Il Collegio di Roma, con decisione 29aprile 2015, n. 3371, si è pronunciato su un caso nel quale è stata effettuata la segnalazione in centrale in rischi in mancanza di dimostrata ricezione o conoscenza del preavviso da parte del cliente, con riferimento – tra l’altro – ad un finanziamento estinto. In particolare, il cliente ha lamentato di non aver ricevuto tale preavviso, come per contro imposto dall’art. 4, comma 7, del Codice di deontologia e buona condotta per i sistemi di informazioni creditizie, e di aver appreso della riferita segnalazione solo un anno dopo l’estinzione del suddetto finanziamento. L’intermediario ha allegato la trasmissione dell’avviso seppur non a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento (o mezzo equivalente). A tale ultimo riguardo, ha tuttavia posto in evidenza che non è prevista alcuna forma specifica per la spedizione del preavviso di segnalazione e che il Collegio di Coordinamento con decisione 24 settembre 2012, n. 3089 ha consentito che «la prova della ricezione del preavviso o comunque della conoscenza di imminente segnalazione da parte del cliente debitore possa essere fornita anche dalla presenza di indizi gravi, precisi e concordanti»: indizi che sarebbero sussistenti nel caso di specie.
Nella decisione in esame, il Collegio di Roma ha ribaditola necessità dell’invio del preavviso, con riferimento al quale l’intermediario può dimostrare, direttamente, la ricezione. In alternativa, nell’ipotesi in cui sia in grado di allegare la spedizione, ma non la ricezione, non può comunque beneficiare della presunzione di cui all’art. 1335 c.c., rimanendo gravato dall’onere di dimostrare la conoscenza, da parte del cliente, circa l’imminente segnalazione[1]. Peraltro, in ragione del difetto, sul piano normativo, di una regola di forma per l’invio del preavviso, il Collegio ha ritenuto che,dal mancato assolvimento del suddetto onere probatorio, non può conseguire «automaticamente» l’illegittimità dell’avviso[2]. Ne deriverebbe la possibilità, per il Collegio, di valutare comunque l’avvenuta ricezione del preavviso da parte del cliente segnalato sulla base di «tutti gli elementi di conoscenza dei fatti che gli atti della controversia offrono». Nella specie, il collegio ha ritenuto che tale prova non fosse desumibile dagli atti del caso ed ha quindi accolto il ricorso del cliente, nella parte in cui chiedeva la cancellazione delle segnalazioni[3].
Il tema è quello delle comunicazioni bancarie[4]. In particolare, con riferimento alla necessità del preavviso – il cui contenuto deve essere puntuale e specifico –, giova rilevare che un primo orientamento dell’ABF non si poneva neanche il problema circa l’operatività degli artt. 1334 e 1335 c.c., considerando, fra l’altro, legittima una valutazione circa la condotta pregressa del debitore: da quest’ultimasi sarebbe potuto desumere se la ricezione «avrebbe potuto orientare diversamente il suo comportamento»[5]. Tale soluzione non era condivisibile, là dove fissava una «presunzione» circa la futura condotta del debitore, mediante una sorta di costruzione di una figura di «inadempiente tipico».
Nella decisione in commento, l’Arbitro si pone in linea con la soluzione interpretativa più recente, secondo la quale è necessario far ricorso a mezzi che garantiscano «la certezza e l’effettività della ricezione del preavviso di segnalazione da parte dell’interessato»[6]. Al contempo, tuttavia, sembra incorrere in quella tendenza – già rilevata in dottrina – che per lo più cerca «un fondamento specifico» per le proprie decisioni, anziché far ricorso alle clausole generali[7], con una conclusione che non pare, tuttavia, conforme alle premesse. L’iter argomentativo (anche della richiamata decisione del Collegio di Coordinamento)[8] conduce a tali conclusioni: da un lato, il mancato ricorso a mezzi in quali dimostrino la ricezione del preavviso da parte del cliente determina l’accollo dell’onere della prova della conoscenza in capo all’emittente; dall’altro lato, la mancata previsione «di prescrizioni normative circa la forma di tale specifica comunicazione» consente il rinvio al formarsi del libero convincimento del giudicante, e quindi determina la possibilità per l’Arbitro di desumere la conoscenza anche da «tutti gli elementi di conoscenza dei fatti che gli atti della controversia offrono»[9]. Il che tenuto altresì conto «dei caratteri istituzionali dell’ABF i quali limitano i mezzi di prova proponibili dalle parti, escludendo, ad esempio, la prova testimoniale, debbano indurre ad utilizzare estensivamente e non già restrittivamente il potere di valutazione discrezionale delle prove di cui è munito il giudice quando non sussistano regole legali che vincolano la forma della prova»[10].
