebbero militare a favore di tale soluzione o di altra purché altrettanto celere ed efficace (come una risoluzione o anche semplicemente un comunicato stampa) che abbia tuttavia l’effetto di prevenire inutili discussioni e controversie.

 

[1] La non applicabilità della rivalutazione “speciale” prevista dall’art. 6-bis del Decreto Liquidità per le attività alberghiere e termali ai proprietari degli immobili destinati a tali attività che non fossero anche direttamente esercitate dagli stessi è stata dapprima affermata da una riposta a interpello (n. 450 del 2021) e poi confermata dalla bozza della circolare sulla rivalutazione posta in consultazione pubblica in data 23 novembre 2021 (cfr. Par. II, § 1.1., ove si affermava che “La ratio dell’articolo 6-bis del decreto liquidità è di «sostenere i settori alberghiero e termale», consentendo esclusivamente ai soggetti «operanti nei settori alberghiero e termale» il riconoscimento dei maggiori valori in bilancio 54 senza versamento dell’imposta sostitutiva. Tale finalità non può intendersi realizzata nell’ipotesi in cui la società holding svolga una mera attività immobiliare, con la conseguenza di rappresentare una società che non effettua alcuna gestione alberghiera; di conseguenza, una simile holding non è legittimata a effettuare la rivalutazione in bilancio prevista dal richiamato articolo 6-bis.”). Solo a seguito degli approfondimenti successivi, la versione finale della Circolare n. 6/E ha modificato l’impostazione prima seguita riconoscendo la possibilità anche per i proprietari non esercenti l’attività alberghiera o termale di optare per la rivalutazione “gratuita” ex art. 6-bis. Nel frattempo, tuttavia, gli interessati hanno normalmente optato per l’art. 110 con liquidazione in dichiarazione dell’imposta sostitutiva del 3%; ciò che – evidentemente – non avrebbero invece fatto conoscendo prima la posizione favorevole dell’Agenzia delle entrate, prima negata.

[2] Benché tale chiarimento sia stato reso con riferimento ad una fattispecie nella quale il locatore controllava il locatario, non vi sono ragioni per non ritenerlo valido anche in ipotesi in cui non sussistono rapporti di controllo, in quanto – come sottolineato dalla stessa Agenzia delle entrate – elemento determinante ai fini della fruizione del regime previsto dall’art. 6-bis del Decreto Liquidità è che il requisito soggettivo ivi previsto sia verificato “semplicemente” in capo al conduttore. In tal senso, vgs.  Assonime, Circolare n. 12 del 31 marzo 2022 (§ 8).

[3] Rileva considerare che la norma di rivalutazione (e riallineamento) “generale” dell’art. 110 ammette, eccezionalmente se comparata alle precedenti normative analoghe, la possibilità di operare per singoli “beni” e non necessariamente per intere “categorie omogenee”.

[4] Cfr. ex multis e più di recente, Salvati A., Errori dichiarativi ed emendabilità della dichiarazione, in Riv. Tel. Dir. Trib. 3 marzo 2021; Boccalatte G., Emendabilità delle dichiarazioni fiscali. Excursus storico e questioni interpretative attuali, in Giurisprudenza Tributaria, n. 5/2020.

[5] Secondo la giurisprudenza di legittimità, la facoltà pressoché illimitata – potendo riguardare qualsiasi errore od omissione – di emendare le “dichiarazioni di scienza” incontra un unico ostacolo nella “sopravvenuta intangibilità dell’accertamento conseguente al decorso del termine di decadenza per l’esercizio del diritto al rimborso, all’inoppugnabilità dell’atto impositivo determinata dalla mancata impugnazione o dal perfezionamento di un modulo di determinazione consensuale del tributo, ovvero al passaggio in giudicato della sentenza di rigetto dell’impugnazione. Difatti, il conseguimento di una definitiva quantificazione della pretesa tributaria rende la rettifica della dichiarazione improduttiva di effetti e preclude al contribuente la conseguente domanda restitutoria” (cfr. n. 27122/2020, in senso conforme cfr. ex multis, Cass. n. 19868/2012; n. 13378/2016; n. 10029/2018).

[6] Al riguardo è auspicabile un pronunciamento espresso da parte dell’Agenzia delle entrate, la quale si è invece finora limitata a prevedere (nella Circolare n. 6/E del 2022) la possibilità in capo agli uffici di effettuare una valutazione case by case circa la sussistenza delle condizioni di obiettiva incertezza ai fini della non applicazione delle sanzioni ex art. 10, comma 3, della Legge n. 212/2000 (“Statuto dei diritti del contribuente”) con riferimento ai comportamenti assunti dai contribuenti anteriormente ai chiarimenti intervenuti.

[7] Indicazioni in tal senso sono contenute nella Circolare n. 12 del 31 marzo 2022 di Assonime (vgs. § 9) con la quale l’associazione ha sottolineato l’esigenza di consentire alle imprese di correggere errori indotti dall’incostante e mutato orientamento dell’Agenzia delle Entrate. Assonime, peraltro, nell’occasione ha ricordato opportunamente che, nel caso della rivalutazione “speciale” prevista per i settori alberghiero e termale, “tali imprese – quelle che, cioè, non hanno eseguito la rivalutazione/riallineamento nel bilancio relativo all’esercizio 2020 (e, conseguentemente, manifestato tale volontà nel modello di dichiarazione del periodo d’imposta 2020) a motivo delle indicazioni negative rese dall’Amministrazione finanziaria – potrebbero comunque accedere a questa disciplina rivalutando/riallineando i beni nel bilancio relativo all’esercizio 2021 ed esprimendo la relativa opzione nel relativo modello di dichiarazione, quello che cioè si riferisce al periodo d’imposta 2021. Ricordiamo, infatti, che “La rivalutazione [come pure il riallineamento, ndr] deve essere eseguita in uno o in entrambi i bilanci o rendiconti relativi ai due esercizi successivi a quello” in corso al 31 dicembre 2019. Anche queste imprese, tuttavia, subirebbero comunque un pregiudizio a causa, per esempio, per quanto attiene il regime di riallineamento, dei decrementi dei disallineamenti verificatisi nel 2020; si ritroverebbero cioè a riallineare meno di quanto avrebbero potuto ove avessero fatto accesso alla disciplina in esame sul bilancio 2020. Per quanto attiene il regime di rivalutazione, invece, è evidente che il rinvio della rivalutazione al 2021 determina, tra l’altro, il rinvio della deduzione degli ammortamenti. Anche a queste imprese, dunque, dovrebbe essere garantita la possibilità di accedere alla disciplina di rivalutazione/riallineamento con riguardo al bilancio 2020.”. 

[8] Analogo auspicio in relazione alla correzione delle opzioni per l’applicazione del regime di rivalutazione/riallineamento ex art. 6-bis è stato di recente espresso da M. Piazza, Alberghi locati, chance di rimborso da rivalutazione, in Il Sole24Ore del 10 marzo 2022.

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