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Servizi e attività di investimento in regime post Brexit da parte di imprese UK. Tassonomia regolamentare

11 Aprile 2022

Marcello Condemi, Professore Straordinario di Diritto dell’Economia, Università di Roma – G.Marconi

Di cosa si parla in questo articolo

Sommario: 1. L’accordo di recesso del Regno Unito dall’UE; disposizioni precettive contenute nella disciplina nazionale di recepimento; 2. I possibili iter autorizzativi di cui all’art. 28 del d.lgs. n. 58/1998 ( TUF) e le relative attività esercitabili; 2.1. segue: I requisiti autorizzativi; 3. L’ipotesi del ricorso alla c.d. reverse solicitation; 4. Conclusioni.

 

1. L’accordo di recesso del Regno Unito dall’UE; disposizioni precettive contenute nella disciplina nazionale di recepimento

L’“Accordo sul recesso del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord dall’Unione europea e dalla Comunità europea dell’energia atomica” (in GU L 29 del 31.1.2020) – come successivamente modificato (i) dalla “Decisione n. 1/2020 del comitato misto istituito dall’accordo sul recesso del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord dall’Unione europea e dalla Comunità europea dell’energia atomica” (ii) e, altresì, dalla “Decisione n. 3/2020 del comitato misto istituito dall’accordo sul recesso del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord dall’Unione europea e dalla Comunità europea dell’energia atomica” – ha previsto, all’art. 126, un “Periodo di transizione”, durante il quale ha trovato applicazione “al Regno Unito e nel Regno Unito, di norma con gli stessi effetti giuridici prodotti negli Stati membri, il diritto dell’Unione, compresi gli accordi internazionali, al fine di evitare turbative durante il periodo di negoziazione dell’accordo o degli accordi sulle future relazioni” (cfr., in proposito, il secondo Considerando dell’Accordo).

Il periodo di transizione ha avuto fine in data 31.12.2020 senza che l’Unione Europea e il Regno Unito, come invece auspicabile, fossero addivenuti ad un nuovo assetto regolamentare condiviso per lo svolgimento, da parte di Società con sede nel Regno Unito, di servizi finanziari.

Ciononostante, pur in attesa dell’elaborazione (mai avvenuta) di un nuovo framework UE-UK, il legislatore italiano, all’approssimarsi del termine del periodo di transizione, ha tuttavia avvertito la necessità di prevedere ulteriori, specifiche misure transitorie, contenute nell’art. 22 del D.L. 31 dicembre 2020 n. 183, convertito con modificazioni nella L. 26 febbraio 2021, n. 21, recante “Disposizioni urgenti in materia di termini legislativi, di realizzazione di collegamenti digitali, di esecuzione della decisione (UE, EURATOM) 2020/2053 del Consiglio, del 14 dicembre 2020, nonche’ in materia di recesso del Regno Unito dall’Unione europea.”.

L’art. 22, commi 2 e 4, del D.L. n. 183/2020 prevede, in particolare, che “(d)al giorno successivo alla scadenza del periodo di transizione e fino alla conclusione del procedimento di autorizzazione da parte delle Autorita’ competenti, e in ogni caso non oltre i sei mesi successivi alla predetta scadenza, i soggetti di cui all’articolo 3, commi da 1 a 5, del decreto-legge n. 22 del 2019[1], con sede legale nel Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, che abbiano presentato alle medesime Autorita’ entro la data di entrata in vigore del presente decreto istanza per l’autorizzazione allo svolgimento delle attivita’ come intermediari di paesi terzi ovvero per la costituzione di un intermediario italiano a cui cedere l’attivita’, possono continuare a operare sul territorio della Repubblica italiana, limitatamente alla gestione dei rapporti esistenti (…). In caso di diniego dell’autorizzazione da parte delle Autorita’ competenti, con riferimento alle attivita’ non autorizzate, i soggetti di cui al comma 2 cessano l’attivita’ svolta in Italia, secondo modalita’ e tempi che non recano pregiudizio ai clienti. Sono fatte salve le operazioni necessarie all’ordinata chiusura dei rapporti gia’ in essere, nel piu’ breve tempo possibile, e comunque non oltre il termine massimo di tre mesi dalla data di comunicazione di tale diniego, nel rispetto dei termini di preavviso per lo scioglimento dei contratti”.

2. I possibili iter autorizzativi di cui all’art. 28 del d.lgs. n. 58/1998 (TUF) e le relative attività esercitabili.

L’art. 28 del d.lgs. n. 58/1998 (TUF), rubricato “Imprese di paesi terzi diverse dalle banche”, disciplina l’autorizzazione alla prestazione, in Italia, di servizi di investimento da parte di imprese di Paesi terzi (e perciò del Regno Unito) sia in regime di (i) stabilimento di succursale[2] sia (ii) in regime di libera prestazione di servizi[3]. In particolare, i commi 1-3 di detto articolo disciplinano lo stabilimento in Italia di succursali e la prestazione, per mezzo di esse, dei servizi di investimento: “(l)o stabilimento in Italia di succursali da parte di imprese di paesi terzi diverse dalle banche è autorizzato dalla Consob, sentita la Banca d’Italia. L’autorizzazione è subordinata:

  1. alla sussistenza, in capo alla succursale, di requisiti corrispondenti a quelli previsti dall’articolo 19, comma 1, lettere d) ed f);
  2. alla trasmissione di tutte le informazioni, compresi un programma di attività, che illustri in particolare i tipi di operazioni previste e la struttura organizzativa della succursale, specificate ai sensi del comma 4;
  3. all’autorizzazione, alla vigilanza e all’effettivo svolgimento nello Stato d’origine dei servizi o attività di investimento e dei servizi accessori che l’impresa istante intende prestare in Italia, nonché alla circostanza che l’autorità competente dello Stato d’origine presti debita attenzione alle raccomandazioni del GAFI nel contesto delle azioni contro il riciclaggio di denaro e del contrasto al finanziamento del terrorismo;
  4. all’esistenza di accordi di collaborazione tra la Banca d’Italia, la Consob e le competenti autorità dello Stato d’origine, comprendenti disposizioni disciplinanti lo scambio di informazioni, allo scopo di preservare l’integrità del mercato e garantire la protezione degli investitori;
  5. all’esistenza di un accordo tra l’Italia e lo Stato d’origine che rispetta pienamente le norme di cui all’articolo 26 del Modello di Convenzione fiscale sul reddito e il patrimonio dell’OCSE e assicura un efficace scambio di informazioni in materia fiscale, compresi eventuali accordi fiscali multilaterali;
  6. all’adesione da parte dell’impresa istante ad un sistema di indennizzo a tutela degli investitori riconosciuto ai sensi dell’articolo 60, comma 2.

