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Attualità

Sequestri e confische penali: limiti alla tutela del terzo creditore

31 Gennaio 2024

Laura Pelucchi,  Partner, La Scala Società tra Avvocati

Stefano Gerunda, Lateral Partner, La Scala Società tra Avvocati

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo affronta il tema del rapporto tra la tutela del creditore in sede civile e la presenza di sequestri e confische penali.


Introduzione

Come noto, il tema del rapporto tra la tutela del creditore in sede civile e la presenza di sequestri e confische penali ha assunto da tempo una grande rilevanza nel nostro ordinamento e questo in virtù della sottesa necessità di contemperare le esigenze private dei terzi creditori con quelle pubbliche tipiche del procedimento penale.

Prima di entrare quindi nel merito di quello che è ad oggi l’attuale disciplina normativa ed il contesto dottrinale e giurisprudenziale che si è venuto a creare, appare utile un brevissimo inquadramento della questione.

Sotto il profilo civilistico, in linea generale appare pacifica la possibilità riconosciuta al creditore, che voglia tutelare le proprie ragioni, di poter aggredire esecutivamente il patrimonio del debitore, costituendo un vincolo giuridico sui beni dello stesso al quale viene intimato di astenersi dal compiere qualunque atto idoneo a sottrarli alla garanzia del credito.

Di contro, dal punto di vista penale, si pone la necessità di assicurare l’efficacia dell’azione repressiva dello stato nei confronti di organizzazioni criminali caratterizzate da una notevole pericolosità.

In questo senso lo strumento riconosciuto dal nostro ordinamento è la confisca penale che, in estrema sintesi, consiste nell’atto con il quale lo Stato acquisisce senza corrispettivo i beni di un privato.

Nello specifico, la confisca penale ha per l’appunto come finalità quella di prevenire o reprimere la commissione di reati e può configurarsi in una misura successiva alla commissione dell’illecito penale o può avere natura preventiva.

La prima costituisce una misura di sicurezza reale che segue la commissione di un reato e presuppone la condanna, mentre la seconda costituisce una misura di prevenzione patrimoniale che non esige l’accertamento della commissione di un reato ma soltanto la sussistenza di sufficienti indizi della loro provenienza illecita.

La disciplina di questo istituto trova diverse fonti, sia a livello nazionale, sia internazionale e, ad oggi, viene declinata all’interno dell’ordinamento giuridico in modo da poter soddisfare differenti utilità.

In questo scenario appare, quindi, evidente, da un lato, il contrasto tra l’interesse del creditore pignorante (e solitamente ipotecario) e l’interesse pubblico dello Stato e, dall’altro lato, la necessità di individuare il corretto equilibrio tra le due esigenze.

In primo luogo, va, infatti, assicurata l’efficacia dell’azione penale dello Stato e, in secondo luogo, non si può non considerare l’esigenza di tutelare il terzo estraneo ai fatti che hanno dato luogo alle misure di prevenzione, soprattutto, se munito di ipoteca iscritta in data antecedente al provvedimento penale.

La disorganicità degli interventi diretti ad ampliare gli strumenti di contrasto e di prevenzione ai patrimoni illecitamente accumulati, come vedremo, ha imposto alla giurisprudenza (e alla dottrina) di affrontare tutta una serie di problemi applicativi volti soprattutto a tutelare proprio i soggetti terzi i cui diritti possono essere compromessi da tali provvedimenti: sia nella fase che va dal sequestro alla confisca definitiva, in cui il bene è sottratto provvisoriamente ed è amministrato o custodito da un organo dello Stato, sia dopo la confisca in cui il bene è acquisito definitivamente al patrimonio dello Stato.

La questione quindi, oltre ad essere particolarmente complessa ed articolata, mette in luce delle tematiche particolarmente delicate, ma allo stesso tempo rilevanti: il terzo creditore che vanta un legittimo diritto di credito, spesso garantito una garanzia ipotecaria, a causa del provvedimento in sede penale, rischia di vedersi privato del bene grazie al quale avrebbe potuto soddisfare il proprio credito con evidenti conseguenze in termini economici.

La tutela del terzo creditore nell’ambito del procedimento di prevenzione: la problematica della buona fede e della strumentalità per i crediti sorti ante sequestro

A pena di dubbia legittimità costituzionale del complesso sistema dei sequestri e delle confische, con particolare riferimento alle misure ablative disposte in sede di prevenzione, il legislatore ha creato un parallelo e articolato sistema volto a fornire tutela al terzo creditore (anche ipotecario) del soggetto destinatario di un provvedimento di sequestro.

