Con Sentenza n. 24209 del 4 agosto 2022, la Corte di Cassazione si è espressa sulla responsabilità del direttore di filiale per omesse segnalazioni antiriciclaggio.
In tema di sanzioni amministrative per la violazione della normativa antiriciclaggio, ai sensi dell’articolo 3 del Decreto Legge n. 143 del 1991, sostituito dall’articolo 1 del Decreto Legislativo n. 153 del 1997, il potere di valutare le segnalazioni e (in caso di ritenuta fondatezza delle medesime) trasmetterle al questore, spetta soltanto al “titolare dell’attività”, mentre il “responsabile della dipendenza”, cui è attribuito un margine di discrezionalità ridotto, è tenuto a provvedere alle segnalazioni antiriciclaggio al suo superiore di ogni operazione che lo induca a ritenere che il suo oggetto possa provenire dai reati di cui agli artt. 648 bis e 648 ter c.p.
Risponde, pertanto, della sanzione di cui all’art. 5, comma 5, d.l. n. 143 del 1991, il direttore di filiale della banca che, quale responsabile di primo livello ai sensi del precedente art. 3, comma 1, abbia omesso di inoltrare la suddetta segnalazione all’organo direttivo del proprio istituto di credito.
Inoltre, continua la Cassazione, l’obbligo di segnalazioni antiriciclaggio a carico del direttore di filiale, dell’ufficio o di altro punto operativo di operazioni che a suo avviso, sulla base dei parametri indicati dalla legge, potrebbero provenire da taluno dei reati indicati nell’articolo 648-bis c.p., stabilita dall’art. 3, primo e secondo comma, del d.l. 3 maggio 1991, n. 143 non è subordinata all’evidenziazione dalle indagini preliminari dell’operatore e degli intermediari di un quadro indiziario di riciclaggio, e neppure all’esclusione, in base al loro personale convincimento, dell’estraneità delle operazioni ad una attività delittuosa, ma ad un giudizio obiettivo sulla idoneità di esse, valutati gli elementi oggettivi e soggettivi che la caratterizzano, ad essere strumento di elusione alle disposizioni dirette a prevenire e punire l’attività di riciclaggio
Nel caso di specie era indubbio che il direttore di filiale si trovasse in una situazione caratterizzata da un convergere di dati soggettivi e oggettivi, che ne evidenziava lo scopo elusivo.
Infatti, evidenzia la Cassazione, dalle peculiari circostanze del caso di specie, c’era da attendersi dal preposto bancario qualificato il sospetto che il denaro, i beni e le utilità che ne formano oggetto, o in relazione alle quali l’operazione veniva effettuata o richiesta, potessero provenire dai delitti previsti dagli articoli 648bis e 648ter cp, con conseguente obbligo di provvedere alle dovute segnalazioni antiriciclaggio.
In particolare, si indicano di seguito le circostanze univocamente convergenti evidenziate:
- il conto corrente era destinato ad una “famiglia consumatrice”;
- in pochi mesi erano state movimentate somme di denaro cospicue e anomale (circa € 1.100,000);
- movimentazione, che, rapidamente si chiudevano in addebito mediante partite d’uscita di pari importo;
- la reiterazione, in quel breve lasso temporale, delle medesime operazioni di accredito/addebito;
- elementi, questi, che abbastanza nitidamente indirizzavano per un uso del conto al fine di consentire il transito di operazioni, la cui giustificazione economica restava oscura e non tracciabile, così da consentire la “ripulitura di denaro sporco”, ricollegabile ai reati di riciclaggio;
- gli assegni circolari erano equiparabili al denaro contante;
- la congetturata cattiva gestione del conto personale, che aveva condotto a un pressoché immediato pareggiamento delle cospicue entrate con altrettante uscite, in assenza di apprezzabile giustificazione, avrebbe comunque dovuto allertare il preposto della banca.