L’autorizzazione di cui al comma 1 è negata se non risulta garantita la capacità della succursale dell’impresa di paesi terzi diversa dalla banca di rispettare gli obblighi alla stessa applicabili ai sensi del presente decreto o contenuti in atti dell’Unione europea direttamente applicabili.

Le imprese di paesi terzi diverse dalle banche possono prestare servizi e attività di investimento, con o senza servizi accessori, a clienti al dettaglio o a clienti professionali su richiesta come individuati ai sensi dell’articolo 6, comma 2-quinquies, lettera b), e comma 2- sexies, lettera b), del presente decreto esclusivamente mediante stabilimento di succursali nel territorio della Repubblica, in conformità al comma 1. (…)”.

I commi 6 e 7 dell’art. 28 TUF disciplinano, invece, la diversa modalità di esercizio, da parte di imprese di Paesi terzi (e perciò di imprese del Regno Unito), in regime di libera prestazione dei servizi di investimento, precisando al riguardo che “(l)e imprese di paesi terzi diverse dalle banche possono prestare servizi e attività di investimento, con o senza servizi accessori, a controparti qualificate o a clienti professionali come individuati ai sensi dell’articolo 6, comma 2-quinquies, lettera a), e comma 2-sexies, lettera a), del presente decreto, anche senza stabilimento di succursali nel territorio della Repubblica, in mancanza di una decisione della Commissione europea a norma dell’articolo 47, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 600/2014[4] oppure ove tale decisione non sia più vigente, sempreché ricorrano le condizioni previste dal comma 1, lettere b), c), d) ed e), e venga presentato un programma concernente l’attività che si intende svolgere nel territorio della Repubblica. L’autorizzazione è rilasciata dalla Consob, sentita la Banca d’Italia.

Il comma 6 si applica anche in presenza di una decisione della Commissione europea a norma dell’articolo 47, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 600/2014, limitatamente ai servizi e alle attività di investimento in essa non inclusi.

La Consob, sentita la Banca d’Italia, può indicare, in via generale, i servizi e le attività che, ai sensi dei commi 6 e 6-bis, le imprese di paesi terzi diverse dalle banche non possono prestare nel territorio della Repubblica senza stabilimento di succursali. (…)”.

Nella ipotesi sia di stabilimento di succursale sia di libera prestazione di servizi, l’art. 28, comma 4, del TUF prevede che “(l)a Consob, sentita la Banca d’Italia, può disciplinare le condizioni per il rilascio dell’autorizzazione allo svolgimento dei servizi e delle attività di cui ai commi 1, 6 e 6-bis.”; la Consob ha dato attuazione a tale ultima disposizione a mezzo del c.d. “Regolamento Intermediari” (Delibera n. 20307/2018 e ss.mm.), artt. 25-31 e Allegato n. 1.

La Consob, viceversa, non ha ritenuto di esercitare l’opzione di cui all’art. 28, comma 7, del TUF [il quale prevede che “La Consob, sentita la Banca d’Italia, può indicare, in via generale, i servizi e le attività che, ai sensi dei commi 6 e 6-bis, le imprese di paesi terzi diverse dalle banche non possono prestare nel territorio della Repubblica senza stabilimento di succursali. (…)”], con la conseguenza che l’intermediario avente sede nel Regno Unito è abilitato, senz’alcuna limitazione a priori, a richiedere l’autorizzazione alla prestazione in Italia dell’intera gamma di servizi di investimento previsti dall’art. 1, comma 5, del TUF[5].

Di rilievo appare poi la distinzione, discendente dall’opzione autorizzativa verso cui l’impresa riterrà di orientarsi, in ordine alla tipologia di clientela alla quale l’impresa stessa, in caso di esito positivo dell’iter autorizzativo, potrà essere rivolgersi e prestare i servizi di investimento.

Ed invero, se, da un lato, la prestazione dei servizi mediante stabilimento di succursale non prevede limitazioni in ordine alle categorie di clientela raggiungibile, viceversa, lo svolgimento delle attività in regime di libera prestazione di servizi è limitata alle sole “controparti qualificate o a clienti professionali[6].

Di ulteriore rilievo, da ultimo, è la constatazione circa l’assenza di alcuna previsione che vieti, all’intermediario di un Paese terzo, – nel presupposto che questo sia stato autorizzato dalla Consob, sentita la Banca d’Italia – di prestare servizi di investimento, contemporaneamente, mediante (i) l’apertura di una succursale insediata in Italia (ii) e in regime di libera prestazione di servizi, ancorché, in tale ultimo caso, limitatamente alle categorie di clientela sopra richiamate (id est: “controparti qualificate o a clienti professionali”)[7].

2.1. segue: I requisiti autorizzativi

Il procedimento autorizzativo di cui all’art. 28, commi 1 e 6, TUF trova la propria disciplina agli artt. 25 e 26 del Regolamento intermediari (Delibera 20307/2018).

