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Editoriali

Safe Asset Europeo: perché non si può prescindere dalla condivisione dei rischi

15 Ottobre 2019

Marcello Minenna

Di cosa si parla in questo articolo

La crisi finanziaria e la ‘scoperta’ del rischio di credito da parte dei mercati hanno avuto numerose ripercussioni sull’area euro. Tra le più importanti vi è la perdita della Great Convergence, quel fenomeno iniziato a fine anni ‘90 che aveva allineato i tassi d’interesse dei vari paesi membri a quelli tedeschi. Questo disallineamento ha portato alla comparsa degli spread, ossia i differenziali di rendimento tra i titoli dei diversi Stati dell’Eurozona che così hanno smesso di essere pienamente fungibili per gli investitori.

L’impostazione a rischi segregati seguita dalle istituzioni europee nella gestione della crisi ha contribuito a questa divergenza. L’Euro-burocrazia – sulla scia dell’asse franco-tedesco nato nel 2010 a Deauville – ha interpretato in senso stretto la clausola di non salvataggio sancita nei Trattati per richiamare ogni paese alle proprie responsabilità e confinare i rischi all’interno dei paesi periferici (nonostante spesso fossero rischi collegati a fragilità endogene dell’unione monetaria). Di fronte a queste scelte i mercati finanziari hanno inevitabilmente scommesso contro la periferia, vendendo titoli periferici e acquistando quelli dei paesi core (divergence trades).

La fuga di capitali verso il centro dell’area euro ha prodotto diverse anomalie: grossi squilibri nei saldi delle banche centrali nazionali sul sistema Target2 (che contabilizza i pagamenti interbancari transfrontalieri in Europa), nazionalizzazione dei debiti pubblici periferici, inibizione del funding interbancario alle banche della periferia, aumento del costo del debito per i governi periferici e, infine, sostanziale esclusività del Bund come safe asset dell’intera unione monetaria.

Un safe asset è per definizione un bene il cui valore si preserva nel tempo con alta probabilità. In pratica, un investimento per chi vuole stare tranquillo. Durante una crisi l’appetibilità dei safe assets tende ad aumentare: il prezzo sale a causa dell’eccesso di domanda e, nel caso dei titoli di debito come quelli governativi, il rendimento scende. Esattamente quello che è successo ai Bund i cui rendimenti – ormai negativi anche sulle lunghe scadenze – sono inferiori a quelli di qualsiasi altro paese dell’Eurozona.

Per spezzare l’identità tra Bund e safe asset Europeo sono state elaborate molte proposte, a partire dai c.d. Eurobond, ossia titoli di debito emessi congiuntamente da tutti i paesi membri i quali sarebbero anche tutti ugualmente responsabili delle relative obbligazioni di pagamento (joint liability). Sul piano politico la proposta è contrastata dai paesi del centro-nord Europa per il timore che i governi fiscalmente meno virtuosi sarebbero incentivati a fare maggior debito contando sulla capacità di pagamento dell’intera unione monetaria.

Molte delle proposte alternative agli Eurobond puntano sulla partizione del debito pubblico di uno Stato come modo per creare un safe asset limitando o escludendo la condivisione dei rischi (risk sharing) tra i paesi membri. L’idea è quella di isolare una porzione del debito di ogni Stato e fare in modo che risulti meno esposta a eventuali perdite rispetto al resto. Questa seniority è ottenuta prevedendo una garanzia solidale degli Stati membri limitata a una parte del debito (Red/Blue bonds) o la cartolarizzazione di una frazione dei titoli governativi di ogni paese abbinata (ESBies) o meno (Ebonds) al tranching.

Ma abdicare (o quasi) alla condivisione dei rischi e segmentare in via definitiva il mercato del debito pubblico legittimando la convivenza di vari gradi di ‘nobiltà’ equivarrebbe ad accettare lo spread – sia pur sotto mutate spoglie – e le discriminazioni che ne conseguono come componenti ineliminabili dell’unione monetaria.

Muovendo da queste considerazioni, la proposta da me elaborata con Giovanni Dosi, Andrea Roventini e Roberto Violi[1] abbina la costruzione di un safe asset Europeo all’eliminazione definitiva dello spread e al ripristino di un’unica curva dei tassi d’interesse per l’intera Eurozona. Al centro della proposta c’è il Meccanismo Europeo di Stabilità (ESM), il fondo Salva-Stati istituito nel 2012 col capitale di tutti i paesi membri. L’ESM si finanzia emettendo obbligazioni sovranazionali a basso rischio che oggi sono la migliore proxy disponibile di un safe asset Europeo. La nostra proposta consolida questo assetto prevedendo la trasformazione dell’ESM in un veicolo che garantisce una quota crescente del debito pubblico di ogni Stato membro. Di anno in anno, ogni paese rifinanzia il debito in scadenza con nuovi titoli garantiti dall’ESM (e, in ultima istanza, dalla BCE) fino a copertura integrale del debito. Al fine di disincentivare condotte fiscali opportunistiche (moral hazard), i paesi con rischio sovrano superiore a quello medio dell’area euro dovrebbero versare all’ESM dei premi periodici commisurati al valore di mercato della garanzia ricevuta. Ulteriori covenant previsti dalla proposta sono: non ridenominabilità del debito garantito, vincoli quali-quantitativi sul deficit ammissibile, perdita della garanzia e dei premi già pagati in caso di default selettivo/strategico. La proposta include altresì un capitolo per il rilancio degli investimenti nei paesi economicamente più fragili, con lo scopo di stimolare la crescita e il riallineamento dei ritmi di sviluppo di tutti gli Stati membri. La gradualità dell’estensione della garanzia ESM all’intero debito pubblico dei vari paesi (unitamente ai suddetti covenant) permetterebbe agli investitori di recuperare la fiducia persa nella compattezza dell’unione monetaria e di favorire la ri-convergenza delle curve dei tassi d’interesse attraverso la loro operatività sui mercati. Al termine di questa fase, i debiti pubblici degli Stati membri tornerebbero ad essere de facto pienamente fungibili e potrebbero quindi essere unificati anche sul piano formale con il passaggio a veri e propri Eurobond emessi da un Ministero delle Finanze unico dell’Eurozona. A queste condizioni, lo stesso Ministero avrebbe anche i requisiti per portare avanti una politica fiscale federale, in parallelo e poi eventualmente in sostituzione dei singoli governi. Del resto, come ben sapevano i padri fondatori della moneta unica, un safe asset Europeo non può prescindere da un’unione fiscale.

 


[1] Al link https://ideas.repec.org/p/ssa/lemwps/2018-20.html

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