Nella sentenza in esame, in materia di applicazione delle sanzioni amministrative previste per la violazione delle norme che disciplinano l’attività di intermediazione finanziaria, la Suprema Corte chiarisce innanzitutto, con riguardo al sistema delle fonti, il principio della prevalenza della disciplina contenuta nella lex specialis n. 689 del 1981. È manifesta, infatti, l’inidoneità della fonte secondaria – regolamento Consob n. 18750 del 2013 sul procedimento sanzionatorio – ad incidere sulla disciplina dettata dalla legge sopracitata. Da ciò ne discende che il termine procedimentale, “autoimposto” dal regolamento de quo per la conclusione del procedimento, ha una mera valenza sollecitatoria.
Con riferimento all’art. 195 TUF, relativo alla procedura sanzionatoria, si rileva necessaria l’applicazione del principio costantemente affermato dalla Corte a partire dalle Sezioni Unite n. 5395 del 2007, secondo il quale la decorrenza del termine di contestazione degli illeciti va individuata nel giorno in cui la Commissione in composizione collegiale, dopo l’esaurimento dell’attività ispettiva e di quella istruttoria, è in grado di adottare le decisioni di sua competenza.
In tema di vigilanza sull’attività di intermediazione finanziaria, la Suprema Corte richiama il disposto di cui all’art. 1, commi 2 e 3, TUF, il quale, delineando gli ambiti di competenza di Consob e Banca d’Italia, prevede un sistema di controllo duale che consente la duplicità di procedimenti sanzionatori: in particolare, alla Banca d’Italia è attribuita la competenza relativa al controllo del rischio ed alla stabilità patrimoniale, mentre alla Consob quella relativa alla trasparenza ed alla correttezza dei comportamenti (Cass. 07/04/2016, n. 6738).
In merito al dovere di agire informati proprio dei membri dell’organo amministrativo, di cui agli artt. 2381 e 2392 c.c., la Corte afferma, come già precedentemente (ex plurimis, Cass. 30/09/2009, n. 20933), che il componente del consiglio di amministrazione, chiamato a rispondere per omissione di vigilanza, non può esimersi da responsabilità adducendo che le operazioni integranti l’illecito sarebbero state realizzate da altro soggetto, dotato di ampia autonomia. Più specificamente, Cassazione n. 2737 del 2013 ha enucleato il principio secondo il quale “il dovere di agire informati dei consiglieri non esecutivi delle società bancarie, sancito dall’art. 2381 c.c., commi 3 e 6, e art. 2392 c.c., non va rimesso, nella sua concreta operatività, alle segnalazioni provenienti dai rapporti degli amministratori delegati, giacché anche i primi devono possedere ed esprimere costante e adeguata conoscenza del business (bancario) e, essendo compartecipi delle decisioni di strategia gestionale assunte dall’intero consiglio, hanno l’obbligo di contribuire ad assicurare un governo efficace dei rischi di tutte le aree della banca e di attivarsi in modo da poter efficacemente esercitare una funzione di monitoraggio sulle scelte compiute dagli organi esecutivi”.
In tale prospettiva, con sentenza n. 22848 del 2015, la Corte ha precisato che gli amministratori privi di deleghe sono tenuti ad agire in modo informato e, in ragione dei requisiti di professionalità, ad ostacolare l’evento dannoso, sicché rispondono del mancato utile attivarsi.
Ne consegue che la responsabilità dei membri dell’organo amministrativo prescinde dalla individuazione di specifici indici di allarme, giacché inerisce al mancato esercizio dell’attività istituzionalmente e funzionalmente riservata agli amministratori. Nel caso di specie, dalla mancata presenza del singolo membro in consiglio al momento dell’approvazione non si può affermare la sua estraneità all’operazione in questione, in quanto, data la sua peculiare importanza, la stessa non può essere ricondotta al solo momento dell’approvazione da parte del consiglio di amministrazione.