Nel dettaglio: “(l)’impresa di paesi terzi, diversa dalla banca, che intende operare in Italia ai sensi dell’articolo 28, commi 1 e 6, del Testo Unico, presenta alla Consob una domanda di autorizzazione redatta secondo quanto previsto nell’Allegato n. 1. (…)” (art. 25); “(l)a Consob accerta la ricorrenza delle condizioni indicate all’articolo 28, commi 1, 2 e 6, del Testo Unico per il rilascio dell’autorizzazione e, sentita la Banca d’Italia, delibera sulla domanda entro il termine massimo di centoventi giorni. La delibera è comunicata all’impresa richiedente e all’autorità dello Stato d’origine. (…)”. Detti termini sono sospesi laddove la Consob ritenga di dover acquisire ulteriori informazioni o di richiedere chiarimenti (art. 4 del Regolamento generale sui procedimenti amministrativi della CONSOB – Delibera n. 18388/2012).

A mente del richiamato Allegato I, Titolo I, del Regolamento intermediari, l’istanza deve comprendere le informazioni e i documenti di cui al modello richiamato[8].

Peculiarità distintiva dell’iter autorizzativo mediante lo stabilimento di succursale è il requisito – non sussistente nella ipotesi di libera prestazione di servizi – della “dichiarazione dell’avvenuto versamento del fondo di dotazione della prima succursale di ammontare non inferiore a quello determinato dalla Banca d’Italia ai sensi dell’art. 19, comma 1, lettera d), del Testo Unico [della Finanza]” (cfr. Allegato I, Titolo I, Sez. I, del Regolamento intermediari).

Sul punto va osservato come il vigente quadro normativo UE in materia di SIM si componga della Direttiva n. 2034/2019 e del Regolamento n. 2033/2019 (entrambi recepiti con D.Lgs. 5 novembre 2021, n. 201, in G.U. n. 286 dell’1.12.2021).

Con riguardo alla Direttiva, essa prevede (all’art. 9) che:

“[paragrafo 1] (i)l capitale iniziale delle imprese di investimento (…) per l’autorizzazione a prestare qualsiasi servizio o a svolgere qualsiasi attività di investimento elencati all’allegato I, sezione A, punti 3 e 6, della direttiva 2014/65/UE è pari a 750 000 EUR[9].

[paragrafo 2] Per le imprese di investimento che non sono autorizzate a detenere denaro o titoli della clientela, il capitale iniziale previsto dall’articolo 15 della direttiva 2014/65/UE per l’autorizzazione a prestare qualsiasi servizio o a svolgere qualsiasi attività di investimento elencati all’allegato I, sezione A, punti 1, 2, 4, 5 e 7, della direttiva 2014/65/UE è pari a 75 000 EUR.

[paragrafo 3] Per le imprese di investimento diverse da quelle di cui ai paragrafi 1, 2 e 4 del presente articolo, il capitale iniziale previsto a norma dell’articolo 15 della direttiva 2014/65/UE è pari a 150 000 EUR.

[paragrafo 4] Per le imprese di investimento autorizzate a prestare i servizi o a svolgere le attività di investimento elencate all’allegato I, sezione A, punto 9, della direttiva 2014/65/UE, qualora tale impresa di investimento effettui negoziazione per conto proprio o sia autorizzata a farlo, il capitale iniziale è pari a 750 000 EUR.”.

Avuto riguardo al Regolamento, esso disciplina “i requisiti prudenziali delle imprese di investimento” e dispone, all’art. 11 (nella parte qui di interesse), che “(l)e imprese di investimento dispongono in ogni momento di fondi propri in conformità dell’articolo 9 equivalenti almeno a D, dove D è definito come il più elevato tra gli elementi seguenti:

  1. il loro requisito relativo alle spese fisse generali calcolato conformemente all’articolo 13;
  2. il loro requisito patrimoniale minimo permanente conforme all’articolo 14;
  3. il loro requisito relativo ai fattori K calcolato conformemente all’articolo 15.

In deroga al paragrafo 1, se un’impresa di investimento soddisfa le condizioni per qualificarsi come piccola impresa di investimento non interconnessa di cui all’articolo 12, paragrafo 1, D è definito come l’importo più elevato tra quelli specificati al paragrafo 1, lettere a) e b)[10].

Ebbene, il “requisito relativo alle spese fisse generali” di cui all’art. 13 è, per l’appunto, “pari ad almeno un quarto delle spese fisse generali dell’anno precedente (…)”, laddove il “requisito patrimoniale minimo permanente” di cui all’articolo 14 è “pari almeno ai livelli di capitale iniziale di cui all’articolo 9 della direttiva (UE) 2019/2034” (sopra menzionata).

Le previsioni di cui sopra trovano applicazione (ai sensi dell’art. 1 del Regolamento e dell’art. 2 della Direttiva) nei confronti delle “imprese di investimento autorizzate e soggette a vigilanza a norma della direttiva 2014/65/UE”, vale a dire (ai sensi dell’art. 1 della Direttiva 2014/65/UE) “(anche) alle imprese di paesi terzi che offrono servizi o esercitano attività di investimento tramite lo stabilimento di una succursale nell’Unione.”.

Detti requisiti minimi di capitale, tuttavia, sebbene la Direttiva n. 2034/2019 abbia trovato recepimento nell’ordinamento nazionale, non hanno ancora trovato ingresso nel “Regolamento in materia di capitale minimo e operatività all’estero delle SIM nonché deposito e sub-deposito dei beni della clientela” (adottato con Deliberazione della Banca d’Italia n. 1097 del 29 ottobre 2007), a mente del quale “(g)li importi minimi del capitale versato delle SIM sono così fissati:

I) 120.000 euro per le SIM che intendono prestare esclusivamente il servizio di consulenza in materia di investimenti a condizione che:

  • non detengano, neanche in via temporanea, disponibilità liquide e strumenti finanziari di pertinenza della clientela;

non assumano rischi in proprio .

II) 385.000 euro per le SIM che intendono prestare, anche congiuntamente, i servizi di:

a) collocamento di strumenti finanziari senza assunzione a fermo né assunzione di garanzia nei confronti dell’emittente;

b) gestione di portafogli;

c) ricezione e trasmissione di ordini; a condizione che:

  • non detengano, neanche in via temporanea, disponibilità liquide e strumenti finanziari di pertinenza della clientela;
  • non assumano rischi in proprio.

Tali limitazioni devono essere espressamente previste nello statuto delle SIM.

