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Ai sensi dell’art. 2357 ter, comma 2, c.c., come modificato dal d. lgs. n. 224 del 2010, nelle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio le azioni proprie sono incluse nel computo sia del “quorum” costitutivo che di quello deliberativo.
Con la pronuncia in esame, la Corte di Cassazione ha precisato che, in forza del D.Lgs. 29 novembre 2010, n. 224, emanato in attuazione della delega di cui alla L. 25 febbraio 2008, n. 34, per le società chiuse le azioni proprie sono in ogni caso incluse nel computo del quorum costitutivo e deliberativo, a norma dell’art. 2357-ter, comma 2, c.c., mantenendo però la sospensione del diritto di voto. Al contrario, per le società aperte le azioni proprie sono incluse nel computo del quorum costitutivo ed escluse dal quorum deliberativo (art. 2368, comma 3, c.c.), in tal modo permettendo più agevolmente il raggiungimento della maggioranza per approvare la proposta assembleare.
La ratio di tale disciplina si ravvisa nel fatto che “se le azioni proprie potessero votare, il voto sarebbe espresso dalla società, quindi dai suoi amministratori, i quali sono nominati dal socio di controllo ovvero, comunque, dai soci di maggioranza. Per questa ragione, il legislatore ha sottratto a queste azioni (temporaneamente, non trattandosi di categoria autonoma) il diritto di votare. Ma esse restano nel capitale sociale, onde valgono ai fini della regolare costituzione dell’assemblea; mentre, quale regola di migliore approssimazione ad un principio di neutralità astratta, le azioni vengono parimenti computate nel quorum deliberativo, al fine di evitare che se ne disponga l’acquisto preordinando il medesimo, appunto mediante l’eventuale regola di scomputo da detto quorum, a favorire il socio di controllo. La scelta del legislatore non appare dunque affatto irragionevole”.
Nel caso di specie, a seguito di una delibera assembleare che approvava il bilancio e decideva la distribuzione degli utili conseguiti, la società ricorrente aveva dedotto la violazione o falsa applicazione dell’art. 2357-ter, comma 2, c.c., e dell’art. 2369, comma 3, c.c., in quanto le azioni proprie non devono computarsi nel quorum deliberativo ove la base di calcolo sia il capitale rappresentato, non quello sociale, pena il rischio di stallo assembleare ed integrazione di causa di scioglimento della società.
La Cassazione, nel respingere il ricorso, ha precisato che, come espone la relazione di accompagnamento al D.Lgs. n. 224 del 2010, l’art. 2357-ter, comma 2, c.c., tiene conto dell’assenza di limiti all’acquisto per le società chiuse delle proprie azioni (art. 2357, comma 3, c.c.), le quali – a fronte dell’esborso gravante sull’intera compagine sociale – “sono sempre computate ai fini del calcolo anche quando la legge non assume il capitale sociale a denominatore per il calcolo dei quorum assembleari”.
Pertanto, il dettato normativo vigente è nel senso che, nelle società per azioni che non ricorrono al mercato del capitale di rischio, le azioni proprie debbano essere sempre conteggiate nel calcolo non dei soli quorum costitutivi, ma anche di quelli deliberativi: la nuova disposizione, quindi, non lega affatto il calcolo alla diversa circostanza se la base per il medesimo sia il capitale sociale oppure quello rappresentato in assemblea, imponendo di calcolare in ogni caso le azioni proprie.