Con la pronuncia in oggetto, la Corte di Cassazione si è pronunciata in merito al rapporto tra scudo fiscale e attività di accertamento.
In particolare, evidenzia la Corte, la limitazione normativa agli «imponibili rappresentati dalle somme o dalle altre attività costituite all’estero e oggetto di rimpatrio» richiede la dimostrazione di una concreta correlazione oggettiva (quanto meno di compatibilità, se non di immediata derivazione, oltre che cronologica e quantitativa) tra il reddito accertato e la provenienza delle somme o dei beni rimpatriati o regolarizzati, nel senso che il reddito non dichiarato, oggetto di accertamento, deve essere collegato alle somme o ai beni emersi a seguito dei rimpatrio, restando pertanto escluse dall’efficacia inibente dello “scudo” tutte quelle fattispecie in cui l’accertamento abbia ad oggetto componenti estranei rispetto alle attività “scudate” e con essi non compatibili.
L’attribuzione al contribuente di tale onere, continua la Corte, è coerente con il cd. principio di vicinanza della prova, rispetto ai dati necessari a dare conto della correlazione tra gli imponibili in questione e le somme o le altre attività costituite all’estero e oggetto di rimpatrio, che rientrano nella disponibilità del contribuente e non sono parimenti conosciuti immediatamente dall’Amministrazione.
Nel caso di specie la sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione di tali principi avendo ritenuto automaticamente operante il contestato effetto preclusivo dello “scudo fiscale” opposto dalla contribuente, omettendo di verificare in maniera adeguata se, nel caso concreto, fosse possibile ricondurre gli imponibili accertati alle somme oggetto di rimpatrio.