Il medesimo importo è richiesto anche qualora tali SIM prestino il servizio di consulenza in materia di investimenti;

III) 1 milione di euro per le SIM che intendono prestare, anche congiuntamente, i servizi:

a) previsti nei punti I) e II), in mancanza delle condizioni ivi indicate;

b) di sottoscrizione e/o collocamento di strumenti finanziari con assunzione a fermo ovvero con assunzione di garanzia nei confronti dell’emittente;

c) di negoziazione per conto proprio;

d) di esecuzione di ordini per conto dei clienti;

e) di gestione di sistemi multilaterali di negoziazione.”.

La misura del Fondo di dotazione imposto alla Succursale a presidio della rischiosità discendente dallo svolgimento delle attività a cui questa è autorizzata non è, tuttavia, oggetto di alcun obbligo di pubblicità-notizia da parte delle imprese, non trovando nella specie spazio, tra le altre, la possibilità di pubblicizzare detta misura nel Registro delle Imprese tenuto dalle competenti Camere di Commercio, posta la tipicità degli atti e delle informazioni in esso pubblicabili e, conseguentemente, la irricevibilità della eventuale domanda di iscrizione nel Registro delle Imprese che fosse a tal fine presentata.

Una forma di pubblicità-notizia, attesa la rilevanza dell’informazione relativa alla misura del Fondo di dotazione, potrebbe essere assolta dalla Succursale, su base volontaristica, attraverso la pubblicazione di detta misura e del relativo provvedimento di costituzione nel sito internet della Succursale.

3. L’ipotesi del ricorso alla c.d. reverse solicitation

Il c.d. meccanismo di reverse solicitation (contrattualizzazione su iniziativa del cliente) trova la propria disciplina nella Direttiva MiFID II (Direttiva 2014/65/UE), la quale recita, all’art. 42, che “(g)li Stati membri garantiscono che, quando un cliente al dettaglio o professionale (…), stabilito o situato nell’Unione avvia di propria iniziativa esclusiva la prestazione di un servizio di investimento o l’esercizio di un’attività di investimento da parte di un’impresa di un paese terzo, il requisito di autorizzazione (…) non si applichi alla prestazione di tale servizio o all’esercizio di tale attività da parte dell’impresa del paese terzo al cliente in questione, né a qualsiasi relazione connessa specificamente alla prestazione di detto servizio o all’esercizio di detta attività. L’iniziativa di tali clienti non dà diritto all’impresa di un paese terzo di commercializzare nuove categorie di prodotti o servizi di investimento ai clienti in questione se non tramite la propria succursale, ove sussista quest’obbligo ai sensi del diritto nazionale.”.

Ciò precisato, va in primo luogo evidenziato come il meccanismo della reverse solicitation sia previsto ed esplicitamente consentito con esclusivo riguardo all’ambito applicativo della Direttiva Mifid II, id est con esclusivo riguardo alla “prestazione di un servizio di investimento o (al)l’esercizio di un’attività di investimento”.

Va altresì osservato come, in coincidenza con il recesso del Regno Unito dall’Unione Europea, le attività di reverse solicitation per la prestazione di servizi di investimento da parte di intermediari ivi stabiliti avessero registrato un netto aumento, tanto da spingere l’ESMA a censurare detta condotta e ad adombrare con riguardo (ad abusive attività nascoste in tali modalità operative) misure di tipo sanzionatorio, precisando, con un proprio Comunicato, che “ESMA reminds firms that as provided in recital 111 of MiFID II “where a third-country firm solicits clients or potential clients in the Union or promotes or advertises investment services or activities together with ancillary services in the Union, it should not be deemed as a service provided at the own exclusive initiative of the client”. This is true “regardless of any contractual clause or disclaimer purporting to state, for example, that the third country firm will be deemed to respond to the exclusive initiative of the client”.

As for the means of such solicitations, ESMA reminds firms that every communication means used, such as press releases, advertising on internet, brochures, phone calls or face-to-face meetings should be considered to determine if the client or potential client has been subject to any solicitation, promotion or advertising in the Union on the firm’s investment services or activities or on financial instruments. ESMA also reminds firms that such a solicitation, promotion or advertising should be considered regardless of the person through whom it is issued: the third country firm itself, an entity acting on its behalf or having close links with such third country firm or any other person acting on behalf of such entity.

ESMA would like to recall that:

  • the provision of investment services in the EU without proper authorisation in accordance with the EU and the national law applicable in Member States exposes service providers to the risk of administrative or criminal proceedings, for the application of relevant sanctions,
  • when using the services of investment service providers which are not properly authorised in accordance with EU and Member States’ law, investors may lose protections granted to them under EU relevant rules, including coverage under the investor compensation schemes in accordance with Directive 97/9/EC.” (cfr. Public Statement ESMA – 13 January 2021 ESMA35-43-2509).

La Consob, facendo propria la preoccupazione (e la posizione) manifestata dall’ESMA, ha pubblicato integralmente il citato Comunicato nel proprio sito internet, nella sezione dedicata agli “Orientamenti ESMA”; e ciò sebbene il predetto Comunicato abbia natura (non cogente) di “Public Statement” (e non già di “Orientamento” o “Raccomandazione”) e non sia stato adottato dall’ESMA ai sensi dell’art. 16 del Regolamento UE n. 1095/2010 (di cui infra).

Come noto, difatti, ai sensi dell’art. 16 del Regolamento UE n. 1095/2010, istitutivo dell’ESMA, “(a)l fine di istituire prassi di vigilanza uniformi, efficienti ed efficaci nell’ambito del SEVIF e per assicurare l’applicazione comune, uniforme e coerente del diritto dell’Unione, l’Autorità emana orientamenti e formula raccomandazioni indirizzate alle autorità competenti o ai partecipanti ai mercati finanziari. (…) Le autorità e i partecipanti ai mercati finanziari competenti compiono ogni sforzo per conformarsi agli orientamenti e alle raccomandazioni.

