Premessa
Una recente pronuncia della Corte di Cassazione[1], in soluzione di continuità con quanto statuito dalla corte territoriale di Lecce[2], si è espressa in ordine all’applicazione del criterio del c.d. “saldo zero” nel caso di azione di ripetizione di indebito promossa dal correntista. Per un’analisi completa del tema le summenzionate sentenze saranno oggetto di trattazione congiunta. Preliminare all’esame della relativa normativa e giurisprudenza sarà la ricostruzione della vicenda di fatto che vede contrapporsi una correntista e un Istituto di credito in merito ad un rapporto di conto corrente bancario.
Il fatto
Parte ricorrente, la correntista, agiva dinnanzi al Tribunale di Brindisi per far dichiarare la nullità delle clausole di determinazione degli interessi debitori, quelle di capitalizzazione trimestrale dei medesimi interessi e l'illegittimità dell'applicazione di commissioni di massimo scoperto e di altre spese di tenuta e chiusura conto non espressamente pattuite. Il giudice accoglieva suddette richieste e respingeva la domanda di compensazione e/o ripetizione di indebito, trattandosi di rapporto di c/c ancora in corso. Con riferimento a tale punto parte ricorrente proponeva appello dinnanzi alla Corte d’Appello di Lecce deducendo l’omessa pronuncia sulla richiesta di rideterminazione delle poste attive e passive del conto corrente oggetto di causa. Controparte, costituitasi con tempestiva comparsa, chiedeva il rigetto dell’appello evidenziando l’erroneità della sentenza nella parte in cui dichiarava la nullità della clausola contrattuale di determinazione degli interessi debitori e l’illegittimità dell’applicazione di commissioni di massimo scoperto e di altre spese di tenuta e chiusura conto.
In diritto
La controversia de qua verte sull’accertamento/rettifica del saldo di un conto corrente bancario i cui estratti conto non erano stati integralmente prodotti, attestandosi come tardiva la produzione degli estratti relativi al periodo 8.1.1986 – 31.12.1986.
Il riferimento normativo degli estratti conto, nonché di tutte le comunicazioni periodiche alla clientela, è il 119 TUB, il quale, al comma 4, prevede che “il cliente, colui che gli succede a qualunque titolo […] hanno diritto di ottenere, a proprie spese, entro un congruo termine e comunque non oltre novanta giorni, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni”. Il tema dell’esibizione degli estratti conto deve essere affrontato in combinato disposto con l’art. 2697 c.c.. Quest’ultimo presuppone che chi agisce in giudizio per far valere un diritto sia gravato dell’onere della prova dei fatti che ne costituiscono fondamento. Un importante filone dottrinale permette di affrontare l’impasse dell’onere della prova ex art. 2697 c.c. cui si ricollegano le problematiche sottese all’art. 119, comma 4, TUB.
Il primo interrogativo che si pone verte sull’(eventuale) inversione dell’onere della prova nell’ipotesi in cui l’attore, correntista, agisca in accertamento negativo, ovvero postuli l’inesistenza del diritto. Può ritenersi che una tale differenza di natura sostanziale comporti, nondimeno, l’inversione delle rispettive posizioni processuali? Qualora la risposta fosse positiva spetterebbe all’intermediario convenuto, parte controinteressata dall’accertamento negativo, dar prova dell’esistenza del diritto che parte ricorrente intende negare[3]. La perdurante posizione di asimmetria sussistente tra cliente e banca richiede un’applicazione più temperata dell’art. 2697 c.c.; a tal proposito, la teorizzazione del principio della vicinanza della prova in ambito bancario dovrebbe comportare l’inversione dell’onere probatorio in relazione alla produzione in giudizio degli estratti conto. L’obbligo di rendicontazione periodica si colloca nell’ampio raggio di obblighi che il legislatore impone alla banca, con l’obiettivo di perseguire il riequilibrio di un rapporto intrinsecamente asimmetrico. Pertanto, contestuale all’obbligo di rendicontazione non può che essere un obbligo (o diritto, a seconda che lo si veda nell’una o nell’altra prospettiva) «alla consegna della documentazione bancaria ed anche a copie e duplicati di quanto già inviatogli nel corso del rapporto»[4]. Di tale avviso è anche parte della giurisprudenza di merito[5]: «Nei rapporti bancari in conto corrente (…) la banca, al fine di dimostrare il proprio credito, ha l’onere di produrre gli estratti a partire dall’apertura del conto, anche nell’ipotesi di azione di accertamento proposta dal correntista».
