La Corte di Cassazione ha ritenuto infondate le censure per falsa applicazione dell’articolo 195 T.U.F. e dell’articolo 14, commi primo, secondo e sesto della Legge n.689/81, mosse dalla Consob nei confronti della sentenza della corte territoriale con la quale quest’ultima ha annullato la sanzione della prima sull’assunto della tardività della contestazione dell’illecito.
Nel caso di specie l’Autorità di Vigilanza aveva sanzionato nel corso dell’anno 2015 una nota società di revisione per la violazione dei principi di revisione, dopo che già nel 2012 era stata emessa nei confronti della società revisionata una delibera declaratoria di non conformità del bilancio alle norme che ne disciplinavano la redazione. Nella sentenza della corte territoriale si argomenta che, una volta riscontrato che gli elementi posti alla base della delibera impugnata erano a disposizione della Consob già dal dicembre 2012, l’avvio della procedura di contestazione nei confronti del revisore, risalente al gennaio 2014, risultava largamente tardivo rispetto al termine di 180 previsto dalla Legge.
Secondo la Consob, con detta argomentazione, la corte territoriale si sarebbe spinta sino a una valutazione a posteriori sulla rilevanza dell’attività istruttoria compiuta dopo l’emissione della delibera nei confronti della società revisionata, pretendendo così di esercitare un indebito sindacato sulla decisione dell’Amministrazione procedente di proseguire nell’istruttoria per conseguire ulteriori elementi di valutazione.
In ossequio al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, nel caso in esame la Suprema Corte ha ribadito che, per la Consob, il termine di contestazione dell’illecito decorre dal momento in cui la stessa risulti in grado di adottare le decisioni di sua competenza, senza che si possa tener conto di ingiustificati ritardi derivanti da disfunzioni burocratiche o artificiose protrazioni nello svolgimento dei compiti assegnati. Con la precisazione che il momento dell’accertamento in relazione al quale collocare il dies a quo del termine previsto dalla L. 689/81, art. 14, comma 2, per la notifica degli estremi della violazione non coincide con quello in cui viene acquisito il “fatto” nella sua materialità da parte dell’Autorità a cui è stato trasmesso il rapporto, ma va individuato nel momento in cui detta Autorità abbia acquisito e valutato tutti i dati indispensabili ai fini della verifica dell’esistenza della violazione segnalata, ovvero quello in cui il tempo decorso non risulti ulteriormente giustificato dalla necessità di tale acquisizione e valutazione.
Secondo la Corte, occorre pertanto individuare – secondo le particolarità dei singoli casi – il momento in cui ragionevolmente la contestazione avrebbe potuto essere tradotta in accertamento, momento da cui deve farsi decorrere il termine per la contestazione stessa.
In tale contesto, sebbene il giudice di merito non possa, ai fini della decorrenza del termine di contestazione, sostituirsi all’amministrazione nel valutare l’opportunità degli atti istruttori collegati ad altri e compiuti senza apprezzabile intervallo temporale – considerata la non sindacabilità in sede di legittimità delle valutazioni relative alla congruità del tempo impiegato nelle indagini necessarie per l’accertamento dell’illecito – lo stesso, a fronte di circostanziate doglianze con cui l’opponente lamenti la dilatazione dei tempi di contestazione, deve specificamente motivare sulle ragioni che lo inducono a giudicare tali tempi ragionevoli e congrui e, pertanto, deve compiere un’indagine puntuale per determinare il tempo ragionevolmente necessario all’Autorità per giungere alla contestazione dell’illecito.