Entro due mesi dall’emanazione di un orientamento o di una raccomandazione, ciascuna autorità nazionale di vigilanza competente conferma se è conforme o intende conformarsi all’orientamento o alla raccomandazione in questione. Nel caso in cui un’autorità competente non sia conforme o non intenda conformarsi, ne informa l’Autorità motivando la decisione. (…)”.

Allo stato, quindi, la cogenza del Comunicato dell’ESMA, sebbene fatto proprio e pubblicato dalla CONSOB con modalità improprie, è, quanto meno, dubbia.

Ciò che traspare, ad ogni modo, è la forte preoccupazione della CONSOB a che le imprese di paesi terzi (e perciò del Regno Unito) possano – in luogo delle modalità operative, purché autorizzate, di cui all’art. 28 del TUF – far ricorso, per lo svolgimento dei servizi di investimento, al meccanismo della “reverse solicitation”, privo, all’evidenza, dei presidi di vigilanza offerti dalle formule organizzative previste dall’art. 28 del TUF.

Ulteriore conferma di tale forte preoccupazione, manifestata dall’ESMA e fatta propria da CONSOB, si riscontra nell’attività provvedimentale di tale ultima Autorità e, segnatamente, nel contenuto è stata riferita attività di taluni “ordini” da questa emanati “ai sensi dell’art. 7-octies, comma 1, lett. b), del D. lgs. n. 58/1998 (…)” con cui, da un lato, a inteso “(…) porre termine alla violazione dell’art. 18 del Tuf posta in essere tramite il sito internet (…)”, dall’altro, ha introdotto le nozioni, sconosciute nella disciplina regolamentare, di “pubblico italiano” e di “investitori italiani”. Si veda, a tale proposito ed in via esemplificativa, la Delibera n. 22208 del 10.2.2022, pubblicata sul sito web della CONSOB, con cui l’Autorità, nell’ordinare la cessazione dell’operatività (ritenuta vietata) posta in essere da un operatore del Regno Unito, ha puntualizzato quanto segue: “CONSIDERATO che la sopra descritta operatività, svolta tramite il sito internet (…), è tutt’ora in corso di svolgimento nonché rivolta al pubblico degli investitori italiani in quanto il predetto dominio è risultato disponibile in lingua italiana. (…) Inoltre, in relazione al medesimo sito (…), di sollecitazione all’investimento mediante comunicazioni telefoniche non richieste (c.d. “cold calling”) nei confronti dei risparmiatori italiani e nella sezione “Assistenza Clienti” è stata rilevata l’indicazione di un indirizzo di posta elettronica specificamente dedicato agli utenti italiani; (…) CONSIDERATO che (…), con sede a (…), non è autorizzata alla prestazione di servizi di investimento nei confronti del pubblico italiano in quanto non risulta iscritta nell’albo tenuto dalla Consob (…)”.

4. Conclusioni

Le imprese aventi sede nel Regno Unito e, più in generale, le imprese di paesi terzi, al pari di quanto stabilito per le imprese di investimento dell’Unione europea, sebbene con talune limitazioni rispetto a queste ultime[11], possono prestare, ottenute la prescritte autorizzazioni, servizi ed attività di investimento, non solo attraverso l’apertura di succursali, ma anche attraverso la più flessibile e meno impegnativa (in termini organizzativi) modalità operativa rappresentata dal regime di libera prestazione di servizi, tradizionalmente prevista per le imprese di investimento dell’Unione europea, uniformemente disciplinate, da ultimo, dalla regolamentazione europea contenuta nella direttiva MiFID II (2014/65/EU)[12]; ciò nel presupposto che tali imprese operino, presso lo Stato di origine, in un regime autorizzativo e di vigilanza sostanzialmente equivalente a quello delle imprese dell’Unione Europea (id est: che l’operatività di tali imprese soddisfi “le condizioni previste dal comma 1, lettere b), c), d) ed e)” dell’art. 28 del TUF).

La ratio sottesa al disposto dell’articolo 28, comma 6, la cui portata interpretativa, anche alla luce delle considerazioni sopra svolte, appare inequivocabile, è, dunque, di consentire alle imprese che operano in giurisdizioni equivalenti a quelle europee (in termini di vigilanza) di prestare servizi e attività di investimento in Italia (i) senz’alcuna limitazione qualitativa e/o tipologica laddove costituiscano una Succursale o anche, limitatamente a “controparti qualificate o a clienti professionali”, nel caso in cui decidano di operare in regime di libera prestazione di servizi (ii) ovvero, congiuntamente, sia attraverso la costituzione di una Succursale sia attraverso il ricorso al regime di libera prestazione di servizi.

Le diverse modalità offerte per la prestazione dei servizi e delle attività di investimento e, in particolare, la modalità operativa consistente nell’utilizzo congiunto della costituzione della Succursale e del regime di libera prestazione di servizi, offrono indiscutibilmente all’Impresa variegate formule organizzative che, ove sapientemente utilizzate, permettono di individuare il modello che, in un’ottica di costi/benefici, risulti meglio rispondente alla tipologia di business prescelto.

Le diverse opportunità operative offerte dalla disciplina sopra illustrata, unitamente alla posizione assunta dall’ESMA e fatta propria dalla CONSOB (sebbene con modalità e strumenti privi dei formali caratteri della statuizione cogente), inducono cautelativamente ad evitare, da parte delle imprese del Regno Unito (e, in generale, da parte di paesi terzi), il ricorso al meccanismo delle “reverse solicitation”, soprattutto in considerazione della circostanza che, in assenza della necessaria autorizzazione, lo svolgimento di “(…) servizi o attività di investimento (…)” potrebbe integrare, ai sensi dell’art. 166 del TUF, la fattispecie delittuosa dell’abusivismo, come tale presidiata da rigorosa sanzione penale.

