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Giurisprudenza

Ruling fiscali e aiuti di Stato: la Corte di Giustizia UE fa il punto

11 Settembre 2024

Corte di Giustizia UE, Grande Sezione, 10 settembre 2024, n. 2024/724 – causa C-465/20 – Pres. Lenaerts, Rel. Wahl

Di cosa si parla in questo articolo

La Grande Sezione della Corte di Giustizia UE, con la sentenza n. 2024/724 del 10 settembre 2024, resa nella causa C-465/20, ha annullato la sentenza del Tribunale UE relativa ai ruling fiscali concessi ad un Paese membro (l’Irlanda nella specie) a favore di una nota società con sede in un paese extra UE, confermando la decisione della Commissione Europea del 2016.

Più nel dettaglio, la Corte ha stabilito che tale Paese membro ha concesso alla società estera un aiuto di Stato illegale, che deve essere recuperato.

Si ricorda che in base all’istituto del ruling fiscale le imprese possono infatti chiedere a una amministrazione tributaria una sorta di decisione anticipata con riferimento al regime fiscale a cui saranno soggette, in modo da vincolare le amministrazioni all’applicazione del conseguente trattamento fiscale garantito alle richiedenti.

La pratica dei ruling fiscali non è vietata dal diritto europeo; tuttavia, come chiarito dall’Avvocato generale della causa, nelle proprie conclusioni, la Commissione ha il compito di verificare se, attraverso una misura fiscale, come una decisione anticipata, uno Stato membro conceda un vantaggio selettivo ad una determinata impresa.

In tal caso, imprese già di per sé dotate di un notevole potere di mercato, anche in relazione alle dinamiche dei mercati digitali, che tendono alla concentrazione di tale potere, potrebbero trovarsi avvantaggiate rispetto ai competitori.

Per evitare queste conseguenze, dannose per la concorrenza e pregiudizievoli per l’innovazione e i consumatori, vanno quindi applicate le regole sugli aiuti di Stato nell’Unione Europea.

La vicenda sottoposta all’attenzione della Corte

Entrando nel merito della vicenda, la Commissione europea, con Decisione (UE) 2017/1283 del 30 agosto 2016, aveva contestato al Paese membro, l’applicazione di un ruling fiscale di favore nei confronti di due società satelliti della Big tech extra UE.

L’accordo in questione, infatti, in base a tale decisione, avrebbe integrato, negli anni dal 1991 al 2014, un aiuto illegale incompatibile con il mercato interno, in forza dell’art. 107, paragrafo 3, lettera c), TFUE; conseguentemente, la Commissione ordinava il recupero delle imposte oggetto di indebito risparmio fiscale.

In particolare, la riduzione degli oneri fiscali di cui avevano beneficiato le due società aveva di fatto costituito un aiuto al funzionamento della società madre.

L’Irlanda proponeva al Tribunale UE ricorso avverso la decisione, che la annullava, ritenendo che la Commissione:

  • fosse incorsa in errore circa la tassazione normale da applicarsi nel caso specifico, in forza del diritto tributario irlandese
  • non avesse sufficientemente dimostrato l’esistenza di un vantaggio selettivo a favore delle società beneficiarie del ruling fiscale in questione: in particolare non era riuscita a dimostrare che, tenuto conto delle attività e delle funzioni effettivamente esercitate dalle succursali irlandesi della Big tech statunitense, nonché delle decisioni strategiche adottate e attuate al di fuori di tali succursali, gli utili generati dallo sfruttamento delle licenze della Big Tech, andassero attribuite alle succursali, ai fini della determinazione degli utili annuali imponibili.

Avverso la sentenza di primo grado, tuttavia, la Commissione europea ricorreva alla Corte di Giustizia, ritenendo che tali ruling fiscali fossero effettivamente distorsivi del mercato interno.

Nel pronunciarsi sull’impugnazione, la Corte, annullando la sentenza del Tribunale, ha dunque confermato la decisione della Commissione.

Sul carattere selettivo dei ruling fiscali contestati

La Corte, preliminarmente, ha ritenuto che fosse proprio il Paese membro a non aver dimostrato il carattere non selettivo del ruling fiscale applicato alle società istanti.

In particolare, non aveva indicato sotto quale profilo il principio di territorialità, di cui si era avvalsa, richiedesse necessariamente un trattamento favorevole per le società non residenti: spetta infatti allo Stato membro che ha introdotto una differenziazione tra imprese in materia di oneri fiscali, secondo la Corte, dimostrare che essa sia effettivamente giustificata dalla natura e dalla struttura del sistema di cui trattasi.

