In riferimento alla sentenza pronunciata dal Tribunale di Arezzo in data 11 febbraio 2016 (cfr. contenuti correlati), la Corte di Appello di Firenze si è pronunciata, in data 6 maggio 2016, sul reclamo proposto da Banca dell’Etruria in bonis, avverso la medesima.
In merito, la Corte si è espressa confermando la conclusione a cui già era giunto il giudice di prime cure circa la sussistenza «inequivocabile» dello stato di insolvenza. Ciò, pur non condividendo i passaggi svolti da quella motivazione.
La Corte, in particolare, prende le distanze circa il momento da considerare ai fini della valutazione sulla sussistenza dello stato di insolvenza. Nella specie, il giudizio non dovrà soffermarsi sullo stato in cui versava la banca al momento dell’apertura della risoluzione (ex art. 36, comma 2, d. lgs. 180/2015), ma dovrà avere riguardo alla situazione di fatto esistente all’esito della stessa, dunque al momento di apertura della procedura di liquidazione coatta amministrativa. (il dato normativo a cui riferirsi sarebbe, dunque, il combinato disposto degli artt. 38, comma 3, d. lgs. sopra citato, art. 82, comma 2, TUB e art. 202 l. fall.). Ciò in quanto, mentre l’apertura della risoluzione mira alla continuità dei rapporti e alla stabilità del sistema, la seconda, per contro, «non consentirebbe di realizzare questi obbiettivi nella stessa misura».
Ciò posto, tutti i motivi di reclamo sollevati dalla Banca in bonis risultano irrilevanti. All’esito della risoluzione e all’apertura della liquidazione i dati numerici parlano chiaro: attivo zero, passivo € 305 milioni. Il venir meno dell’attivo e la mancata estinzione delle passività – conclude la Corte – comprova indiscutibilmente come le condizioni di solvibilità della Banca siano definitivamente venute meno.