 

[1] Trattasi, fra gli altri, delle Società di intermediazione mobiliare. Nel dettaglio, l’art. 3 commi 3 e 4, del D.L. 25 marzo 2019, n. 22, convertito con modificazioni nella L. 20 maggio 2019, n. 41, dispone che “(…) le imprese di investimento del Regno Unito che, alla data di recesso, prestano servizi e attivita’ di investimento, con o senza servizi accessori, sul territorio della Repubblica in regime di libera prestazione di servizi, possono continuare a svolgere sul territorio della Repubblica le medesime attivita’ solamente nei confronti delle controparti qualificate e dei clienti professionali come individuati ai sensi dell’articolo 6, comma 2-quinquies, lettera a), e comma 2-sexies, lettera a), del Testo unico della finanza, nonche’, esclusivamente per la gestione degli eventi del ciclo di vita dei contratti derivati non soggetti a compensazione da parte di una controparte centrale (over the counter) in essere alla data del recesso, anche nei casi in cui cio’ implichi la modifica di tali contratti o la conclusione di nuovi contratti nei limiti previsti dall’articolo 62 del decreto-legge 25 giugno 2008 n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, delle regioni, delle province autonome di Trento e di Bolzano e degli enti locali, fino all’adozione di una decisione della Commissione europea a norma dell’articolo 47, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 600/2014, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, sui mercati degli strumenti finanziari e che modifica il regolamento (UE) n. 648/2012 e, comunque, non oltre il periodo transitorio, previa notifica alle autorita’ competenti. (…) le imprese di investimento del Regno Unito che, alla data di recesso prestano servizi e attivita’ di investimento, con o senza servizi accessori, sul territorio della Repubblica nell’esercizio del diritto di stabilimento mediante succursali, durante il periodo transitorio possono continuare a svolgere sul territorio della Repubblica le medesime attivita’, previa notifica alle autorita’ competenti.”.

[2] Il contenuto del diritto di prestazione dei servizi e attività di investimento mediante stabilimento di succursale si rinviene nell’art. 35 della Mifid II (2014/65/EU), secondo cui “(g)li Stati membri assicurano che la prestazione di servizi di investimento e servizi accessori e/o l’esercizio di attività di investimento sul loro territorio ai sensi della presente direttiva e della direttiva 2013/36/UE possano essere effettuati tramite il diritto di stabilimento, sia mediante lo stabilimento di succursali sia avvalendosi di un agente collegato, stabilito in uno Stato membro diverso dallo Stato membro d’origine, purché tali servizi e attività siano coperti dall’autorizzazione concessa all’impresa di investimento o all’ente creditizio nel suo Stato membro d’origine. I servizi accessori possono essere prestati soltanto insieme ad un servizio e/o ad un’attività di investimento. (…)”.

[3] Diritto previsto e disciplinato dall’art. 34 della Mifid II (2014/65/EU), ai sensi del quale “(g)li Stati membri assicurano che qualsiasi impresa di investimento autorizzata e sottoposta alla vigilanza delle autorità competenti di un altro Stato membro ai sensi della presente direttiva, e per quanto riguarda gli enti creditizi ai sensi della direttiva 2013/36/UE, possa liberamente prestare servizi di investimento e/o svolgere attività di investimento nonché prestare servizi accessori sul loro territorio, purché tali servizi e attività siano coperti dall’autorizzazione. I servizi accessori possono essere prestati soltanto insieme ad un servizio e/o ad un’attività di investimento.

Gli Stati membri non impongono obblighi supplementari a tali imprese di investimento o enti creditizi per le materie disciplinate dalla presente direttiva. (…)”.

[4] Il richiamato art. 47 del regolamento (UE) n. 600/2014 (noto come MiFIR – Markets in Financial Instruments Regulation) disciplina la c.d. “decisione di equivalenza”: “(l)a Commissione può adottare una decisione (…), in relazione a un paese terzo per attestare che il regime giuridico e di vigilanza del paese terzo garantisce che le imprese autorizzate nello stesso si conformino a requisiti giuridicamente vincolanti in materia di norme di comportamento e prudenziali che hanno un effetto equivalente ai requisiti enunciati nel presente regolamento, nella direttiva 2013/36/UE e nella direttiva 2014/65/UE, nonché nelle misure di esecuzione adottate a norma del presente regolamento e di tali direttive e che quel paese terzo prevede un efficace regime equivalente di riconoscimento delle imprese di investimento autorizzate ai sensi della giurisdizione del paese terzo. (…) Un’impresa di un paese terzo il cui quadro giuridico e di vigilanza sia stato riconosciuto effettivamente equivalente a norma del paragrafo 1 e sia autorizzata in conformità dell’articolo 39 della direttiva 2014/65/UE può fornire servizi e attività coperte dall’autorizzazione a controparti qualificate e a clienti professionali ai sensi dell’allegato II, sezione I, della direttiva 2014/65/UE in altri Stati membri dell’Unione senza stabilire nuove succursali. A tal fine deve soddisfare i requisiti in materia di informazione per la fornitura transfrontaliera di servizi e attività di cui all’articolo 34 della direttiva 2014/65/UE. (…)”. Allo stato, non risulta che sia stata adottata una “decisione di equivalenza” avente ad oggetto il regime giuridico e di vigilanza del Regno Unito.

[5] Trattasi, come noto, dei servizi di “a) negoziazione per conto proprio; b) esecuzione di ordini per conto dei clienti; c) assunzione a fermo e/o collocamento sulla base di un impegno irrevocabile nei confronti dell’emittente; c-bis) collocamento senza impegno irrevocabile nei confronti dell’emittente; d) gestione di portafogli; e) ricezione e trasmissione di ordini; f) consulenza in materia di investimenti; g) gestione di sistemi multilaterali di negoziazione; g-bis) gestione di sistemi organizzati di negoziazione.”.

[6] Più precisamente, a mente dell’Allegato n. 3 al “Regolamento intermediari”: “(u)n cliente professionale è un cliente che possiede l’esperienza, le conoscenze e la competenza necessarie per prendere consapevolmente le proprie decisioni in materia di investimenti e per valutare correttamente i rischi che assume.