Nello specifico, presupposti per cui un creditore vantante un diritto antecedente al sequestro possa agire per vedere riconosciuto il proprio credito sono dettagliatamente riportate agli artt. 52 e ss. del D.Lgs. 159/2011 (ossia al Titolo IV del c.d. “Codice Antimafia”).

Proprio all’art. 52 (rubricato appunto “Diritti dei terzi”) sono indicati i requisiti necessari affinché il diritto di credito di terzi possa trovare tutela nell’ambito di un procedimento di prevenzione a seguito di una misura patrimoniale di prevenzione disposta a carico del debitore.

Nulla questio in merito ai primi due requisiti per il riconoscimento dei diritti del terzo: il primo è che il credito risulti da atti aventi data certa anteriore al sequestro, laddove poi questo sia garantito da un diritto reale di garanzia, anche questo deve essere stato costituito in epoca anteriore al sequestro.

Il secondo requisito è che colui che è stato attinto da una misura ablativa di prevenzione (c.d. “proposto”) non disponga di altri beni sui quali il credito può esercitare la garanzia patrimoniale in misura idonea al soddisfacimento del credito.

Di talché, qualora il proposto abbia ancora altri beni nella sua disponibilità, il creditore potrebbe trovare tutela aggredendo direttamente questi per trovare soddisfacimento, attivandosi in sede di prevenzione solo in via sussidiaria.

Assunto che non vale, invece, per i creditori che godono di diritti reali di garanzia sui beni sequestrati, i quali possono agire direttamente in sede di prevenzione per vedere soddisfatte le proprie pretese (senza quindi previa escussione del patrimonio del proposto).

Particolarmente problematico è, invece, il terzo requisito previsto dall’art. 52 lett. b) del Codice: la c.d. “buona fede” del creditore e la contestuale assenza di strumentalità del credito all’attività illecita perpetrata dal destinatario del sequestro.[1]

Bisogna evidenziare che il legislatore, dopo l’introduzione del Codice Antimafia, ha nel corso degli anni sempre cercato di restringere i presupposti di riconoscimento di tale requisito (ledendo, quindi, gli interessi dei creditori interessati a vedere tutelate le proprie pretese).

La formulazione originaria dell’art. 52 lett. b) D.Lgs. 159/2011 prevedeva infatti che il credito del terzo poteva essere riconosciuto qualora non fosse strumentale all’attività illecita del proposto, a “meno che il creditore dimostri di avere ignorato in buona fede il nesso di strumentalità”. Quindi, agli albori dell’entrata in vigore del Codice Antimafia, il creditore era tenuto solo a provare la mancanza di strumentalità del suo credito e, nel caso non vi fosse riuscito, avrebbe potuto vedere comunque riconosciute le proprie pretese dimostrando di avere contratto il credito in buona fede.

Con la L. 161/2017, il legislatore ha radicalmente modificato quanto previsto dall’art. 52 lett. b) del Codice Antimafia, imponendo al terzo creditore che vuole vedere riconosciuto il proprio credito la dimostrazione che questo non sia strumentale all’attività illecita del proposto (come nella formulazione precedente), sempre che il creditore dimostri la buona fede e l’inconsapevole affidamento”.

Di talché, secondo la nuova formulazione della norma, il creditore – per vedere riconosciuto il proprio diritto – dovrebbe fornire prova sia della mancanza di strumentalità del proprio credito all’attività illecita altrui, sia della propria buona fede.

Laddove poi il credito si riveli strumentale all’attività illecita, il creditore – anche di buona fede – non potrebbe più vedere riconosciuto il proprio credito.

Non v’è chi non veda come tale requisito, oltre che apparire di dubbia legittimità costituzionale sotto il profilo della ragionevolezza, di cui all’art. 3 Cost, restringa notevolmente la platea dei crediti riconoscibili in sede di prevenzione e vantati dai terzi.

Infatti, appare quanto mai arduo ipotizzare – anche nell’ambito di esercizio di un’attività bancaria – che il creditore possa attivarsi con una vera e propria indagine tale da escludere tout court qualsiasi rischio di strumentalità del proprio credito ad una ipotetica attività criminosa condotta dal debitore (indagine che parrebbe esperibile solo con banche dati in uso all’Autorità Giudiziaria e alle Forze dell’Ordine).

