L’apertura della procedura di amministrazione straordinaria di una società cui era stato affidato l’incarico di «prelievo, trattamento e custodia» di cose fungibili costringe la controparte incaricante a domandare la rivendica, ex art. 103 l. fall., del denaro contante che era detenuto presso la società soggetta alla procedura concorsuale. Secondo il Tribunale, la conservazione del denaro alla rinfusa da parte della società aveva determinato una commistione tra i denari appartenenti a tutti i clienti della stessa, con la formazione di un nuovo bene di proprietà comune, in proporzione del valore delle cose originariamente spettanti a ciascuno, ai sensi dell’art. 939, 1 comma, 2 alinea c.c. Ciascuno dei clienti, pertanto, aveva diritto a ottenere la restituzione di quanto affidato in proporzione di quanto rimasto, dovendo, invece, insinuare al passivo il proprio credito per la porzione restante. Ricorreva in Cassazione la società in amministrazione straordinaria, come pure con ricorso incidentale la società rivendicante.
La Cassazione, in continuità col proprio più recente orientamento, ritiene ammissibile la domanda di rivendica di cosa fungibile posto che, secondo l’art. 1782 c.c., la proprietà del denaro o delle cose fungibili è acquistata dal depositario solo se questi ha la facoltà di servirsene nel proprio interesse, non costituendo il passaggio in proprietà una conseguenza indefettibile della fungibilità delle cose depositate. È cioè la conformazione del titolo, che regola la consegna del bene, e non la natura fungibile della cosa a determinare l’eventuale passaggio in proprietà al depositario, non essendo – aggiunge la Corte – la natura fungibile delle cose di ostacolo alla restituzione, che, infatti, secondo l’art. 1766 c.c., dovrà avvenire «in natura» (cioè non l’eadem res ma il tantundem eiusdem generis).
La soluzione dell’ammissibilità della rivendica è confermata, sul piano del fatto, pure dalle modalità di conservazione delle cose depositate, che mai sono state mescolate col denaro di proprietà del depositario, essendo quindi possibile la loro individuazione. Nella stessa prospettiva non costituisce ostacolo alla rivendica il fatto che le cose, per come materialmente custodite, siano state mescolate con altre dello stesso genere appartenenti ad altri soggetti, con conseguente applicazione dell’art. 939, 1 comma 2 alinea c.c. In effetti, al comproprietario deve sempre essere riconosciuta, oltre che la facoltà di domandare la rivendica, pure quella di chiedere lo scioglimento della comunione ex art. 1111 c.c.; tutele queste che finiscono per convergere nell’art. 103 l. fall. da cui, in via implicita e correlata al riconoscimento del diritto di comproprietà, discende lo scioglimento della comunione e l’assegnazione del bene divisibile in proporzione alla quota di comproprietà.
Infine, secondo la Cassazione, la percentuale da riconoscere in rivendica deve essere calcolata anche sulle giacenze residue non rivendicate da altri comproprietari, non essendo la proprietà dei denari dei clienti mai stata trasferita alla procedura. L’idea di ripartire fra tutti i comproprietari gli ammanchi della cosa comune, consentendo al rivendicante di soddisfarsi soltanto in proporzione fra quanto dovuto e quanto rimasto, confligge infatti con la natura della domanda di rivendica. Se la rivendica di cosa fungibile, infatti, altro non è se non una restituzione dei beni rimasti in proprietà dell’istante per pari genere e quantità, la stessa può divenire impossibile in natura, per l’eventuale limitata quantità di cose disponibili, solo in presenza di una pluralità di domande dei comproprietari di consistenza tale da non consentire l’integrale soddisfazione del diritto di ciascuno. Diversamente, in mancanza di una simile situazione, non potendo la procedura rifiutare la restituzione di cose che non sono di sua proprietà, la domanda di rivendica deve essere accolta per l’intero ammontare spettante al rivendicante.