Ormai pacifica la Cassazione in relazione alla conservazione degli estratti conto; da numerose pronunce della stessa emerge che è onere della banca produrre gli estratti a partire dall’apertura del conto. (Cass. Civ., 20 aprile 2016, n. 7972; Cass. Civ., 18 settembre 2014, n. 19696; Cass. Civ., 26 gennaio 2011, n. 1842; Cass. Civ., 25 novembre 2010, n. 23974; Cass. Civ. 10 maggio 2007, n. 10692). Tale principio vale, a fortiori, anche ove ci si riferisca all’addebito di interessi anatocistici non dovuti: “Come è stato osservato, negata la validità della clausola sulla cui base sono stati calcolati gli interessi, soltanto la produzione degli estratti conto a partire dall'apertura del conto corrente consente, attraverso una integrale ricostruzione del dare e dell'avere con l'applicazione del tasso legale, di determinare il credito della banca, sempre che la stessa non risulti addirittura debitrice, una volta depurato il conto dalla illegittima capitalizzazione: allo stesso risultato, evidentemente, non si può pervenire con la prova del saldo, comprensivo di capitali ed interessi, al momento della chiusura del conto; infatti, tale saldo non solo non consente di conoscere quali addebiti, nell'ultimo periodo di contabilizzazione, siano dovuti ad operazioni passive per il cliente e quali alla capitalizzazione degli interessi, ma esso a sua volta discende da una base di computo che è il risultato di precedenti capitalizzazioni degli interessi” (Cass. 10 maggio 2007, n. 10692 cit., in motivazione). Nondimeno, la mancanza degli estratti conto riferibili al periodo iniziale del rapporto non preclude l’esperimento di un'indagine contabile per il periodo successivo, potendo questa attestarsi sulla base di riferimento più sfavorevole per il creditore istante, quale, a titolo esemplificativo, quella di un calcolo che preveda l'inesistenza di un saldo debitore alla data dell'estratto conto iniziale (così Cass. 26 gennaio 2011, n. 1842 cit., in motivazione). Attenendosi a tale orientamento, l’onere della prova del credito ricadrebbe sull’intermediario anche nelle ipotesi in cui sia il correntista ad agire.
Contratto di mandato
È pacifico che, ai sensi dell’art. 1856, comma 1°, c.c., la banca risponde dell’esecuzione degli incarichi che le siano stati conferiti dal correntista o da altro cliente secondo le regole in tema di mandato. Ne consegue che la banca è obbligata a tenere, nell’esecuzione degli incarichi di pagamento commessi dai clienti, il comportamento configurato negli artt.1710 ss. c.c.. Orbene, ai sensi dell’art. 1713 c.c. “il mandatario deve rendere il conto del proprio operato”. Il rendiconto non consiste in un mero documento contabile dal quale evincere le indicazioni di spese e di ricavi, bensì nel dovere di consegna della documentazione atta a rendere possibile una verifica dell’operato del mandatario.
Bisogna altresì evidenziare che il conto corrente è un rapporto giuridico unitario anche se articolato in più atti esecutivi (Cass. 9 aprile 1984, n. 2262; Cass., 14 maggio 2005, n. 1590). Per di più il termine di prescrizione del diritto del cliente a ottenere il rendiconto della banca è decennale e, considerato che il mandato è un rapporto giuridico unitario anche se articolato in più atti esecutivi (Cass. 9 aprile 1984, n. 2262; Cass., 14 maggio 2005, n. 1590), il dies a quo è quello della conclusione del mandato (Cass., 22 agosto 1985, n. 4480), ovverosia, decorre dalla chiusura del conto corrente.
È inoltre pacificamente affermato in giurisprudenza che le banche debbano conservare gli estratti conto per almeno dieci anni dalla cessazione del rapporto; trattasi di un principio confermato proprio recentemente dalla Corte di Cassazione con la decisione 20 gennaio 2017, n. 1584 (Est. Falabella, in www.ilcaso.it) ove si chiarisce testualmente che “nei rapporti bancari in conto corrente, una volta che sia stata esclusa per mancanza dei requisiti di legge, della pattuizione di interessi ultralegali a carico del correntista, la banca ha l'onere di produrre gli estratti a partire dall'apertura del conto. Quest'ultima non può sottrarsi all'assolvimento di tale onere invocando l'insussistenza dell'obbligo di conservare le scritture contabili oltre dieci anni, perché non si può confondere l'onere di conservazione della documentazione contabile con quello di prova del proprio credito. Tale principio trova applicazione anche nel caso in cui si controverta dell'addebito di interessi anatocistici non dovuti”.