  1. CLIENTI PROFESSIONALI DI DIRITTO

Si intendono clienti professionali per tutti i servizi e gli strumenti di investimento:

(1) i soggetti che sono tenuti a essere autorizzati o regolamentati per operare nei mercati finanziari, siano essi italiani o esteri quali:

  1. a) banche;
  2. b) imprese di investimento;
  3. c) altri istituti finanziari autorizzati o regolamentati;
  4. d) imprese di assicurazione;
  5. e) organismi di investimento collettivo e società di gestione di tali organismi;
  6. f) fondi pensione e società di gestione di tali fondi;
  7. g) i negoziatori per conto proprio di merci e strumenti derivati su merci;
  8. h) soggetti che svolgono esclusivamente la negoziazione per conto proprio su mercati di strumenti finanziari e che aderiscono indirettamente al servizio di liquidazione, nonché al sistema di compensazione e garanzia (locals);
  9. i) altri investitori istituzionali;
  10. l) agenti di cambio;

(2) le imprese di grandi dimensioni che presentano a livello di singola società, almeno due dei seguenti requisiti dimensionali:

– totale di bilancio: 20 000 000 EUR; – fatturato netto: 40 000 000 EUR;
– fondi propri: 2 000 000 EUR;

(3) gli investitori istituzionali la cui attività principale è investire in strumenti finanziari, compresi gli enti dediti alla cartolarizzazione di attivi o altre operazioni finanziarie.

I soggetti elencati possono richiedere al prestatore del servizio un trattamento quale cliente al dettaglio e gli intermediari possono convenire di fornire loro un livello più elevato di protezione. Quando il cliente è un’impresa come definita in precedenza, l’intermediario deve informarla, prima di qualunque prestazione di servizi, che, sulla base delle informazioni di cui dispone, essa viene considerata di diritto un cliente professionale e verrà trattata come tale a meno che l’intermediario e il cliente convengano diversamente. L’intermediario deve inoltre informare il cliente del fatto che può richiedere una modifica dei termini dell’accordo per ottenere un maggior livello di protezione.

Spetta al cliente considerato professionale di diritto chiedere un livello più elevato di protezione se ritiene di non essere in grado di valutare o gestire correttamente i rischi assunti.

A tal fine, i clienti considerati professionali di diritto concludono un accordo scritto con il prestatore del servizio che stabilisca i servizi, le operazioni e i prodotti ai quali si applica il trattamento quale cliente al dettaglio.

  1. CLIENTI PROFESSIONALI SU RICHIESTA

II.1. Criteri di identificazione

Gli intermediari possono trattare i clienti diversi da quelli inclusi alla sezione I, che ne facciano espressa richiesta, come clienti professionali, purché siano rispettati i criteri e le procedure menzionati di seguito. Non è comunque consentito presumere che tali clienti possiedano conoscenze ed esperienze di mercato comparabili a quelle delle categorie elencate alla sezione I.

La disapplicazione di regole di condotta previste per la prestazione dei servizi nei confronti dei clienti non professionali è consentita quando, dopo aver effettuato una valutazione adeguata della competenza, dell’esperienza e delle conoscenze del cliente, l’intermediario possa ragionevolmente ritenere, tenuto conto della natura delle operazioni o dei servizi previsti, che il cliente sia in grado di adottare consapevolmente le proprie decisioni in materia di investimenti e di comprendere i rischi che assume.

Il possesso dei requisiti di professionalità previsti per dirigenti e amministratori dei soggetti autorizzati a norma delle direttive dell’Unione europea nel settore finanziario può essere considerato come un riferimento per valutare la competenza e le conoscenze del cliente.

Nel corso della predetta valutazione, devono essere soddisfatti almeno due dei seguenti requisiti:

– il cliente ha effettuato operazioni di dimensioni significative sul mercato in questione con una frequenza media di 10 operazioni al trimestre nei quattro trimestri precedenti;

– il valore del portafoglio di strumenti finanziari del cliente, inclusi i depositi in contante, deve superare 500.000 EUR;

– il cliente lavora o ha lavorato nel settore finanziario per almeno un anno in una posizione professionale che presupponga la conoscenza delle operazioni o dei servizi previsti.

In caso di persone giuridiche, la valutazione di cui sopra è condotta con riguardo alla persona autorizzata a effettuare operazioni per loro conto e/o alla persona giuridica medesima.”.

Sono “controparti qualificate” i clienti a cui sono prestati i servizi di esecuzione di ordini e/o di negoziazione per conto proprio e/o di ricezione e trasmissione ordini, definiti come tali dall’articolo 6, comma 2-quater, lettera d), numeri 1), 2) e 3), del TUF: “1) le Sim, le imprese di investimento UE, le banche, le imprese di assicurazione, gli Oicr, i gestori, i fondi pensione, gli intermediari finanziari iscritti nell’albo previsto dall’articolo 106 del Testo Unico bancario, le società di cui all’articolo 18 del Testo Unico bancario, gli istituti di moneta elettronica, le fondazioni bancarie, i Governi nazionali e i loro corrispondenti uffici, compresi gli organismi pubblici incaricati di gestire il debito pubblico, le banche centrali e le organizzazioni sovranazionali a carattere pubblico; 2) le altre categorie di soggetti privati individuati con regolamento dalla Consob, sentita Banca d’Italia, nel rispetto dei criteri di cui alla direttiva 2014/65/UE e alle relative misure di esecuzione; 3) le categorie corrispondenti a quelle dei numeri 1) e 2) di soggetti di paesi non appartenenti all’Unione europea.

[7] La Consob, in particolare, ai sensi dell’art. 20 del TUF, rubricato come “Albo”, “(…) iscrive in un apposito albo le Sim e le imprese di paesi terzi diverse dalle banche. Le imprese di investimento UE sono iscritte in un apposito elenco allegato all’albo (…)] e pubblica il predetto albo e il citato elenco sul proprio sito web. Al momento, la Consob pubblica sul proprio sito web quanto segue: (i) Albo delle Sim; (ii) Elenco delle imprese di investimento autorizzate in altri Stati UE: (ii-a) con succursale in Italia; (ii-b) senza succursale in Italia; (iii) Imprese di paesi terzi, diverse dalle banche, autorizzate dalla Consob a operare in Italia mediante stabilimento di succursali; (iv)Imprese di paesi terzi, diverse dalle banche, autorizzate dalla Consob a operare in Italia in regime di libera prestazione di servizi. Nessuna Impresa di paese terzo, diversamente da quelle dell’UE, risulta, allo stato, autorizzata a prestare i servizi e le attività di investimento, congiuntamente, sia mediante la costituzione di Succursale sia in regime di libera prestazione di servizi.