A titolo esemplificativo, si pensi ad un mutuo ipotecario concesso ad un richiedente per l’acquisto di un immobile ad uso abitativo. Tale abitazione potrebbe essere poi usata dal mutuatario, all’insaputa della Banca erogante il credito, per svolgere attività illecita. In tal caso, il credito concesso dalla Banca per l’acquisto dell’abitazione potrebbe essere ritenuto strumentale dal Giudice di prevenzione e dunque non tutelato in tale sede.

Sul punto è intervenuta la giurisprudenza di legittimità per mitigare il rigore dell’art. 52 del Codice Antimafia che, qualora fosse interpretato in maniera estremamente rigorosa, rischierebbe di danneggiare terzi creditori estranei alle condotte del debitore per il sol fatto di aver concesso in buona fede un credito rivelatosi strumentale ad un illecito.

Innanzitutto, la Suprema Corte di Cassazione ha recentemente avuto modo di affermare che – in ossequio ad una lettura costituzionalmente orientata della norma e a discapito del modificato dato letterale dell’art. 52 lett. b) D.Lgs. 159/2011 – la novella del 2017 nulla cambierebbe rispetto alla norma previgente, lasciando quindi invariata la possibilità al creditore di dimostrare la propria buona fede e vedere così riconosciuto il proprio credito anche laddove questo si riveli strumentale all’attività illecita del debitore. [2]

Secondo tale interpretazione dell’art. 52 D.Lgs. 159/2011, la norma escluderebbe ogni pregiudizio dei diritti di credito dei terzi preesistenti al sequestro, a meno che non risulti accertata la strumentalità del credito rispetto all’attività illecita. Solo in questo caso incombe al creditore, per far valere il proprio diritto, l’onere di dimostrare l’ignoranza in buona fede di tale nesso di strumentalità.

Sotto il profilo della buona fede del creditore, la giurisprudenza ha avuto modo di evidenziare come questa debba sussistere al momento in cui sorge il credito. Sicché, rimangono irrilevanti in tema di valutazione della buona fede del terzo le circostanze insorte in un momento successivo al sorgere del credito che abbiano inciso sulla conoscenza della sua strumentalità con l’attività illecita. [3]

I giudici di legittimità poi – con una pronuncia particolare rilevante per gli istituti di credito e concernente un mutuo ipotecario – hanno rilevato come per l’accertamento della buona fede si debba tenere conto delle condizioni delle parti, dei rapporti personali e patrimoniali tra le stesse e del tipo di attività svolta dal creditore (come peraltro previsto dal comma 3 dell’art. 52).

Pertanto, in caso di mutui ipotecari erogati da aziende di credito, assume particolare rilievo il rispetto della prassi e delle norme in materia di antiriciclaggio.

La stessa sentenza, inoltre, aggiunge che non è sufficiente ad escludere la buona fede della Banca erogante il mancato rispetto della buona prassi bancaria (quali attente verifiche sul mutuatario, sulle condizioni personali di questi, sulla sua attività lavorativa, ecc.) e della normativa antiriciclaggio, ma anche che tramite tali verifiche la Banca avrebbe potuto comprendere che il credito erogato sarebbe stato strumentale ad un’attività illecita. [4]

Appare quanto mai apprezzabile l’opera della giurisprudenza di mitigare – anche alla luce del dettato costituzionale – il rigore di una norma fondamentale per i terzi creditori che, seppur non siano destinatari diretti di un provvedimento ablativo di prevenzione, risultano comunque loro malgrado “coinvolti” e “danneggiati” dal provvedimento di sequestro disposto a carico del debitore.

Laddove tali requisiti sussistano, il creditore potrà avanzare all’Autorità Giudiziaria domanda di riconoscimento del proprio credito ai sensi del successivo art. 58 Codice Antimafia, a seguito della quale si instaura un procedimento volto ad identificare quali siano i terzi creditori che concorrono alla formazione dello stato passivo e al successivo piano di riparto.