Con riferimento all’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. la parte deve dimostrare di aver provato ad ottenere la documentazione di cui chiede l’esibizione con gli strumenti extra processuali, al fine di evitare di instaurare una causa senza aver letto la documentazione da cui vuole inferire le sue eccezioni e le sue domande processuali e finanche le nullità o la consumazione di reati. Principio non più insormontabile a partire dalla pronuncia della Corte di Cassazione (Cass. 11554/2017 in www.ilcaso.it) con la quale gli ermellini hanno puntualizzato che la richiesta di acquisizione dei documenti può essere fatta dal cliente anche per la prima volta nel corso del giudizio, onde evitare che si possa trasformare, in via indebita, uno strumento di protezione del cliente in uno strumento di penalizzazione del medesimo, facendo transitare la richiesta di documentazione del cliente dalla figura della libera facoltà a quella, decisamente diversa, del vincolo dell'onere. Osserva infatti la Suprema Corte con la sentenza n. 11554 del 11.05.2017, “neppure è da ritenere che l'esercizio del potere in questione sia in qualche modo subordinato al rispetto di determinare formalità espressive o di date vesti documentali; né, tantomeno, che la formulazione della richiesta, quale atto di effettivo esercizio di tale facoltà, debba rimanere affare riservato delle parti del relativo contratto o, comunque, essere non conoscibile dal giudice o non transitabile per lo stesso. Che simili eventualità si tradurrebbero, in ogni caso, in appesantimenti dell'esercizio del potere del cliente: appesantimenti e intralci non previsti dalla legge e frontalmente contrari, altresì, alla funzione propria dell'istituto. Il tutto, in ogni caso, nell'immanente limite di utilità, per il caso di esercizio in via giudiziale della facoltà di cui all'art. 119, che la richiesta si mantenga entro i confini della fase istruttoria del processo cui accede”.
Sempre la Corte di Cassazione ha ribadito che in tema di rapporti bancari in conto corrente, la dichiarazione di nullità delle clausole che prevedono la capitalizzazione trimestrale e di quelle che fanno rinvio agli usi per la determinazione del tasso di interesse ultralegale, comportando la rideterminazione del saldo del conto, con applicazione del tasso legale e previa esclusione dell’anatocismo, fa sorgere in capo all’Istituto di credito l’onere di produrre gli estratti a partire dall’apertura del conto, in modo da consentire la ricostruzione integrale dell’andamento del dare e dell’avere[6].
Svolgimento del processo
Nel caso di specie, i giudici della Corte d’Appello di Lecce[7], affermano il (condivisibile) principio secondo cui, in mancanza di tutti gli estratti conto, non potrà procedersi alla ricostruzione del saldo in quanto, qualora lo si facesse, questo sarebbe inficiato ab origine dall’illegittima applicazione al rapporto di conto corrente di interessi debitori e di capitalizzazione trimestrale degli stessi interessi. Conseguentemente spetta alla Banca provare la legittimità del credito e, dunque, dimostrare che lo stesso rapporto non fosse inficiato dall’applicazione degli oneri suindicati illegittimamente previsti in contratto. Conformemente possono richiamarsi numerose pronunce della Suprema Corte secondo cui, con riferimento ai rapporti bancari in conto corrente, una volta che si escluda la validità, per mancanza dei requisiti previsti ex lege, della pattuizione di interessi ultralegali a carico del correntista, “la banca, al fine di dimostrare il proprio credito, ha l'onere di produrre gli estratti a partire dall'apertura del conto e non può sottrarsi all'assolvimento di tale onere invocando l'insussistenza dell'obbligo di conservare le scritture contabili oltre dieci anni, perché non si può confondere l'onere di conservazione della documentazione contabile con quello di prova del proprio credito” (così Cass. 25.11.2010 n. 23974; conf. Cass. 26.1.2011 n. 1842 e 19.9.2013 n. 21466).
Nondimeno gli stessi giudici, contrariamente a quanto affermato in una recente pronuncia della Corte di Cassazione[8], ritengono che non sia onere del correntista fornire la prova della fondatezza della propria domanda producendo l’estratto conto zero. L’impossibilità di determinare con esattezza l’ammontare dare/avere tra le parti, rispetto ad una certa data, dovuta alla mancanza di idonea documentazione, non può ritenersi elemento sanante degli illegittimi addebiti adoperati dalla Banca.