Nemmeno la soluzione interpretativa ora riferita riesce a convincere pienamente. In tal modo, si viene nella sostanza a permettere al giudice un ricorso allo strumento delle presunzioni operante con effetto integrativo delle deficienze probatorie dell’intermediario: con soluzione non conforme ai principi. Delle due l’una: o il preavviso è un atto recettizio, oppure non è tale, con tutte le conseguenze che ne derivano. Se l’onere della prova incombe sull’emittente,non dovrebbe infatti esservi spazio per una sorta di valutazione/integrazione “d’ufficio” da parte del Collegio, con la conseguenza che la segnalazione alla Centrale dei rischi deve considerarsi illegittima. L’attribuzione di un simile potere appare, altresì, contraria al principio d’imparzialità dell’organo decidente (art. 128-bis, t.u.b.)[11]. Il Collegio giustifica la propria decisione con il difetto di norme espresse per quanto concerne la forma del preavviso, che tuttavia non sembra poter incidere sulla questione. In giurisprudenza, si ritiene, infatti, che la natura recettizia dell’atto dipende non dalla forma eventualmente prescritta dal legislatore, ma dalla funzione[12]. Nella specie, la necessità della conoscenza da parte del cliente si desume non solo e non tanto sul piano letterale, atteso che viene utilizzata (in luogo di semplice “comunica”) la locuzione “avverte” (art. 4, comma 7, del Codice di deontologia e buona condotta per i sistemi di informazioni creditizie), quanto dall’obiettivo assolto dal preavviso, che consente al cliente di attivarsi, eliminando le conseguenze negative della segnalazione (contestandone la fondatezza o provvedendo ad adempiere).
[1] Cfr., in senso conforme, le decisioni dei Collegi citate in Dolmetta,Trasparenza dei prodotti bancari. Regole, Bologna, 2013, 223; nonché, di recente, ABF, Collegio di Milano, 19 aprile 2013, n. 2083, in BBTC, 2014, I, 239 ss., con nota di F. Pasquariello.
[2] Sempre richiamando la richiamata decisione del Collegio di Coordinamento,24 settembre 2012, n. 3089.
[3] Per contro, il Collegio ha respinto la domanda di risarcimento dei danni, «in quanto del tutto priva di prova» e ha dichiarato «non ripetibili le spese di assistenza professionale», perché di «importo sproporzionato e quindi completamente implausibile». Il Collegio ne esclude la risarcibilità non in astratto – a differenza di quanto ritenuto in altre decisioni (cfr. ABF, Collegio di Napoli, 11 agosto 2010, n.880)–, bensì in concreto, perché privo di dimostrazione da parte del cliente[3]. Tale conclusione appare in linea con quanto statuito dalla Suprema Corte, la quale ha escluso che il danno possa essere “in re ipsa”, pur rilevando che «la posizione attorea è tuttavia agevolata dall’onere della prova più favorevole, come descritto all’art. 2050 c.c., rispetto alla regola generale del danno aquiliano, nonché dalla possibilità di dimostrare il danno anche solo tramite presunzioni semplici e dal risarcimento secondo equità» (in tal senso, proprio con riferimento ad un caso di illegittima segnalazione alla Centrale dei rischi, Cass., 5 marzo 2015, n. 4443, in Giust. Civ.com, 2015, con nota di A. Napolitano). Sui problemi, in tema di liquidazione del danno, derivanti dal sistema probatorio: Dolmetta, op. cit., 28.
[4] Dolmetta, op. cit., 222 ss.
[5] ABF, Collegio di Napoli, 11 agosto 2010, n.880, secondo il quale «la peculiare dinamica dell’esecuzione del rapporto contrattuale qui in esame da parte del ricorrente, caratterizzata, come emerge dalla narrativa contenuta nel “fatto”, dalla dimostrata abitualità del ritardo nei pagamenti, induce, peraltro, ad escludere che il preavviso di segnalazione in CRIF, di cui viene addotta la mancata ricezione (nonostante l’affermata – da parte dell’intermediario resistente – reiterazione dell’invio all’abituale indirizzo), avrebbe potuto orientare diversamente il suo comportamento, quale nei fatti concretamente tenuto».
[6] ABF, Collegio di Roma, 9 agosto 2010, n.878.
[7] Dolmetta, op. cit., 80 s.
[8]Collegio di Coordinamento, 24 settembre 2012, n. 3089.
[9] «Posto però che nessun requisito di forma è normativamente previsto per il preavviso anzidetto, il richiamato principio dell’onere della prova acquista carattere di regola residuale di giudizio e pertanto la soccombenza della parte onerata che consegue alla valutazione di illiceità della segnalazione, dipende non solo dalla mancata dimostrazione da parte dell’intermediario di aver posto il preavviso dovuto nella sfera di conoscibilità del cliente segnalando, ma dalla impossibilità che il convincimento del Collegio giudicante circa l’effettivo adempimento dell’obbligo di preavviso possa formarsi in base a tutti gli elementi di prova comunque acquisiti»: Collegio di Coordinamento, 24 settembre 2012, n. 3089.
[10] Così, ancora, il Collegio di Coordinamento, 24 settembre 2012, n. 3089.
[11] Cfr., sul punto, seppur con una pronuncia emessa in un procedimento cautelare, Trib. Asti, 24 giugno 2015, che, dal mancato assolvimento dell’onere della prova da parte dell’intermediario, fa discendere l’illegittimità della segnalazione.
[12] Cass. 4 dicembre 1989, n. 5322 («nel contratto di agenzia il recesso del preponente, caratterizzato da libertà di forma, è atto recettizio, che produce i suoi effetti dal momento in cui perviene a conoscenza del destinatario»); Cass., 3 ottobre 1985, n. 4783.