Il diverso versante del procedimento penale: l’estensione del Codice Antimafia ai sequestri e alle confische disposte nell’ambito di un procedimento di cognizione

Quanto analizzato supra in tema di tutela del terzo creditore era stato previsto in origine esclusivamente con riferimento al procedimento di prevenzione, lasciando “sguarniti” i creditori di soggetti destinatari di un provvedimento di sequestro o confisca disposto in sede penale (procedimento diverso, come accennato, rispetto a quello di prevenzione).

Negli anni successivi all’entrata in vigore del Codice Antimafia vi è stato un acceso dibattito in seno alla giurisprudenza se tale normativa volta a tutelare il terzo creditore potesse applicarsi anche ad alcuni casi di confisca disposta in sede penale (soprattutto con riferimento alla c.d. “confisca allargata” prevista in origine dall’art. 12 sexies D.L. 306/1992, poi trasfuso nell’art. 104 bis disp. att. c.p.p.).

Dibattito, invero, mai sopito nonostante il legislatore fosse intervenuto con la L. 161/2017, modificando l’art. 12 sexies comma 4 bis D.L. 306/1992 e prevedendo un’esplicita applicazione delle norme del Codice Antimafia poste a tutela del terzo anche alla confisca “allargata”.

In seguito, sono state introdotte ulteriori modifiche al citato art. 104 bis disp. att. c.p.p.

Dapprima il D.Lgs. 14/2019 (c.d. “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza”) aveva modificato la disposizione sopra richiamata, prevedendo che, “quando il sequestro è disposto ai sensi dell’articolo 321 comma 2 del codice, ai fini della tutela dei terzi e nei rapporti con la procedura di liquidazione giudiziaria si applicano, altresì, le disposizioni di cui al titolo IV del d.lgs. n. 159 del 2011”.

Tale formulazione dell’art. 104 bis., entrata in vigore in data 15 luglio 2022, estendeva dunque la disciplina a tutela dei terzi prevista dal Codice Antimafia ai sequestri preventivi finalizzati alla confisca ex art. 321 comma 2 c.p.p., ma non anche alle confische.

In rapida successione, il legislatore interveniva nuovamente sulla norma in parola, mediante la c.d. “riforma Cartabia” (D.Lgs. 150 del 2022), entrata in vigore in data 30 dicembre 2022.

In particolare, la nuova e attuale formulazione dell’art. 104 bis comma 1 bis disp. att. c.p.p. prevede che in caso di sequestro disposto ai sensi dell’art. 321 comma 2 c.p.p. o di confisca, ai fini della tutela dei terzi e nei rapporti con la procedura di liquidazione giudiziaria si applicano altresì le disposizioni di cui al titolo IV del Libro I del d.lgs. n. 159 del 2011.

Per cui, in sostanza, prima del 15 luglio 2022 tanto i sequestri preventivi quanto le confische non soggiacevano alla disciplina dettata a tutela dei terzi prevista dal Codice Antimafia; dal 15 luglio al 30 dicembre 2022 tale disciplina era applicabile ai soli sequestri; dal 30 dicembre 2022 ogni sequestro o confisca rientra nel perimetro del Titolo IV del D.Lgs. n. 159 del 2011.

Alla luce dunque delle recenti riforme, parrebbe essere stato finalmente raggiunto un assetto definitivo della normativa che consente al terzo creditore di buona fede di trovare tutela anche nell’ambito di un procedimento penale in cui il debitore è stato raggiunto da un provvedimento di sequestro o confisca.

Bisogna ora rimanere in attesa di verificare se e come tali novelle saranno recepite dalla giurisprudenza che, al riguardo, si è espressa più volte anche in modo difforme dal dettato normativo.

 

[1] Si segnala che lo stesso art. 52 del Codice Antimafia indica come debba essere valutata la “buona fede” del creditore”. Segnatamente, il comma 3 della norma prevede che “nella valutazione della buona fede, il tribunale tiene conto delle condizioni delle parti, dei rapporti personali e patrimoniali tra le stesse e del tipo di attività svolta dal creditore, anche con riferimento al ramo di attività, alla sussistenza di particolari obblighi di diligenza nella fase precontrattuale nonché, in caso di enti, alle dimensioni degli stessi”.

[2] Cfr. Cass. Pen., Sez. VI, sent. 11 luglio 2023, n. 30153.

[3] Cfr. Cass. Pen., SS.UU., sent. 31 maggio 2018, n. 29847.

[4] Cfr. Cass. Pen., Sez. V, sent. 5 febbraio 2020, n. 12772.

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