Pertanto, attestandosi ai princìpi di cui all’art. 2697 c.c., non potrà che procedersi ai conteggi partendo dal c.d. saldo zero, ovvero da una posizione in cui nessuna delle parti vanta debiti/crediti nei confronti dell'altra. È altresì pienamente condivisibile l’ulteriore affermazione del giudice secondo cui il saldo zero non costituisce necessariamente un punto favorevole per il correntista, ben potendosi verificare la situazione che, all’esito del ricalcolo operato escludendo gli addebiti illegittimi, vede un saldo positivo per il cliente della Banca. In altre parole il giudice effettua una valutazione equitativa che consente, in mancanza di adeguata prova, di utilizzare un saldo (il saldo zero) che rappresenti il corretto punto di partenza per poter effettuare il ricalcolo alla luce delle informazioni relative alle operazioni effettuate sul conto corrente bancario.
La posizione della Suprema Corte
Sul punto è stata chiamata ad esprimersi la Corte di Cassazione[9]. Parte ricorrente, l’Istituto di credito, tra le varie doglianze, lamentava l’applicazione del c.d. saldo zero e la violazione dell’art. 2697 c.c. per aver posto a suo carico la prova del saldo iniziale.
Con riferimento a tali rimostranze gli ermellini evidenziano che l’applicazione del saldo zero non è stata consequenziale alla supposizione dell’illegittimità delle clausole applicate ma necessitata dall’impossibilità di ricostruire l’andamento del conto senza effettuare «una sorta di sanatoria degli addebiti illegittimi verosimilmente operati dall'Istituto di credito in tale periodo».
Eccezione di prescrizione
La corte territoriale prima, e la Suprema Corte dopo, ribadiscono l’ormai pacifico principio secondo cui l’azione di ripetizione dell’indebito proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità della pattuizione inerente la capitalizzazione trimestrale degli interessi maturati nell’ambito di un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, è soggetta all’ordinaria prescrizione decennale, che decorre, nel caso di versamenti aventi funzione meramente ripristinatoria della provvista, dall’estinzione del saldo di chiusura del conto, e non dall’annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati. In tale evenienza, infatti, i versamenti non sono qualificabili come pagamenti con conseguente decorrenza del termine prescrizionale del diritto alla ripetizione, giacchè il pagamento che può dar vita ad una pretesa restitutoria è esclusivamente quello che si sia tradotto nell'esecuzione di una prestazione da parte del solvens, con conseguente spostamento patrimoniale in favore dell'accipiens (cfr. Cass., Sez. Un., 2/12/2010, n. 24418; Cass., Sez. I, 24/05/2016, n. 10713; 24/03/2014, n. 6857). Ne deriva che, nel caso di specie, trattandosi di rapporto bancario ancora in corso, solo i versamenti effettuati in presenza di uno scoperto e atti a ricondurre il saldo nei limiti del fido saranno qualificabili come pagamenti, la cui effettuazione diretta all’estinzione di un debito inesistente in quanto determinato dall’applicazione di una clausola nulla, farà sorgere il diritto alla ripetizione, con la conseguente decorrenza del termine di prescrizione. Nonché, sarà onere della banca allegare tali rimesse, la quale, eccependo la prescrizione, dovrà dimostrare l’effettuazione di rimesse solutorie nel corso del rapporto.
Conclusioni
Deve ritenersi condivisibile l’interpretazione data dalla Corte d’Appello di Lecce, in primis, e successivamente ribadita e confermata dalla Suprema Corte. L’argomentazione seguita dal giudice relatore, oltre che puntuale e analitica, rispetta l’impianto normativo delineato dagli artt. 2697 c.c. e 119 TUB, fornisce un nuovo orientamento che merita particolare attenzione ed è destinata, auspicabilmente, a diventare un punto di riferimento per una materia particolarmente delicata.
[1] Cass. Civ., Sez. I, Ordinanza n. 28819 del 30.11.2017.
[2] App. Lecce, Sez. II Civ., n. 904, del 12.11.2015.
[3] L. Albanese, L’anatocismo bancario alla prova del «saldo zero», in Responsabilità Civile e Previdenza diretto da G. Iiudica – U. Carnevali, Giuffrè, Milano, n. 3, 2016, pg. 932; cfr. Trib. Lecce, 30 giugno 2014 n. 3072, in www.altalex.com; Di Napoli, Anatocismo bancario e vizi nei contratti, Santarcangelo di Romagna, 2015, pg. 412 ss.
[4] Per maggiori approfondimenti sul tema vedi L. Albanese, L’anatocismo bancario alla prova del «saldo zero», in Responsabilità Civile e Previdenza diretto da G. Iudica – U. Carnevali, Giuffrè, Milano, n. 3, 2016.
[5] App. Lecce, cit.
[6] Cass. Civ., Sent. 6385/2017 in www.ilcaso.it.
[7] App. Lecce, cit.
[8] Cass. Civ., 7.05.2015 n. 9201.
[9] Cass. Civ. Sez. VI, Odinanza n. 28819 del 30.11.2017.