Conseguentemente la Commissione ha correttamente ritenuto che la differenziazione in materia di trattamento fiscale degli utili derivante dai ruling fiscali contestati non fosse giustificata dalla natura o dalla struttura generale del sistema fiscale irlandese.

Le succursali in questione hanno beneficiato infatti di un trattamento fiscale favorevole rispetto alle società residenti tassate in Irlanda che non possono beneficiare di tali ruling fiscali preventivi dell’amministrazione tributaria, sebbene tali società si trovino in una situazione fattuale e giuridica analoga per quanto riguarda l’obiettivo perseguito dal sistema di riferimento, che è quello di tassare gli utili generati in Irlanda.

La Corte fa esplicito riferimento alle società non integrate autonome, o integrate in un gruppo, che effettuano operazioni con società del gruppo, alle quali esse sono collegate, fissando il prezzo di tali operazioni in condizioni di libera concorrenza.

I ruling fiscali contestati, in quanto riducono l’importo annuo dell’imposta che le succursali sono tenuti a versare in Irlanda rispetto, in particolare, alle società non integrate, il cui utile imponibile riflette i prezzi determinati sul mercato e negoziati in condizioni di libera concorrenza, determinano un trattamento differenziato che può essere sostanzialmente qualificato come derogatorio e come discriminatorio.

In sostanza, tali ruling fiscali riducono gli utili imponibili di tali società ai fini dell’applicazione dell’art. 25 del Taxes Consolidation Act (TCA 97) irlandese e, pertanto, l’importo dell’imposta sulle società che esse sono tenute a versare nel Paese membro, rispetto alle altre società tassate in tale Stato, i cui utili imponibili riflettono i prezzi determinati sul mercato in condizioni di libera concorrenza.

Inoltre, sostiene la Corte che una misura che deroghi all’applicazione del sistema fiscale generale può essere giustificata se tale misura deriva direttamente dai principi informatori o basilari di tale sistema fiscale: vanno pertanto distinti, da un lato, gli obiettivi che persegue un determinato regime fiscale e che sono ad esso esterni e, dall’altro, i meccanismi inerenti al sistema tributario stesso che sono necessari per il raggiungimento di tali obiettivi.

Pertanto, vantaggi fiscali che fossero riconducibili a uno scopo estraneo al sistema impositivo in cui si collocano non possono sottrarsi alle esigenze derivanti dall’art. 107, paragrafo 1, TFUE.

Sull’esistenza di un intervento dello Stato

Secondo costante giurisprudenza della Corte, una misura può essere qualificata come intervento dello Stato o come aiuto concesso “mediante risorse statali” qualora, da un lato, essa sia concessa direttamente o indirettamente mediante tali risorse e, dall’altro, sia imputabile ad uno Stato.

Inoltre, una misura statale che conceda a talune imprese un non assoggettamento ad un’imposta costituisce un aiuto di Stato, pur non comportando un trasferimento di risorse pubbliche, in quanto consiste nella rinuncia da parte delle autorità interessate al gettito tributario che di norma avrebbero potuto riscuotere (v., in tal senso, sentenza del 17 novembre 2009,  C-169/08).

Infatti, non in tutti i casi è necessario dimostrare un trasferimento di risorse statali perché il vantaggio concesso ad una o più imprese possa essere considerato un aiuto di Stato, ai sensi dell’art. 107, paragrafo 1, TFUE.

In tal senso, la Corte ricorda che sono considerati aiuti gli interventi i quali, in varie forme, alleviano gli oneri che di regola gravano sul bilancio di un’impresa e che di conseguenza, senza essere sovvenzioni in senso stretto, hanno la stessa natura e producono identici effetti.

Nel caso di specie, conclude la Corte, la Commissione non è incorsa in errori nel ritenere che l’Irlanda avesse rinunciato a un gettito tributario da parte di tali succursali, poiché i ruling fiscali contestati approvavano metodi di attribuzione degli utili che conducono a un risultato che non avrebbero accettato imprese distinte e autonome operanti a condizioni di mercato.

Tali ruling fiscali riducono, infatti, gli utili imponibili di tali società ai fini dell’applicazione dell’art. 25 del TCA 97 e, pertanto, l’importo dell’imposta sulle società che esse sono tenute a versare in Irlanda rispetto alle altre società tassate in tale Stato membro i cui utili imponibili riflettono i prezzi determinati sul mercato in condizioni di libera concorrenza.

Tali misure alleggeriscono quindi gli oneri che sono, in linea di principio, un onere per il bilancio di un’impresa.

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