[8] Il modello allegato al Regolamento intermediari richiede, sia nell’ipotesi di istanza autorizzativa per lo stabilimento di succursale sia di istanza autorizzativa per lo svolgimento dell’attività in regime di libera prestazione di servizi la “a) denominazione completa (compresa la denominazione legale e qualsiasi altra denominazione commerciale utilizzata); struttura giuridica; indirizzo della sede legale e, ove diverso, indirizzo della direzione generale; recapiti (numeri telefonici e di telefax, nonché indirizzo di posta elettronica); (il) sito internet se disponibile; numero di identificazione nazionale, se disponibile; (il) codice identificativo della persona giuridica (legal entity identifier – LEI) e (il) codice identificativo d’azienda (business identifier code – BIC), se disponibili; b) (i) recapiti della persona responsabile della domanda (compresi il numero di telefono e l’indirizzo di posta elettronica); c) (l’)elenco dei servizi e delle attività d’investimento, dei servizi accessori e degli strumenti finanziari che l’impresa intende fornire nel territorio della Repubblica per il tramite della succursale, e se si deterranno o meno (anche su base temporanea) strumenti finanziari e disponibilità liquide di pertinenza dei clienti; d) (il) nome e indirizzo dell’autorità competente responsabile della vigilanza dell’impresa nel paese terzo; qualora più di un’autorità sia competente per la vigilanza, le informazioni sui rispettivi ambiti di competenza; link al registro di ciascuna autorità competente del paese terzo, se disponibile; e) (l’)elenco dei documenti allegati.”, nonché, nel caso di stabilimento di succursale, le “informazioni generali sull’impresa istante”; (le) “informazioni sul capitale”; (le) “informazioni sugli azionisti”; (le) “informazioni sull’organo di gestione e di controllo, sulle persone che dirigono l’attività e sui responsabili delle succursali”; (le) “informazioni finanziarie”; (le) “informazioni sull’organizzazione delle succursali” e, nel caso di prestazione in regime di libera prestazione di servizi, (le) “informazioni generali sull’impresa istante”; (le) “informazioni sul capitale”; (le) “informazioni sugli azionisti”; (le) “informazioni sull’organo di gestione e di controllo, sulle persone che dirigono l’attività”; (il) “programma concernente l’attività iniziale che l’impresa di paesi terzi diversa dalla banca intende svolgere in Italia”.

[9] Allegato I, Sezione A della Direttiva 2014/65/UE: “Servizi e attività di investimento

1) Ricezione e trasmissione di ordini riguardanti uno o più strumenti finanziari.

2) Esecuzione di ordini per conto dei clienti.

3) Negoziazione per conto proprio.

4) Gestione di portafogli.

5) Consulenza in materia di investimenti.

6) Assunzione a fermo di strumenti finanziari e/o collocamento di strumenti finanziari sulla base di un impegno irrevocabile.

7) Collocamento di strumenti finanziari senza impegno irrevocabile.

8) Gestione di sistemi multilaterali di negoziazione.

9) Gestione di sistemi organizzati di negoziazione.”.

[10]Le imprese di investimento sono considerate imprese di investimento piccole e non interconnesse ai fini del presente regolamento se soddisfano tutte le condizioni seguenti:

  1. a) l’AUM misurato in conformità dell’articolo 17 è inferiore a 1,2 miliardi di EUR;
  2. b) il COH misurato in conformità dell’articolo 20 è inferiore a:
  3. i) 100 milioni di EUR al giorno per le operazioni a pronti; o
  4. ii) 1 miliardo di EUR al giorno per i derivati;
  5. c) l’ASA misurato in conformità dell’articolo 19 è pari a zero;
  6. d) il CMH misurato in conformità dell’articolo 18 è pari a zero;
  7. e) il DTF misurato in conformità dell’articolo 33 è pari a zero;
  8. f) l’NPR o il CMG misurato in conformità degli articoli 22 e 23 è pari a zero;
  9. g) il TCD misurato in conformità dell’articolo 26 è pari a zero;
  10. h) il totale delle attività in bilancio e fuori bilancio dell’impresa di investimento è inferiore a 100 milioni di EUR;
  11. i) i ricavi totali lordi annuali derivanti dai servizi e dalle attività di investimento dell’impresa di investimento sono inferiori a 30 milioni di EUR calcolati quale media in base ai dati annuali del periodo di due anni immediatamente precedente un dato esercizio finanziario.

[11] L’operatività delle imprese di investimento UE, sia essa svolta mediante “lo stabilimento di succursali” ovvero “avvalendosi di un agente collegato” ovvero in regime di “libera prestazione di servizi” (cfr. gli artt. 34 e 35 MIFID II) non prevede limitazioni di sorta, essendo dette imprese equiparate a quelle aventi sede legale in Italia. Con riguardo alle imprese di investimento aventi sede nel Regno Unito e, più in generale, le imprese di paesi terzi, la prestazione dei servizi e delle attività di investimento mediante stabilimento di succursale non prevede limitazioni in ordine alle categorie di clientela raggiungibile, viceversa, lo svolgimento (da parte delle medesime imprese) delle attività in regime di libera prestazione di servizi è limitata alle sole “controparti qualificate o a clienti professionali” (cfr. art. 28 TUF). Inoltre, non è consentito alle imprese di investimento aventi sede nel Regno Unito e, più in generale, alle imprese di paesi terzi, prestare i propri servizi “avvalendosi di un agente collegato”.

[12] Direttiva, questa, che, insieme alla MiFIR o Markets in financial instruments regulation (Regolamento EU n. 600/2014), ha preso il posto della precedente regolamentazione europea.

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